UN MESE DI MAGGIO IMPORTANTE
di felice magnani
Si afferma spesso che il mondo, in particolare quello dei giovani, abbia bisogno del pragmatismo maschile, quello che sa esprimere un padre con la sua decisione, con la sua naturale capacità di avviare un dialogo costruttivo, anche se a volte complesso da vivere e da interpretare. La pedagogia avverte, con una certa frequenza, la necessità che i padri tornino a fare i padri, figure importanti con le quali stabilire una relazione fondata sul rispetto e sulla consapevolezza che un genitore non sia solo un compagno di giochi, ma una persona alla quale spetta il delicatissimo compito di fornire esempi magari anche giocando, che sa far conoscere il mondo anche senza imporre, determinando, con lo sguardo, una riflessione profonda sulla famiglia, sulla società, sullo stato, sulla natura delle cose e sui principali temi quotidiani legati all’educazione e alla vita d’insieme. Si afferma di frequente che la mancanza di convinzione identitaria dei figli dipenda da padri fragili, privi di una personalità spiccata e diretta, incapace in molti casi di offrire un campo di confronto aperto su tutti quei temi che la vita ci butta addosso senza troppi complimenti. Forse il dramma del Coronavirus serve anche a questo, a ritrovare l’energia paterna e la grazia materna, a riabilitare i nonni, la loro sacra testimonianza, il loro essere dentro la storia sempre e mai posizionati in un cantuccio a ricordare i tempi in cui la famiglia era riunita attorno al tavolo della cucina, il cuore della casa, dei racconti e della tradizioni. Come dicevano i nostri vecchi non tutti i mali vengono per nuocere, anche quando il prezzo da pagare è durissimo. Se in questa fase di passaggio abbiamo riconquistato il valore straordinario della famiglia e delle sue risorse, abbiamo dovuto imparare che la vita ha un tempo di cui nessuno conosce l’inizio e la fine, ci ha costretto a fare dei conti, a guardarci negli occhi e, forse per la prima volta, a fare un bellissimo esame di coscienza, a ritrovare noi stessi e tutte le nostre fragilità, che non sono poche. Dunque oltre il timore e oltre la paura c’è una convinzione molto importante, che nella vita bisogna cambiare, è necessario cambiare, perché la verità è molto più sfuggente e complicata di quanto avessimo immaginato. Dentro questa verità la vita ne esce vincente, anche se con un numero di vittime impressionante, si è riproposta come bene unico e fondamentale, che lo hanno fatto capire in tanti, medici, infermieri, impiegati, operai, forze dell’ordine, ma soprattutto il popolo, quel popolo che temiamo sempre, forse per la sua composizione numerica, per la sua forza, ma anche per la sua generosità e la sua capacità di lottare senza mai retrocedere, quando è il momento. Se il mondo di oggi ha un gran bisogno di paternità, ha forse ancora molto bisogno di maternità, lo ha riconosciuto persino il Covid 19 che, di fronte alla forza e alla decisione femminile, si è tirato indietro, ha capito che sarebbe stato inutile percorrere quella strada. Certo la strada sarà ancora lunga, bisognerà ripensare tanto, capire che il passato, per quanto docente, non sia il presente e neppure il futuro, bisognerà ripensare una vita individuale e una vita collettiva, ritrovare una distanza che non sia irriconoscenza o allontanamento, ma educazione a nuove forme di conoscenza e di riconoscenza, bisognerà rimettere insieme i cocci di una politica immatura, incapace di avere una visione d’insieme sulla vita, i suoi bisogni e le sue necessità. Forse nel mese di maggio, il mese di una grande Madre, si potrà ripristinare il tempo della decisione, ma soprattutto quello di una riflessione profonda, che faccia conoscere all’uomo la sua storia, i suoi tempi, i suoi problemi e tutto ciò che gli serve per affrontare il futuro con maggiore sicurezza e tranquillità sociale, in particolare adottando quella collaborazione fattiva che è il punto di partenza di una grandissima riconversione di forme e di stili.
L’ITALIA DEVE RICONQUISTARE LA FIDUCIA, L’ASPETTA UNA GRANDE OPERA RIEDUCATIVA
di felice magnani
Non è facile avere nelle proprie file testimoni d’eccezione, amati o invidiati in tutto il mondo e poi dover tener fede a tutto quello che hanno insegnato. Dentro quelle file ci sono fior di educatori, pensatori, filosofi, architetti, scultori, pittori, santi, letterati, poeti, profeti, politici, sportivi, ricercatori, scopritori, insomma il nostro non è un paese qualunque, ha fatto la storia nazionale, europea e quella mondiale. Un’Italia senza mire espansionistiche, com’è successo per tanti paesi alla ricerca dell’eden per rimpolpare le proprie ricchezze, semplicemente un paese fisicamente bellissimo, dotato nella maggior parte dei casi di personaggi unici al mondo, ma con un grave difetto, quello di non essere mai riuscito a trovare una propria identità, un’identità non fittizia, ma sostanziale, non solo giuridica, ma compositiva, dove i diritti e i doveri sono diritti e doveri per tutti e dove la furbizia non aiuta a maturare, ma a svuotare la vita di forma, di stile, di buon senso, di onestà morale e intellettuale. Sono in molti oggi a guardare verso il nord, in particolare verso la Germania, per quale ragione? Perché da quelle parti i cittadini sono lo stato e quando lo stato chiama tutti rispondono, c’è quindi una fortissima consapevolezza civica che permette ai paesi del nord, in particolare la Germania, di continuare la sua marcia dimostrativa, mentre noi siamo qui a darcela l’un l’altro, dimostrando un livello d’immaturità sociale, politica e culturale che non meritiamo, ma da cui non riusciamo a venir fuori, perché il nostro carattere non è un bel carattere, o forse perché chi deve dare l’esempio non lo dà, anzi fa di tutto per farci odiare. Un paese intelligente è un paese che sa guardarsi attorno, che sa osservare da che parte stanno le cose da imparare, è un paese che è convinto che si possa far meglio e che gli altri abbiano sempre qualcosa di buono e di bello da insegnare, è un paese che non ha paura di riconoscere le proprie mancanze e le proprie debolezze, perché si rende conto che la perfezione non è di questo mondo e che nella vita bisogna sempre cercare di fare meglio. Ma ci siamo mai chiesti come mai all’estero ci prendo in giro? Ci siamo mai chiesti perché ci considerano un popolo poco affidabile sul piano della sicurezza interna? Ci siamo mai chiesti come mai quando andiamo in altri paesi ci comportiamo bene e poi qui a casa nostra, dove dovremmo essere al top, ce ne freghiamo di tutto e di tutti, cercando spesso di fregare il prossimo? Ma è possibile che anche in una collaborazione volontaria ci sia sempre qualcuno che metta i bastoni tra le ruote per antipatia congenita? Siamo sicuri che un paese può migliorare solo se ha tanti soldi a disposizione, ma poi non sa cosa farne? Come usarli e come spenderli? Ma è possibile che si continui a parlare di burocrazia, quando poi quelli che ne parlano sono i primi a tenerla in vita perché procura una qualsiasi sorta di potere mafioso. Ci siamo mai chiesti cosa sarebbe l’Italia senza la burocrazia? Come mai ci sono soldi da spendere per far lavorare un sacco di gente, per migliorare la condizione economica del paese e invece vengono tenuti in solaio ad ammuffire? E’ questa la nostra democrazia? Siamo sicuri che in questo modo facciamo il nostro bene? Siamo sicuri che il nostro parlamento abbia ancora un valore o non sia ostaggio di lobby e interessi che nulla hanno a che vedere con una sanissima forma di confronto costituzionale? Forse conviene imparare qualcosa dal ponte di Genova, dal sindaco della città e dal governatore Giovanni Toti, persone che hanno il dono della concretezza e della consapevolezza, capaci di rimettere in piedi ciò che l’incuria umana ha abbandonato al proprio destino? E’ forse arrivato il tempo di fare e poi ancora di fare e poi ancora di fare, smettendola con tutti quei cavilli dentro i quali la burocrazia si crogiola e trova sempre pane per i propri denti.
LE REGIONI, UNA SPINTA VERSO L’ALTO O VERSO L’ABISSO?
di felice magnani
Credo e ne sono più che convinto che l’istituzione delle Regioni avesse una fondamentale funzione istituzionale, avvicinare la politica alla gente, renderla più umana, più capace di interpretarne le spinte e le motivazioni. Una politica più vicina al cittadino le avrebbe permesso di farsi comprendere con più facilità e soprattutto avrebbe permesso alle istituzioni di avere un rapporto costante e diretto con i problemi, in particolare quelli che, visti da lontano, risultano sempre meno visibili a occhio nudo. Dunque un ordinamento che garantisse al cittadino di guardare da vicino, con orgoglio, i propri bisogni e le proprie necessità, anche solo l’idea di sentirsi capito, amato e protetto da chi lo rappresenta, era nel cuore e nella mente dei legislatori. Doveva essere così, ma la storia a volte sfugge e prende vie che non avresti mai immaginato, si catapulta dall’altra parte, dove l’onestà morale e quella intellettuale lasciano il posto all’incongruenza e all’iniquità e dove tutto diventa possibile, perché la democrazia, pur così prodiga di storia e di leggi scritte, non trova chi la interpreti e la rispetti nel modo giusto, perché risulta sempre più facile fare i propri comodi, dare un senso tutto personale a problemi complessi che riguardano l’intera comunità. Le Regioni sono un valore aggiunto, ma solo se ben sintonizzate con lo Stato centrale, capaci di fungere quindi la collante tra la politica periferica e quella che trova nel Parlamento la sua culla istituzionale. Il problema non è mai nella forma, ma nella sostanza. Se allarghi il cerchio della libertà devi essere sicuro che il destinatario sia in grado di capire bene il valore di quello che gli viene concesso, altrimenti si rischia il caos e nel caos chi la vince è sempre il più arrogante, il più distruttivo. In Italia non si è ancora capita una cosa fondamentale e cioè che le regole non sono una punizione, ma un valore aggiunto messo a disposizione dei cittadini per rendere più semplice, bella e gradevole la vita comunitaria. Il problema è che noi ci troviamo ancora, a differenza dei paesi del nord Europa, in una condizione in cui ciascuno vive la Costituzione come vuole, in barba alle regole, alle leggi e alla legalità. Se le Regioni e lo Stato centrale dicono che bisogna uscire con le mascherine, non si capisce perché molta gente esca senza. Ignoranza, menefreghismo o strafottenza? Ecco il punto dal quale una parte della popolazione italiana non riesce a decollare, il rispetto, il non fare quella cosa perché se la fai danneggi non solo te stesso, ma tutta la comunità. Il controllo nasce da uno stato di necessità reale, sarebbe bello infatti se ciascuno fosse cosciente di cosa deve fare per essere in regola con le richieste del paese. Riuscirà il Covid 19 a far uscire l’Italia da uno stato di anarchia confusionale, indirizzandola verso forme di vita collettiva fondata sulla coesione, sulla condivisione e sul rispetto delle regole sociali? Sapremo riscoprire il senso di una libertà per conquistare la quale abbiamo dovuto pagare un prezzo altissimo di vite umane e di immensi sacrifici? Sapremo ridare un senso alla tolleranza, al silenzio, all’educazione, alla capacità di riflettere prima di agire? Le attese in questo senso sono tante, il nuovo mondo che ci attende dovrà essere all’altezza, ma perché ciò avvenga è necessario che ciascuno si assuma in toto le proprie responsabilità.