SPIEGHIAMO AI GIOVANI L’IMPORTANZA DEL BENE COMUNE
di felice magnani
Parlare del bene quando il male dilaga è fondamentale, è come imbracciare l’onestà e lasciarsi alle spalle tutto ciò che odora di ingiustizia e di illegalità. Di solito quando si ravviva la speranza gli esseri umani si sentono rinascere, è una spinta interiore che lava via le ferite e tutto ciò che impedisce al cuore di battere per cause giuste, per cause sante, è come riaprire di nuovo il libro della coscienza e rileggerlo con la cura di chi ne ha capito la forza, la bellezza, l’essenza vera e profonda. Mentre la politica si tinge di ambientalismo per cercare nuove piste da cui decollare e mentre i demiurghi si affrettano a inventare nuove strategie per rendere la vita più dura agli avversari, resta aperto il tema dei giovani, in particolare dei preadolescenti e degli adolescenti, alle prese con una crescita che è stata difficile per tutti, ma che rischia di esserlo ancora di più se la società non apre gli occhi e non s’impegna a trovare soluzioni educative adeguate, che abbiano l’accortezza di incanalare la straripante dose di energia che si riversa quotidianamente in tutte le pieghe e sfumature dell’assetto comunitario. La giovinezza è un dono incommensurabile, è l’incontro con la vita in tutte le sue parti, è il momento in cui il mondo interiore si tende nei confronti di tutto ciò che incontra per cercare di capire, assimilare, condividere, è anche il momento dell’esplosione ormonale, di una sensibilità che s’incunea nella vita per assorbirla,investigarla,per metterla sotto osservazione, infischiandosene in molti casi delle convenzioni stabilite. I giovani non hanno dimestichezza con il tempo e le sue regole, per loro la vita è un impetuoso e generoso torrente di montagna che scorre a tratti con quella cieca ovvietà che spesso va a sbattere contro una realtà che non è sempre quella umanamente pensata o voluta. L’approccio resta il punto fondamentale, è lì che l’innamoramento comincia a delinearsi, a quantificarsi, riconoscersi, a scoprire le pieghe di un mondo rimasto forse troppo a lungo avvolto nei misteri di una civiltà ermeticamente chiusa, per impedire di scoprire quali siano i veri tesori del mondo che ci appartiene. I giovani hanno un grandissimo bisogno di capire cosa significhi vivere, sussultare, arrossire, arrabbiarsi, controllarsi, amare e soffrire, amare e gioire, alimentando quell’energia che, se non guidata, rischia di disperdersi in mille rivoli e magari di cadere miseramente in pasto alle spire sapientemente disposte dal male. Preparare i giovani alla vita democratica dovrebbe essere il motivo dominante di un sistema che vuole crescere, che pone al centro di tutto l’essere umano, che lo valorizza e lo promuove. Il cuore dei giovani, si sa, batte forte, ma la forza, se non è coerentemente guidata, rischia di perdersi per strada, proprio quando occorre premere per realizzare quella parte di responsabilità, democraticamente riconosciuta. Non è facile far apprendere l’importanza del bene, perché qualsiasi spiegazione, anche la più convincente, rischierebbe d’impattare contro un vissuto personale estremamente variegato. Non è neppure facile usare sempre un linguaggio ideale, porgere l’esempio giusto, in molti casi vale forse molto di più il colpo di cazzuola di un bravo muratore del lucido di un geometra o di un architetto. Molto dipende dalla qualità del soggetto, dalla sua capacità di saper rispondere alle attese e alle provocazioni della vita.L’esempio conta comunque moltissimo, ma non sempre è esaustivo, non sempre consente di ritagliare fasce di credibilità e di attendibilità, spesso c’è infatti bisogno di tempi e di modi adeguati per consentire alla vita di mostrare i suoi volti e alle istituzioni di poter rispondere in modo mirato. Saper orientare la sensibilità genera nuovi interessi, apre la sensibilità a nuove scelte, corrobora la volontà e la mette in condizione di adire più facilmente verso prese di coscienza capaci di allertare lo spirito critico, la volontà di sentirsi umanamente e socialmente coinvolti. L’assunzione di senso di responsabilità individuale e collettivo è fondamentale nell’evoluzione di quello spirito comunitario che tende ad accogliere e a orientare. I giovani hanno un estremo bisogno di bene, di educatori che credano nella loro missione, soprattutto quando esporsi sul piano educativo significa non essere capiti e incontrare l’antagonismo oppositivo da parte di chi ritiene che la società possa vivere in modo anarchico, senza regole guida e senza qualcuno che le faccia applicare. Insegnare il bene è una straordinaria forma di catechismo, è un obbligo oltreché un dovere nei confronti di quella parte di società civile che si guarda attorno per capire che cosa occorra fare per costruire un futuro su cui poter contare. Le agenzie educative di oggi non sono più così convincenti come quelle di una volta, quando la società parlava un linguaggio comune che riguardava tutti, oggi in molti casi si tende a personalizzare fortemente la realtà, a propria immagine e somiglianza, si tende ad assolvere sempre, a non dare il giusto peso all’errore e alla sua possibilità di assoluzione, si parla pochissimo con i giovani, soprattutto quando hanno un estremo bisogno di essere ascoltati. Stare dalla parte del bene non è mai facile, non è facile saper dire di no quando tutti stanno dall’altra parte pronti a irridere, a spandere ironia e sarcasmo, a voler dimostrare che la forza consiste nella gestualità violenta o in un linguaggio brutale, non è facile consigliare, parlare, dialogare, costruire, eppure la parola, quella saggia e persuasiva, ha sempre sortito un effetto, è stata l’inizio di un faticoso, ma anche gioioso cammino di conversione personale. Approdare al bene comune non è un’impresa facile, ma ci si può arrivare se tutti impegnano le loro risorse, fuori dai circuiti dell’interesse personale o di gruppo, ma perfettamente dentro l’ambizione di aiutare la condizione umana a essere sempre un pochino più umana.
RICUCIAMO IL TESSUTO SOCIALE
di felice magnani
Mentre da più parti si parla del futuro digitale della buona scuola, il presente richiama l’attenzione su temi e problemi di ordine morale, sociale, educativo, problemi che si legano al tema dei rapporti e a quello delle relazioni, per ristabilire un ordine che con il passare del tempo ha perso di consistenza, lasciando sul campo atti di bullismo, intemperanze, assenteismo, abbandono, protezionismo esasperato, prevaricazioni di vario ordine e natura. Una scuola che arranca soprattutto in quella che dovrebbe essere la sua carta vincente, quella che la qualifica sia sul piano culturale sia su quello umano, che la caratterizza nella sua volontà di essere al tempo, di saper quindi interpretare un mondo che avanza a passi svelti, ma con l’ambizione di non dimenticarsi mai di chi sia la persona da educare e da far crescere. Ricucire un tessuto non vuol dire sminuire l’immagine di chi professionalmente opera, ma potenziarla, fornendo tutte le prerogative utili per evitare che il male possa prendere il posto del bene. Dentro il tessuto sociale si annoverano numerose implicanze, dall’educazione familiare, a quella sociale, alla necessità di sviluppare pacchetti educativi capaci di stimolare la voglia di crescere dei ragazzi, creando un rapporto più stretto tra istruzione, vocazione professionale, cultura, impegno e ricerca e soprattutto creando un rapporto più serrato con quel mondo artigianale e imprenditoriale che insiste sul territorio di appartenenza. Il tessuto va curato, ricucito e potenziato, in modo tale che sia resistente agli strappi di una società che in molti casi stenta a trovare il filo conduttore della sua unità e che si lascia spesso soggiogare da visioni di natura utopica, messe in campo per ragioni di carattere personale, ma totalmente lontane da una composizione equilibrata ed armonica della realtà. Ciò che manca oggi è l’autorevolezza, la convinzione che il rispetto sia il punto di partenza nella costruzione di un rapporto in cui siano ben chiare le regole del gioco e che non lasci dubbi su ciò che sia necessario fare per ripristinare un ordine gerarchico chiaro, in cui siano inequivocabilmente confermati i principi base. Ricostruire, dopo la crisi profonda di questi anni, è senz’altro complicato e difficile, perché si tratta di ripartire dai punti chiave, dai pilastri portanti di un’educazione, di una identità, rivalutando quei temi fondamentali come l’autorità, l’ordine, la disciplina, il rispetto e sviluppando un preciso senso di responsabilità personale. Dopo anni di confidenzialismi prolungati, di sottovalutazione della personalità, di una crisi antropologica che ha coinvolto tutte le categorie generazionali, riprendere non è facile, ma è doveroso, soprattutto per stimolare positivamente le giovani generazioni, restituendo quella fiducia nel futuro che è condizione essenziale per costruire una comunità capace d’incamminarsi senza problemi sulla strada di una ripresa economica, morale, sociale, religiosa e spirituale.
LA POLITICA NON E’ OSTAGGIO
di felice magnani
In questi anni si è parlato molto di politica, l’abbiamo ascoltata attraverso i video, ci siamo domandati spesso quale fosse realmente la sua funzione, che cosa facesse di così importante per meritare la fiducia delle persone, l’abbiamo spogliata e poi rivestita, con uno spirito molto più distaccato rispetto al passato. Abbiamo cercato di capirla anche quando diventava quasi impossibile, tanto era infarcita di ambiguità e di arroganza. L’avremmo voluta meno irascibile, meno conflittuale, meno vocata alla violenza, meno attaccabile sul piano della legalità, l’avremmo voluta più vicina ai nostri problemi, alle nostre difficoltà, meno soggiogata e più libera, capace quindi di parlare con chiarezza e trasparenza al cuore della gente. In fondo abbiamo continuato ad amarla, nonostante fosse diventata ostaggio di individui senza scrupoli, di mafia, camorra e n’drangheta, di ignoranza e di sopraffazione, cercando sempre di dividere con cura il bene dal male, le brave persone da quelle cattive, le cose giuste da quelle sbagliate. Abbiamo cercato di crederle nonostante tutto. L’abbiamo ascoltata. Abbiamo continuato ad accordarle il nostro voto, la nostra fiducia, la speranza che l’onestà e il rispetto l’avessero vinta sulla disonestà e sulla sopraffazione, avremmo voluto farne parte, salvo poi ritrarci in silenzio, guardandola con timore, con la paura che avesse perso per strada la facoltà di essere quella per cui era nata una mattina di primavera, grazie alla sottile inventiva di grandi uomini, capaci di cogliere e assecondare lo spirito profondo che alligna nella vita, in tutte le sue manifestazioni. In qualche caso l’abbiamo anche vissuta, salvo renderci conto che non era così disponibile e generosa come l’avevamo sognata, quando qualcuno più grande di noi ci aveva raccontato che bisognava agire concretamente, che il bene non era solo belle parole o belle frasi, ma s’incarnava nella partecipazione alla costruzione di un modello di società e di stato capaci di soddisfare le attese e le speranze della gente comune, quella che con grande spirito di servizio accorda la propria fiducia e la propria generosità. Dunque non l’abbiamo mai ripudiata, neppure quando la vedevamo sommersa in laghi di fango o quando ansimava barcollante tra aule di tribunali e inquisizioni, tra corruzioni e contraffazioni, le abbiamo sempre riservato una parte della nostra onestà, ricordandole che la gente comune non abbandona mai chi ha bisogno, chi si rivolge al popolo per chiedere scusa o per ricominciare. Esiste sempre una via per ripartire, per fare un esame di coscienza, per capire se quello che facciamo è giusto, è vero, è legale, oppure se siamo vittime di un orgoglio smisurato e di un narcisismo che cancella ogni possibilità di rinascita. Non è vero che la politica è tutta malata, ma è vero che ha bisogno di grandi cure, ha bisogno soprattutto di medici, infermieri, professori, specialisti, ma anche di tanta brava gente che non le ha mai fatto mancare l’onestà del lavoro, della famiglia, del servizio, di un impegno continuo e costante. Certo deve ricominciare a guardarsi attorno, ad aprire gli occhi, a non cadere nell’eccesso o nella presunzione, deve porsi delle domande, immedesimarsi, sfruttare la propria coordinazione empatica, ristabilire un dialogo aperto e rispettoso con il mondo, quel mondo che spesso ci piove addosso perché non sa più cosa fare e dove andare, quel mondo che molto spesso ce lo ritroviamo vicino senza averlo chiamato, ma di fronte al quale dobbiamo saper assumerci responsabilità precise. La politica deve avere sempre una carta da giocare, non deve lasciarsi sorprendere, non deve cadere in ginocchio, deve parlare sempre con la lingua della fermezza e della legalità, deve dimostrare sul campo le ragioni della sua presenza, deve saper cogliere le speranze, senza pretendere di imporre, ma con l’accortezza di chiamare a raccolta ogniqualvolta la decisione è importante e si risolve con il concorso di tutti. Chi ama la politica e la forza ragionevole del suo servizio la sa comprendere e investigare, sa coglierne il sapore e l’umore, anche attraverso un video capisce chi esagera e chi no, chi è onesto e chi invece tenta disperatamente di imbrogliare le carte per un tornaconto personale. Chi ama la politica non si lascia sorprendere e distrarre, capisce soprattutto che la violenza va sempre respinta e che l’unica via della costruzione è quella della conciliazione, conservando il carattere della diversità. In questi anni il cittadino ha subìto di tutto, si è sentito spesso ostaggio di gente senza scrupoli, di ampollosi e irriverenti accompagnatori, sempre pronti ad alzare la posta, a tradire i bisogni veri e le necessità della gente comune, quella che con la sua forza e con la sua energia tiene in piedi un progetto nato molti anni fa, dopo una guerra disastrosa. E’ guardando in faccia le speranze di un mondo giovanile a corto di valori, è capendo le difficoltà di un mondo anziano che spesso vive nella solitudine più profonda e senza quell’aiuto istituzionale che lo assolverebbe da tante frustrazioni e depressioni, è soprattutto da quel mondo adulto vivo ed efficiente, che ha imparato anche a dare senza ricevere, che bisogna ripartire, rimettendo in piedi una nazione, piegata da mille problemi.