– E’ sbocciata in tutte le sfumature della sua multiforme personalità Camille Claudel giovedì sera sul palco dell’Openjobmetis, durante il monologo “Moi”, scritto da Chiara Pasetti, giornalista del “Sole 24 Ore”. Il testo, liberamente tratto dalla corrispondenza della scultrice (1864 – 1943), diretto da Alberto Giusta, ha portato alla luce la forza, la fragilità, l’aggressività, il bisogno di tenerezza di una figura che contiene in sé molti contrari, racchiusi in spazi che si fondono e che originano un amalgama avvincente. Lisa Galantini, sola, su un palcoscenico volutamente disadorno, l’ha fatta vivere in modo magistrale: “Non racconto lei, faccio lei, donna difficile, da non innamorarsi”, ha spiegato nel momento che ha preceduto lo spettacolo. E “quel cervello pieno di ragnatele e di nebbia prima di scorgere l’abisso”, che sfocerà nella pazzia e nel conseguente internamento per trent’anni fino alla sua morte, ha visto momenti che sapevano di allegria, di struggente bisogno di affetti, di urla, di fastidio. “Ho “sporcato il testo” – ha spiegato l’attrice – volutamente, d’accordo con l’autrice e il regista. Ho introdotto pause lunghe, ho finto di non ricordare parole per creare quella sorta di fastidio che è una componente non trascurabile della sua vita”. Camille e la scultura è bastata solo la gestualità della Galantini per far comprendere al meglio quel “creo forme, forme che sono poesia. Mi ci sono applicata con tutta l’anima, a quelle terre. Ho cercato di metterci dentro musica, poesia, colore”. Si è rivolta al celebre fratello Paul, alla madre, che l’avevano volutamente abbandonata in manicomio. Unica voce fuori campo quella di August Rodin, che l’aveva abbandonata dopo un intenso rapporto sentimentale. E si è rivolta al pubblico con un invito estremamente attuale: “E’ una donna – sottolinea l’attrice – che oggi dà ragione alle donne di credere nella loro forza. Bellissima donna, non è mai concessa. Non ha puntato sull’avvenenza, che avrebbe potuto integrarla in un mondo accogliente, ma sempre difeso il suo talento, non accondiscendendo alle regole del mondo dell’arte del suo tempo”. Felice degli applausi calorosi del pubblico la Galantini ha aggiunto: “Il monologo è un arma a doppio taglio, sinonimo di grande fatica, ma anche di grandissima libertà nel gestire il pubblico in modo non convenzionale. Il testo è così vivo che non sembra nemmeno scritto, ma esclusivamente parlato”. Commossa la Pasetti al termine dello spettacolo: “Quando seguo lo spettacolo, tutte le volte mi sembra impossibile che l’abbia scritto io!”.
Federica Lucchini