DOTTOR MILOS KOGOJ, UN MEDICO CONDOTTO D’ALTRI TEMPI
Di Felice Magnani
Quando l’amico Frattini mi propose di interessarmi ai ragazzi del Varese …
Un giorno, quasi per caso, l’amico dottor Luciano Frattini mi propose di entrare nella grande famiglia del Varese Calcio, dove lui esercitava da tempo il ruolo di medico sociale della prima squadra. Ebbe inizio una nuova vita per me e per la mia famiglia, una vita vivace, movimentata, molto interessante, perché stare con i giovani è una esperienza meravigliosa. Luciano era un entusiasta e il suo entusiasmo era contagioso. Il mondo giovanile lo coinvolgeva, era felice di stare con i ragazzi del Varese, lo si capiva in mille modi. Grazie a lui sono finito ad interessarmi del settore giovanile dove mi sono trovato subito molto bene. Dipendevamo direttamente dai dirigenti e dall’allenatore in modo particolare. Il periodo di Fascetti è stato bellissimo. Era un uomo straordinario: molto onesto, preparato, anche un pochino esorbitante. Si accendeva con facilità e si arrabbiava tantissimo quando capiva che l’amore per lo sport non era l’unica ragione dei dirigenti o dei capi. Diede le dimissioni all’epoca del presidente Colantuoni. Ricordo che uscì sbattendo la porta, urlando: “Per loro esistono soltanto i soldi”. Ecco, Fascetti era soprattutto questo, un galantuomo che anteponeva le ragioni dello sport a quelle della finanza. Con lui avevamo entrambi un ottimo rapporto anche di natura personale. Le nostre famiglie erano al centro delle nostre argomentazioni, ma si parlava molto spesso del Varese, di organizzazione, del tipo di educazione da impartire. Fascetti voleva che il medico fosse un moderno educatore. Per questo ci suggeriva di parlare soprattutto di educazione, di sviluppare una forte motivazione valoriale, di coinvolgere direttamente gli atleti sui diversi temi della crescita adolescenziale. Sapevamo tutti che i rischi erano parecchi e che sarebbe stato estremamente necessario avviare un confronto serio, diretto, leale, amichevole e anche un po’ paterno con i ragazzi, fornendo indicazioni, stimolando la voglia di mettersi a confronto con decisione e realismo. Per me e Luciano non è stato difficile entrare nella parte, perché eravamo naturalmente portati al dialogo con i giovani. L’essere entrato nel pianeta calcio grazie a Luciano mi ha permesso di dare una parte della mia esperienza con modalità diverse, mosso però sempre da un affetto fraterno e profondo nei confronti della condizione umana. Sono stato al Varese Calcio dal 73 al 93, vent’anni di condivisione calcistica con l’amico Luciano, vent’anni di entusiasmi, di ardori sportivi conditi sempre da tanta umanità e comprensione. Anche mia moglie Enrica partecipava delle nostre avventure sportive, volando con me nei vari stadi italiani. Luciano, non avendo molta dimestichezza con l’aereo, preferiva seguire le partite di casa, quindi ero quasi costretto a imbarcarmi e a volare in trasferta. Ci dividevamo i compiti senza problema alcuno, sapevamo che la nostra amicizia era bella proprio per questo, perché sapevamo aiutarci quando ce n’era bisogno. Ho voluto molto bene anche Pietro Peo Maroso, persona estremamente sensibile. Era molto serio sia come allenatore, sia come dirigente. Sapeva distribuire con intelligenza la sua visione delle cose. A tratti poteva sembrare un po’ spregiudicato, ma lo era solo a fin di bene, per mettere le cose a posto quando ce n’era bisogno. Anche Sogliano era in gamba sia come allenatore, sia come tecnico, era molto abile nell’ affermare la propria personalità. E’ stato un ottimo conoscitore dell’ambiente e dei giocatori. Ero al Varese quando c’è stata la caduta del presidente Colantuoni. Chi lo sa, forse arrivando a Varese sperava di trovare chissà quale entusiasmo o forse immaginava che si trattasse di un affare. Era il tempo in cui le squadre cominciavano ad essere viste e considerate come aziende, con una chiara propensione all’investimento. Forse immaginava che l’ambiente varesino fosse un po’ come quello di Genova. Certo le sue parole: “Venderò le porte e venderò l’erba del campo”, indirizzate molto probabilmente a chi gli aveva fatto uno sgarbo, suonarono come un fulmine a ciel sereno e interruppero un matrimonio. Sta di fatto che sull’onda di una frase quasi “biblica”: “La chiave del nulla la consegnerò al comune di Varese”, vendette gran parte del Varese Calcio alla Triestina, la quale ripagò col passaggio di elementi ormai fuori mercato. Con i ragazzi ho sempre mantenuto un ottimo rapporto, mi hanno sempre dimostrato affetto anche dopo la nostra esperienza sul campo. Venivano a trovarmi a casa e tra un aperitivo e un bicchiere di vino è continuata la mia storia personale con la primavera del Varese, la squadra che ha sfornato tanti campioni che hanno dato lustro alla squadra e alla città. Io e Luciano eravamo fuori dal giro degl’interessi finanziari, eravamo due medici prestati al calcio che facevano cose per passione, che amavano ad oltranza lo sport e quello che lo sport sapeva dare all’animo umano, alle persone che ci credevano. E’ stata una parentesi stupenda, galvanizzati tra l’altro da una città che amava il calcio, i suoi ragazzi, i dirigenti, l’allenatore, che stimolava e incoraggiava a dare sempre il massimo.
Milos Kogoj: ho incontrato tante persone…
Di Felice Magnani
“Durante la trasferta del Varese a Cagliari ho incontrato Gigi Riva. Mi ha chiesto degli amici di Cittiglio, in particolare del Broggini, suo compagno di squadra nelle file del Laveno. E’ stato gentilissimo. Mi ha parlato del suo passato con quella semplicità che lo ha sempre contraddistinto. Ha mantenuto intatti i rapporti personali con i vecchi amici, con i quali intrattiene tuttora un rapporto fraterno. Una domenica, di ritorno da una trasferta a Catania ero in compagnia di Chicco Prato, oggi sindaco di Germignaga. Stavamo tornando a casa. Era notte fonda. Passando da Comerio, vediamo una macchina ferma. Pensiamo sia successo qualcosa. Al posto di guida c’era un uomo immobile. Eravamo incerti sul da farsi. Ci siamo fermati, abbiamo telefonato alla Questura e abbiamo aspettato che arrivassero la polizia e il magistrato. L’uomo era privo di vita, vittima molto probabilmente di un incidente stradale. Ricordo che Prato si comportò come un vero e proprio leader, dimostrando la sua profonda attitudine alla legalità . Bravo in campo e bravo fuori, quando si tratta di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Tra i tanti incontri con personaggi del mondo sportivo ricordo quello con il dottor Enrico Arcelli. Era stato Fascetti a volerlo, per organizzare il calcio su basi scientifiche. Fascetti era un allenatore molto preparato e quindi voleva fare le cose adottando un sistema di assoluta metodicità. Arcelli era il medico che faceva al caso suo. Da buon toscano sapeva sempre come togliere le castagne dal fuoco e soprattutto non le mandava a dire. Era abituato a dire le cose in faccia. Dunque una vita ricca di tante vicende, conoscenze, di tanti incontri importanti e, soprattutto, di tanti amici incontrati e mai abbandonati. Ritengo che la cultura sportiva e quella musicale siano fondamentali nella crescita delle persone, purtroppo oggi queste discipline hanno un ruolo subalterno nel panorama culturale italiano. Sarebbe auspicabile che potessero entrare a pieno titolo nella crescita formativa delle giovani generazioni. Per fortuna sono ancora saturo di questo passato, lo vivo ancora nella sua pienezza. Non c’è stato un distacco improvviso come può essere per altre professioni, ho continuato a coltivarne la memoria anche attraverso l’amicizia con persone che lo hanno caratterizzato. Oggi voglio pensare un po’ a me stesso, alla mia curiosità, alla voglia di leggere, di capire, di lasciarmi condurre dalla bellezza di una libertà che scandaglia con la giusta armonia la storia passata, lasciandomi il tempo di emozionarmi e di riflettere anche su quella recente”.
Dott. Milos Kogoj: la lettura è una grande sorgente di benessere
Di Felice Magnani
“Sono affascinato dalla lettura. Oggi ho molto più tempo a disposizione e soprattutto ho la giusta disposizione d’animo per viverne appieno la bellezza. Sono affascinato da quella storica. Ho appena terminato di leggere la vita di Cesare Ottaviano Augusto e sto iniziando quella di Marco Aurelio. Nei libri cerco un mix di conoscenza e relax, la possibilità di divertirmi rispondendo a quella curiosità che porto dentro da sempre. Sono attratto dagli autori Russi, Tolstoj e Dostoewsky, dalla condizione umana osservata nei suoi risvolti etici, spirituali e religiosi. Mi piacciono i libri che sviluppano tematiche esistenziali, oppure quelli di taglio filosofico o scientifico. Alla mia età è piacevole cercare risposte ai grandi interrogativi della vita, senza mai dimenticare la filosofia familiare, imparata da genitori che avevano il dono della semplicità comunicativa condita di grande sapienza familiare. Credo sia molto importante abituare i giovani alla lettura. E’ un salto di qualità verso la vita e le sue ricchezze, un modo intelligente di crescere, di capire qualcosa di più dei grandi misteri della vita. Leggere in libertà è la cosa più bella, perché scegliamo senza subire condizionamenti. Attraverso la lettura s’impara a conoscere e a conoscerci, a stabilire un filo diretto con il tempo e con lo spazio, con l’interiorità e l’esteriorità, con l’ambiente e soprattutto con quei perché ai quali cerchiamo di dare delle risposte. Leggere è un po’ come mettere ordine dentro noi stessi, ricucire strappi, dare spazio all’energia repressa, lasciare che una parte di noi prenda il volo e impari a conoscere più a fondo il cuore e l’anima dell’uomo. Dopo moltissimi anni d’impegno professionale, di entusiastico volontariato, oggi riservo una parte importante della mia vita alla lettura, quella che ama circumnavigare lo spirito umano, le sue leggi, le sue regole, la sua voglia di dare un senso compiuto alle vicende umane”.
Milos KOGOJ: “Questa è la mia fede….”
Di Felice Magnani
Continua così un dialogo iniziato molto tempo fa, un dialogo che diventa sempre più volo radente sulla vita per scoprirne umori e bellezze. Si tratta di frasi e parole dette in libertà, senza l’assillo di obiettivi o progetti. Si tratta di riflessioni, ricordi, tentativi di mantenere in equilibrio il senso di una vita ricca di risvolti umani, culturali, di momenti da conservare perché la storia continui il suo corso. Novantuno anni sono uno spazio straordinario di attività, di umori e sentimenti, di aneddoti e persone che hanno colorato la nostra storia di uomini e donne, ponendoci spesso di fronte al tema dell’esistenza. E’ in questa direzione che il dotto Kogoj risponde alla mia curiosità, è così che l’amicizia si apre a una nuova parentesi di vita, lasciando nell’aria uno strano sapore di cose amate da conservare.
Dottore, vuole parlare della fede?
Con piacere, ma non voglio pensare troppo, perché temo che mi si presenterebbero degli interrogativi a cui non saprei dare risposte. Non voglio gettare ombre su quello che ho imparato, su quelle certezze che sono state il cardine della mia vita. In me prevale il voler credere che sia così. Pascal affermava: “Mi conviene credere. Se non c’è niente sarai vissuto con la serenità di chi ha creduto, se c’è qualcosa avrai anche il premio”. A volte mi sorprendo e mi domando: “ Perché vai a fare la Comunione?”. Questa è la risposta: “Perché Dio mi conservi questa serenità, di continuare a credere in ciò in cui credo da molto tempo, qualche volta anche con fatica”. In questo senso conservo le indicazioni dei miei genitori, che erano persone molto semplici. Mio padre mi diceva sempre che non aveva mai pensato o sentito che la chiesa avesse insegnato cose cattive. Ogni volta che incontravo mia madre la sua predica era questa: “La domenica vai a Messa? Non è necessario essere fanatici, ma se vai qualcosa ti rimarrà e sarà sempre un punto di riferimento che, nei momenti di difficoltà, ti salverà da sbandate. Non c’è bisogno che tu nutra un particolare entusiasmo, anche se non hai voglia vai lo stesso”. Oggi tra figli e genitori c’è un rapporto difficile, ci si parla poco o a scatti. Ricordo i miei genitori con molta gratitudine, anche se sono andato via da casa abbastanza presto. Ricordo come fosse ora che mi dicevano: “Non vogliamo influire sulle tue scelte, perché sei abbastanza grande; puoi anche sbagliare, pensa sempre però che potrai rimediare agli errori che farai. Dormirai come ti sarai messo la paglia”. Oggi ho tempo di pensare anche a questo. E’ giusto fare uno sforzo per cercare di raggiungere un’armonia, anche se ritengo che sia difficile raggiungere la perfezione. Accettarci per quello che siamo credo sia già armonia. Il sapere che possiamo sbagliare, meravigliarci delle nostre difficoltà e delle nostre incoerenze, come delle incoerenze degli altri, il rapporto che abbiamo con le persone sono tutti passi importanti verso un più chiaro riconoscimento di noi stessi. Il fatto poi di avere simpatie o antipatie, amici o nemici, fa parte del gioco della vita. L’uomo è quello che è, con le sue bellezze e le sue inadeguatezze. In ognuno di noi c’è un pizzico di egoismo, vorremmo apparire diversi da quelli che siamo, ciascuno di noi vuole sembrare intelligente, bravo, di buon senso, insomma a volta la nostra natura è un po’ così, curiosa, contraddittoria e, forse, tutto questo è anche una parte della sua ricchezza, quella che ci stimola a conoscerci e a conoscere sempre un pochino di più quello spazio di mondo che vive dentro e fuori di noi.
