– “Prima di essere un amministratore sono un uomo”. Sta in questa frase del sindaco Fabio Passera, portavoce della “Rete civica dei Sindaci per l’accoglienza” la chiave di una scelta che lo ha coinvolto in primo piano assieme al parroco don Franco Bianchini e alla sua comunità nell’ospitare i richiedenti asilo. Ed è stata evidenziata venerdì al “Punto d’Incontro” durante la serata “Quando accogliere diventa una scelta di vita” organizzata dalla cooperativa “Agrisol Servizi” di Ferrera di Varese, rappresentata da Simone Maritan, in collaborazione con la Caritas Diocesana di Como, presente con Marco Rigamonti. “Accoglienza in famiglia: una strada per promuovere l’integrazione dei migranti”: un tema attuale che vede protagoniste tante famiglie, fra cui quella di Max Laudadio inviato di “Striscia la notizia”. Parole incisive in apertura quelle del primo cittadino sulla scelta dell’ospitalità: “Sono un sindaco di questa Repubblica, il governo italiano ha fatto una scelta, stava a me consegnare la fascia tricolore se non ero d’accordo. Ho preferito dire: “Io ci sto”, il 25 agosto del 2015 quando mi ha telefonato il Prefetto, Giorgio Zanzi, invitandomi ad accogliere per un tempo limitato 27 migranti. Nel corso di questo tempo – ha continuato Passera – sono transitati a Maccagno 80 migranti, ospitati in una struttura comunale e in una struttura data in gestione agli scout per periodi non continuativi, con nessun costo, essendo questi a carico della cooperativa “Agrisol”. Hanno avuto la dignità di essere stati accolti e integrati e non sopportati. Non è un buonismo peloso il nostro: siamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni enormi. Posso mettermi io di traverso a bloccarlo con 2500 abitanti? Se anche i 96 comuni che non hanno scelto di accogliere – e qui parlo a nome della Rete dei Sindaci – si unissero questo diventerebbe un processo governabile, non da subire”. E il tema dell’accoglienza quotidiana, durante la medesima serata, è venuto avanti con la sua bellezza e le sue difficoltà, con molto realismo. A partire da Max Laudadio, che nei confronti di Stanley, nigeriano, il badante di suo nonno, integrato nella sua famiglia, ha usato parole di grande affetto: “E’ diventato il fratello maggiore di mia figlia ed è apprezzato nella comunità, anche per i suoi valori sportivi. Per questo motivo ho deciso di accogliere un altro richiedente asilo. E un’esperienza di un tale arricchimento che ti costringe a metterti in gioco fino in fondo”. Anche i coniugi Irene e Francesco Galbiati, Giuseppe Lombardo, Letizia e Michele Latini hanno raccontato le loro esperienze. Non tutte sono rose e fiori: si può ospitare una ragazzina dalla forte personalità, indurita dalla vita, che fatica a comprendere il nostro modo di vivere, oppure un uomo dal carattere deciso perché al suo Paese era un capo politico e, come tale, assume un ruolo di serietà che non contempla il ridere o il divertirsi e tanto meno l’invito a giocare a calcetto. Che non capisce, in alte parole, le nostre modalità di accoglienza. Per molti di loro è difficile accettare che le donne portano i pantaloni: è un’usanza che va al di là del loro modo di vivere. C’è anche la gioia di avere già figli grandi e tornare a fare i compiti con i piccoli ospiti, c’è anche l’ammirazione per la serietà e il rispetto dei migranti che entrano in punta di piedi nelle case, grati di dar loro la possibilità di vivere. Come gratitudine manifestano al meglio le loro potenzialità. Dietro l’ospitalità, insomma, c’è la vita con le sue luci e le sue ombre, ma appunto perché vita è un dono.
Federica Lucchini