La sua vita è segnata da una linea di demarcazione: quella che separa l’acqua dall’aria. Il 26 luglio 1966 la barca su cui si trovava il tredicenne Mauro Zanetti si ribaltò: il ragazzo rimase sott’acqua per tre minuti e mezzo e fu salvato in extremis dal padre Giannino, pescatore professionista del lago di Varese. Quell’esperienza è ancora scolpita nella sua anima. E’ cresciuto in una famiglia con l’acqua del lago nelle vene, ma lui con quelle acque ha un rapporto di amore-odio. Per quarant’anni ha preferito praticare speleologia, ha preferito scattare foto, sì, di lago, ma dove l’ambiente attorno si rifletta nelle acque e dove sia evidente quel limite che quel giorno lui aveva cercato disperatamente di raggiungere. Definiva i pescatori uomini/nebbia. Non riusciva a comprendere quel loro non vivere senza il lago. Eppure questo suo rifiuto è stato estremamente fecondo: tutto è iniziato con la conservazione della pagina della Prealpina che parlava del suo salvataggio. Vi compare in foto con il padre, incaricato di recuperare le persone annegate. Per ben 44 volte il genitore è stato chiamato ad assolvere questo compito così duro, essendo un ottimo conoscitore del fondale: l’unico che è riuscito a salvare è stato il figlio. Il valore di quella pagina ha fatto scoprire a Mauro l’importanza dei documenti. E Mauro -roccia d’acqua come si definisce- ha compreso il suo compito nei confronti del lago. L’archivio che ora possiede inerente al lago di Varese è di una ricchezza inimmaginabile: non bastano le 10mila foto e le 1000 cartoline della nostra zona. Ci sono quei 16 grandi raccoglitori che contengono tutti gli articoli di quotidiani, a partire dal 1977, che parlano di lago. Sfogliarli significa avere di fronte un excursus straordinario: leggendo solo i titoli si rivivono le cocenti delusioni dei pescatori nel vedere sparire quell’habitat che conoscevano fin da bambini, le loro lotte con l’allora presidente della Cooperativa Pescatori, Natale Giorgetti, i tentativi di risanamento, la loro vita quotidiana. Grazie alla sua chiara grafia, è interessante leggere la raccolta anagrafica dei pescatori. La sua ricerca è cominciata nel 1990, andando dai parenti per chiedere informazioni, presso i cimiteri, i comuni, nei registri parrocchiali. Vite che emergono e che vengono avanti con i loro soprannomi. C’è poi quel lavoro che ha richiesto un tempo incalcolabile: la toponomastica del lago, divisa in 151 zone ognuna con il proprio nome dialettale, scoperto battendo il lago palmo a palmo con il compianto pescatore Daniele Bossi e il fratello Gianfranco. Una vita di ricerca raccolta anche in quelle scatole contenenti tutti gli attrezzi di pesca antichi che i parenti dei pescatori gli hanno donato, comprendendo il valore della conservazione. E non è tutto. Qui è raccolta tutta la cultura materiale e immateriale del lago di Varese: le istituzioni non si sono dimostrate sensibili. E’ diventato un archivio famigliare di grande preziosità.
Federica Lucchini