E’ una figlia che viene da lontano, non tanto perché abita in Bielorussia, quanto perché la sua presenza si è concretizzata dopo il disastro nucleare di Chernobyl del 26 aprile 1986, grazie a figure luminose che ne hanno segnato la vita. Maria Babronik, 31 anni, mamma della piccola Elena di tre anni, avrebbe avuto un’esistenza totalmente diversa, da randagia, senza nessun affetto e riferimento se a Gavirate, negli anni successivi all’esplosione del reattore, non ci fosse stato il parroco don Tiziano Arioli (1927-1999) che aveva dato il via ad una rete di solidarietà nei confronti dei bambini che, giugendo in Italia per un mese all’anno, avrebbero avuto dei benefici per la loro salute. Tanti ne sono giunti, hanno passato le vacanze in oratorio, ospiti di famiglie che non hanno lesinato nell’aprire le porte ai loro bisogni. Molti rapporti sono vivi ancora oggi, all’insegna della gratitudine e della riconoscenza. Maria ne rappresenta un esempio. La sua strada si è incrociata anche con quella di Adriana, amica di Angela, l’attuale mamma italiana, che nel 2000 giunta nel villaggio di Babruiki, notò questa bimba di 11 anni dalla storia difficile che vagava di casa in casa abbandonata a se stessa. “Va salvata, altrimenti è persa”, aveva detto. E l’incontro con quelli che sarebbero diventati i suoi genitori italiani -Angela, appunto e Mario- è stato un tutt’uno con l’affetto mai avuto. Da subito, appena scesa dall’aereo giunto a Orio Al Serio. “Ciao”, è stata la prima parola. Per la verità l’unica che Maria sapeva, ma è bastato quell’attimo per avere la consapevolezza da entrambe le parti che sarebbe iniziato un percorso comune, per quanto la distanza lo permettesse. Certo, non tutto è stato facile, soprattutto perchè la bambina non conosceva regole: giunta all’aeroporto vestita in modo improponibile con scarpe eccessivamente grandi, non era abituata al contatto con l’acqua. E soprattutto non era avvezza agli abbracci che presto, però, ha imparato a ricambiare. “In mezzo all’abbandanza -ricorda Angela- non ha mai usato il verbo “voglio”. E’ stato importante per lei il contatto con altre coetanee all’oratorio di Gavirate, l’andare al mare perché avrebbe favorito un miglior funzionamento della tiroide, considerata l’aria che avrebbe respirato a casa. Il primo anno è trascorso scrivendosi lettere in bielorusso. Ma è stato il secondo anno di vacanza che ha rafforzato il rapporto tra Maria e i genitori italiani: sono cominciate le confidenze, la costruzione di progetti, la richiesta di consigli. Così la abitazione non era più una catapecchia, ma un collegio dove poter intraprendere studi commerciali. In seguito una piccola casa nel paese dove aveva un lavoro, un’esperienza a Gomel, la seconda città bielorussa. Grazie al cellulare i rapporti sono divenuti settimanali con un affetto sempre più intenso e si è costruito il solido edificio della famiglia, anche se separata da migliaia di chilometri. Quando Maria ha partorito, fino all’ultimo, prima di entrare in sala parte era al cellulare con la mamma italiana. Poi quando è uscita la telefonata è stata subito in Italia. E’ ritornata in Bielorussia questa settimana. Come ogni anno è arrivata: ora con il marito Alexander e la piccola Elena. La tristezza della partenza è mitigata dalla presenza del cellulare. Anche se non si può portare in sala parto.
Federica Lucchini