“Qui ho avuto il privilegio di sentire il sapore della cultura, quella con la maiuscola”. E’ in questa frase di Marco Giorgetti, 40 anni, agronomo di Cazzago Brabbia, che si ha la dimensione di ciò che vuol dire aver firmato il progetto del verde nella riqualificazione dell’antico orto-giardino dell’ex Convento di Santo Stefano in Recanati, dove si trova la celebre siepe di ligustro, che ispirò Giacomo Leopardi nella composizione dell'”Infinito”. L’intervento è stato apprezzato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dal ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il 26 settembre scorso durante l’inaugurazione, organizzata dal Fai (Fondo per l’ambiente italiano) assieme al comune di Recanati e al Centro nazionale di studi leopardiani. “Si è trattato di un intervento a più mani -spiega Giorgetti- Oltre a me, alla paesaggista Emanuela Boria e al famoso architetto Paolo Pejrone, ha lavorato l’ufficio tecnico del Fai per quanto attiene gli aspetti architettonici. E’ stato bellissimo ricreare l’orto dove passeggiava il poeta. Mi sentivo a mio agio, mi immaginavo di essere lì con lui. Era diverso dall’esperienza vissuta durante la riqualificazione di altri parchi e tenute storici, come quelli che ho in atto, per il Fai, collaborando sempre con Emanuela Borio, presso la Villa Gregoriana di Tivoli, il parco di villa Macchi a Morazzone, il castello di Masino e il podere “Case Lovara” di Punta Mesco a Levanto. Alla passione che permea il mio lavoro, a Recanati si sono aggiunte emozioni che scaturivano da ricordi lontani. Dar vita all’anima di un luogo, da cui è nato l’idillio più celebre della poesia italiana, non può non toccare nel profondo”. E perché si potesse dar vita “ad una visita guidata dentro una poesia, opera d’arte immateriale per definizione”, come ha detto durante la cerimonia il presidente del Fai, Andrea Carandini, tre anni ha richiesto il progetto partendo da un’indagine storica, confrontando le foto antiche, “perché -spiega Marco- i giardini non sono mai eterni, subiscono cambiamenti”. Un anno ha richiesto la realizzazione, un anno in cui lavorare con professionisti così validi ed insieme a loro percepire l’intensità di questo luogo posto sulla sommità del monte Tabor (questo il nome originario dell'”ermo colle”) e nel quale Leopardi ventenne amava passeggiare solitario, è un’esperienza decisamente arricchente. “Non bisognava creare un giardino perfetto- continua- ma un orto così vivo e naturale da sembrare non essere stato progettato, rispettando l’unico cipresso originale, come si è evinto dall’analisi documentale”. E per dare vita a questo progetto, il lavoro ha richiesto energia: “Abbiamo potato, concimato gli arbusti e le piante esistenti, inserendone delle nuove in modo armonioso.. Su un pergolato ad archi in ferro, si arrampica la vite di uva americana, mischiata a piante di rosa, resistenti alle fitopatologie, e al glicine. Le macchie a fianco sono costituite da iris, violaciocche, gigli, nasturzi. E abbiamo ricreato quell’angolo dove il poeta ha composto l’idillio, delimitato dalla siepe di ligustro e dal muro, alla base del quale è stato sistemato un rialzo esistente per permettere ai visitatori di affacciarsi sulla vastità del mondo circostante”.
Federica Lucchini