MANZONI
BREVE SAGGIO SUL PENSIERO MANZONIANO
DI felice magnani
MANZONI CI INSEGNA A LOTTARE PER CAMBIARE LA SOCIETA’
I Promessi Sposi sono stati definiti il primo, vero, grande romanzo storico della nuova Italia, fortemente impegnata nella sua ricerca di identità politica, storica, letteraria, umana, sociale e culturale. Un’Italia che prende coscienza di sé e che affida alla sua gente il prezioso messaggio dell’unità nazionale. Un nuovo mondo si raccoglie e si riconosce in una millenaria tradizione, evocata per dimostrare che l’aspirazione alla libertà è legittima e che il prezzo che si deve pagare rientra nella sfera dei doveri umani, gli unici in grado di restituire dignità a chi ne è stato privato. Il popolo manzoniano dei Promessi Sposi si muove in mezzo a mille difficoltà, ma si muove. Tra sopraffazioni, violenze, prevaricazioni, guerre, pestilenze e arroganze di ogni genere, il sentimento si fa strada, sorprende per la sua genuina freschezza e per la sua innata determinazione. C’è un aspetto del problema che merita un’attenta osservazione, perché ci introduce nel punto nevralgico della storia italiana, quello educativo e formativo. La pedagogia evocata dal grande scrittore lombardo, passando attraverso la storia e la letteratura, forma l’uomo nuovo, colui al quale viene affidato il compito pratico di costruirne l’identità. Pur in condizioni storiche del tutto diverse, non siamo molto distanti dalle necessità della società attuale, disorientata e confusa, incapace di fornire modelli affidabili, preda di diverse forme di schiavitù, una società che ha perso per strada la capacità di vivere i grandi ideali della storia. Dipendenza, strumentalizzazione e demagogia, falsità e ipocrisia, brama di possesso, ricerca del piacere fine a se stesso, esaltazione del successo, sono i demoni che caratterizzano una società decadente, che ha costruito forme di capitalismo esasperato, alimentando la frantumazione di quei valori che ci hanno permesso di essere amati e rispettati nel mondo. I Promessi Sposi indicano una via che potrebbe essere percorribile e che potrebbe fornire validi strumenti di riappropriazione e di rinascita morale, quella che si lega indissolubilmente ai grandi valori cristiani, gli unici in grado, forse, di sostanziare la ricchezza di un popolo geniale e costruttivo, portato in certi casi a estremizzare la propria libertà, fino a farla diventare un bene personale, facilmente addomesticabile. Ripartire significa giocarsi la credibilità con l’esempio, un prezzo molto alto da pagare, ma l’unico che possa restituire il senso della trasparenza e della moralità alle giovani generazioni, quelle più esposte alla decadenza. Ritrovare i valori cristiani non significa diventare schiavi della chiesa o peggio retrocedere su posizioni oscurantiste e medievaleggianti, ma capire che possono essere ancora oggi i pilastri sui quali ricostruire la nostra identità, la nostra storia personale, non finalizzata all’abito firmato acquistato in una boutique del centro, ma alla certezza e consapevolezza di scelte fondamentali per la vita dei singoli e della collettività. Padre Cristoforo e l’Innominato ci dimostrano chiaramente quanto sia labile la condizione umana e quanto sia bello riconquistarsi, ritrovando in vesti nuove un’ accettabile forma di vita, proiettata verso finalità degne di essere vissute. Il problema di Manzoni è proprio quello di dare un senso all’esistenza, di dimostrare che la vita è bella anche quando è destinata a lottare per affermarsi. In questo generale risveglio di coscienze sta l’opera dello scrittore lombardo, preoccupato di una unità che non sia soltanto delegata alla forza delle armi, ma alla convinzione di avere un’ identità e di affermarla per il bene del paese. Uno dei meriti del romanzo è stato quello di incarnare il nuovo attraverso l’opera intellettuale e morale dei suoi figli, proiettati al recupero della storia italiana. Nel mezzo di una grande confusione di popoli e di lingue, di leggi e di valori, Manzoni è riuscito a dimostrare che il cambiamento è sempre possibile, anche quando le condizioni politiche, istituzionali e culturali sembrano confermare il contrario. La garanzia della libertà di un paese nasce dalla consapevolezza che tutte le forze in campo debbano dare il loro contributo. Sul fronte dell’unità, nel romanzo, vediamo schierati gl’intellettuali e il popolo. Cultura popolare e cultura pedagogico letteraria s’incontrano per dare vita alla cultura della liberazione e della ricostruzione. Valori di civiltà si fondono insieme per formare le coscienze di un popolo che anela all’affrancamento dalla schiavitù materiale, morale, politica e militare. L’intuizione manzoniana è un grande insegnamento per la storia italiana attuale, dominata dalla frammentazione, dalla confusione, dalla preponderanza dell’interesse privato rispetto a quello pubblico. Viviamo in un sistema popolato da un associazionismo esasperato, che impedisce di vedere i problemi nella loro dimensione globale. L’effetto di questa frammentazione è l’ingovernabilità, la perdita graduale di quei valori che hanno fatto grande la storia del nostro paese. Ecco dunque l’insegnamento: partire dalla comune volontà che la svolta sia possibile soltanto se il popolo saprà riunire le sue risorse e i suoi talenti, mettendoli al servizio del paese. Superare una visione individualistica ed egoistica della storia, per concorrere a ricomporre pezzi di civiltà gettati in pasto a un terribile vuoto esistenziale, potrebbe essere l’imperativo categorico del nostro tempo. Manzoni ci induce a riflettere sull’importanza dell’opera letteraria in un periodo di decadenza morale. Il richiamo alle origini, alla sensibilità umana e letteraria, al valore epico della poesia e del racconto, il desiderio di ritornare al pensiero come forma d’indagine e di rinnovamento, definisce la saggezza di un autore che scrive sfidando il pericolo per finalizzare la sua intelligenza e la sua opera alla costruzione dell’unità del paese. Lottare per la libertà e per la difesa di valori fondamentali come patria, vita, famiglia significa rendere una grande testimonianza di fede e di saggezza, amare svisceratamente la propria storia per rafforzare l’intesa con quella presente e quella futura. Viene da domandarsi cosa avrebbe pensato e fatto Manzoni di fronte ai grandi problemi del nostro tempo, in particolare a quelli legati alla giustizia, alla corruzione, alla inaffidabilità della politica, alla spregiudicatezza di un linguaggio che scade sistematicamente nell’offesa e nell’oltraggio, al tema di un’ immigrazione spesso disperata, privata di logiche organizzative comuni, lasciata spesso al caso o al volontario di turno. Certamente avrebbe dato fiato alla sua pedagogia della ricostruzione, mettendo in campo i valori di una Provvidenza che non abbandona mai chi la cerca per convertirsi e riconvertire. Avrebbe sicuramente lottato per difendere i più deboli, per dare voce a chi ne è stato privato. Un Manzoni di sicuro più rivoluzionario, meno ancorato alla conservazione dottrinale, più attento al sistema dell’educazione e a quello della formazione. Avrebbe sicuramente difeso una italianità più consapevole, più attenta ai problemi degli altri, meno rintanata nelle sue nicchie, nel suo perbenismo, nella realizzazione dell’interesse personale. Sarebbe stato un Manzoni prima maniera, meno cattolico e più laico, meno vincolato ai timori prudenziali della sua fede, più esposto sul fronte della riunificazione morale. Manzoni ci ha insegnato a non aver paura di coloro che attentano quotidianamente la nostra dignità e la nostra integrità. Lo avrebbe fatto anche oggi in nome di un’Italia libera da qualsiasi sorta d’iniquità.
LA PREPOTENZA
Manzoni mette a nudo le deformazioni di una civiltà e lo fa con l’intuito di chi coglie nel presente, il futuro. Lui, che conosce bene la psicologia umana, cerca di educare l’uomo, di farlo riflettere sulla sua condizione e sul suo sistema di relazioni con la realtà che lo circonda. Si tratta di una rappresentazione vera, utile, interessante e molto attuale, realizzata da uno scrittore al quale sta a cuore il proprio paese. Allora come oggi i prepotenti rapinano, rapiscono, rubano, intrallazzano, corrompono, si organizzano in cosche, manipoli, eserciti e famiglie per portare a compimento i loro piani distruttivi. Manzoni conosce benissimo la doppiezza dei politici, le loro furberie, i loro intrighi, il loro egoismo, le loro strategie, ma conosce a fondo anche le loro debolezze, perché conosce molto bene l’uomo. L’Innominato distribuisce “pizzini” di sofferenza e di morte, ma anche l’umanità più iniqua non sfugge alla Provvidenza che agisce nella storia. “Dio, Dio, Dio…se lo vedessi….”. Anche il cuore vendicativo del capo dei capi riconosce quella parte di sé che aveva condannato all’oblio e si converte alle leggi dell’amore. I miracoli della Provvidenza manzoniana hanno il sapore riposante e armonioso di un Dio capace di capire l’uomo, avendolo creato. Chi fa il male, secondo l’etica manzoniana della storia, deve aspettarselo, è infatti nella filosofia dell’espiazione il motivo fondamentale dei Promessi Sposi. Non esiste colpevolezza irrimediabile, a tutti è concesso di ritrovare la via del bene. Don Rodrigo voleva violentare la libertà di una povera innocente, ma non aveva fatto i conti con la Provvidenza alla quale nulla sfugge, soprattutto quando l’umanità si copre di tenebre per rendere meno visibile la propria iniquità. La vera forza del cristianesimo manzoniano non è solo nella capacità di riconoscere il male e di saperlo combattere, ma nella forza del perdono. Tutto rientra nella filosofia del perdono, tutto si coniuga nel massimo comandamento cristiano, ama il prossimo tuo come te stesso. Mai nessun romanzo ha riconosciuto a tal punto la prepotenza del male, da trasformarla in esperienza del vero bene. Manzoni ha saputo osservare e scrivere con acutezza introspettiva e con empatica ironia la società, con la chiarezza scientifica di un esperto terapeuta. Ha saputo anticipare i tempi, senza lasciarsi incantare dalla variabilità caratteriale dell’uomo. Nel suo romanzo sfilano politici corrotti, mafiosi, intrighi di mafia e politica, turpi prevaricazioni, ignavi, spregiudicati, ma anche gli spiriti pazienti con le loro benefiche virtù. Nel suo generoso cuore lombardo c’è la nostra società con i suoi difetti e le sue virtù, il desiderio umanissimo di indicare una via di redenzione che renda gli uomini migliori. Anche oggi, come nel Seicento, i potenti dettano legge, salvo poi diventare schiavi di un oscuramento interiore o di cadere nelle maglie della giustizia. E’ proprio nei momenti più bui e più tristi che si alza la voce della Provvidenza che richiama i cuori all’esercizio della pietà e della carità cristiana. Alessandro Manzoni, fiero avversario della prepotenza umana, ci fa riflettere e ci educa a diventare cittadini liberi, privi del timore della schiavitù, capaci di agire nel rispetto di noi stessi e degli altri. Dunque la prepotenza non può nulla contro la forza dell’amore, può ostacolarlo, limitarlo, ma solo temporaneamente. Gli ostacoli umani, per quanto iniqui e ben studiati, hanno un tempo e una storia. E’ in questa prospettiva cristiana che il romanzo crea l’uomo nuovo, capace di riconoscere il bene e di combattere le iniquità.
IL TEMA DELLA GIUSTIZIA
Nell’etica manzoniana non esiste giustizia senza rispetto della libertà, libertà che non è solo affrancamento dalla schiavitù, ma soprattutto condizione umana e morale della persona, rispetto della sua identità. Giustizia come esercizio educativo dunque, non espressione castale. Renzo crede nella giustizia, le si appella, ma la rifugge quando si accorge che è distruttiva della dignità. La giustizia di Manzoni è aspirazione naturale della gente comune, cresciuta nel patrimonio ereditario di una cultura che nasce, cresce e si sviluppa nell’armonia di regole familiari e comunitarie precise, che non ammettono disobbedienza. Una giustizia che è soprattutto speranza, espressione di una maturità personale, che impone sempre un confronto serio tra pensiero e azione, tra ciò che è lecito e ciò che invece non lo è. Si evince l’aspirazione giustizialista dello scrittore, italianità che si realizza prima di tutto nella coscienza di ciascuno, nella consapevolezza individuale e collettiva di quali siano i diritti e i doveri che devono governare le persone. Per rendere concreto il suo messaggio legalitario il grande autore milanese si appella all’immagine ambigua e contraddittoria del dottor Azzeccagarbugli, personaggio che conferma la geniale chiaroveggenza di Manzoni, capace come nessuno di individuare e risolvere pedagogicamente le iniquità umane, in una dimensione universale. Il dottor Azzeccagarbugli esprime infatti la condizione umana di chi si piega alla volontà del potere, di chi antepone all’esercizio della giustizia, la tutela dell’interesse e del profitto personale. Siamo molto lontani dalla coscienza sacrificale di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, da quella del generale dell’Arma, Carlo Alberto Dalla Chiesa e del commissario Calabresi, rappresentanti di una giustizia/servizio, dedizione assoluta al bene supremo dello Stato. Manzoni sa che la giustizia vive di umanissime imperfezioni e che, proprio perché umana, ha bisogno di voci che ne amplifichino la presenza. In questo senso ha avuto il grande merito di aver intuito le retrospettive vichiane di una storia che riconferma i suoi errori, salvaguardando l’aspirazione alla conversione. Cambiano dunque le condizioni storiche, ma le civilissime e genialissime intuizioni del grande scrittore milanese accompagnano ancora la speranza dell’uomo giusto, che lotta con grande fermezza e con coraggio contro le iniquità di una società in cui la giustizia è diventata, in molti casi, esercizio di una lucrosa professione. Resta la sofferenza dell’uomo giusto, di colui che vive cercando di rispettare tutte le regole del gioco, anche quelle che parlano il linguaggio della sofferenza e della iniquità. A tutela della giustizia, quella vera, resta intatta la filosofia cristiana di Manzoni, che si riassume nella risposta di Fra’ Cristoforo a Don Rodrigo: “Verrà un giorno…”. E’ anche in questa prospettiva che occorre vivere la giustizia, come valore perfettibile.
LA FAMIGLIA NELL’ETICA MANZONIANA
Il significato del matrimonio cattolico sgorga con la trasparente freschezza di una sorgente dalle parole misurate di Padre Cristoforo: “Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri d’una volta”, seguì a dirle il cappuccino: chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate per essere una moglie santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai. E tu, disse voltandosi a Renzo, “ricordati, figliuolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo fa per procurarti una consolazione temporale e mondana, la quale se anche potesse essere intera, e senza mistura d’alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi, ma lo fa per avviarvi tutt’e due sulla strada della consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero d’avere a lasciarvi e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto, Lucia ! V’ha detto,” e accennava Renzo, “chi ha visto qui?”…”. Mentre il mondo predica la libertà individuale, scevra da ostacoli di ogni ordine e natura, tollerando l’innaturale, Manzoni pone l’accento su un tema di fondamentale importanza, la presenza di Dio nella storia degli uomini. Posta questa condizione, tutto assume contorni umani e trascendenti. Dio mette l’uomo di fronte alle proprie responsabilità, tagliando ogni via di fuga. Il matrimonio diventa unione che non si dissolve con la morte di uno dei coniugi, perché è destinato a sublimarsi nell’amore divino. Nella pedagogia manzoniana il vincolo porta il sigillo della sacralità e ogni atto è tale in quanto risponde ad una espressione provvidenziale della storia. L’amore manzoniano non ammette incertezze e distrazioni, prevede comprensione e aiuto reciproco, tolleranza e pazienza, amore e riservatezza, mette alla prova il carattere. Non c’è ricerca di egoismo, ma donazione. La Provvidenza non abbandona le sue creature nel momento del bisogno e poi c’è la preghiera, sostegno morale e spirituale che rafforza la fede di un impegno assunto. Nella filosofia e nella cultura manzoniana il dolore è strumento di redenzione personale e collettiva. Non si può capire fino in fondo il bene se non si è provato il male. Il matrimonio tra Renzo e Lucia è solido perché supera le difficoltà della vita. Mentre la società moderna tende a demonizzare ciò che non riesce a possedere, i personaggi manzoniani sono tanto più veri quanto più riescono a creare spazi di speranza. L’attualità del messaggio manzoniano riesce ancora più evidente in una società che rifiuta la sofferenza, che non sa accettare la vita nelle sue variabili umane e che spesso si rifugia in una solitudine disperata, dimenticando che l’amore è l’unica via democratica alla salvezza. La lettura del Romanzo ricrea dubbi e incertezze, stimola l’attività del pensiero, ripropone il tema del soprannaturale e del divino nelle cose di questo mondo, spesso dominato da una squallida pianificazione di pensiero e di sentimento. Il tema dei figli compare con forza nelle parole di fra’ Cristoforo. Per Manzoni i figli sono un dono, grazia che passa attraverso un atto d’amore. Sono la proiezione di un principio e come tali richiedono un’educazione fondata sull’amore di Dio e degli uomini. Nel concetto di storia sta la chiave di lettura della vita. L’amore, come afferma Manzoni, è tanto più grande e più vero quanto più sa educare gli animi alla pazienza, alla fiducia, alla sofferenza e alla fortezza. Chi non affronta le difficoltà, chi non combatte la battaglia esistenziale difficilmente saprà dare stabilità agli affetti. I protagonisti del romanzo sono persone semplici: operai, contadini, gente che rende più credibili i valori. L’amore è pur sempre una conquista e come tale segue una pista attraverso la quale l’uomo e la donna misurano l’intensità del sacramento cristiano. Nella Lombardia spagnola, dominata da prevaricazioni e ingiustizie, da arroganza e prepotenza, lo scrittore milanese fa vibrare i valori della cultura italiana, una cultura autenticamente cristiana, radicata nelle tradizioni e nel costume. Il popolo manzoniano trae il suo vanto dalla civiltà della terra, dalla volontà di costruire un futuro di libertà e di sicurezza per sé e per i propri figli. Lucia incarna la fede, il coraggio, la coerenza, l’amore per la famiglia. E’ la donna che ogni marito vorrebbe accanto per un progetto destinato ad andare oltre i confini dell’amore terreno. Obbediente e saggia, cosciente e autorevole, remissiva e combattiva, è il simbolo femminile della nuova Italia, che rinasce dalle ceneri della sottomissione, della ribalderia, della schiavitù morale e materiale. L’unità della famiglia, costruita con eroica determinazione, è l’essenza del pensiero e dell’opera di Manzoni. Non ci può essere unione senza l’amore e non ci può essere amore senza rispetto. Mentre in molte parti del mondo si pensa alla famiglia come a una grande ricchezza, in Italia in molti casi è ridotta a semplice contratto. Senza l’autorità del sigillo divino vive il tempo della precarietà e le frustrazioni ricadono sui figli, spettatori inerti di incerte rappresentazioni. La grandezza manzoniana si rivela nell’identificazione della vita come bene supremo, di cui la famiglia è inestimabile collante.
RENZO E LUCIA, DUE GIOVANI DA AMMIRARE
A una società dominata da guerre, faziosità, corruzione, antagonismi, invidie e rancori, Manzoni antepone l’energia profetica di Renzo e Lucia, giovani semplici, senza grilli per la testa e con un’idea molto chiara del matrimonio e della famiglia. Orfani entrambi, lavorano dalla mattina alla sera, prima in fabbrica e poi come contadini nell’orticello di famiglia. Non hanno tempo da sprecare in divertimenti inutili o in diatribe politiche, non gettano soldi in avventure senza senso, guardano al futuro, con la consapevolezza di chi vuole perpetuare l’amore. Il loro sarà messo alla prova da persone senza scrupoli, che approfittano di una temporanea condizione di superiorità per mettere in difficoltà chi aspira alla perpetuazione della vita. Renzo è orgoglioso del suo lavoro e vuole sposare la ragazza che ama, con la quale ha deciso di costruire il suo futuro di marito e di padre. Non accetta prevaricazioni e soprusi: è fermo nei suoi propositi: corretto e leale. Qualche volta vorrebbe eliminare i prepotenti, acceso da un eccesso d’ira, ma riesce sempre a far prevalere il buon senso e una certa visione profetica degli eventi, che gli restituiscono la pietà cristiana e il desiderio di perdonare sempre, anche quando il perdono potrebbe sembrare esso stesso una forma di violenza. L’amore è tanto più grande, solido e duraturo, quanto più si è allenato nella vita di tutti i giorni. Ad una società che punta senza scrupoli sull’amore come schiavitù materiale e morale, Manzoni consegna la forza di due giovani che sanno attendere, lottare e raggiungere l’obiettivo finale, anche se il tempo, le condizioni storiche e personali fanno di tutto per dividerli. La forza dell’amore, sorretta dalla fede, ripaga e consola chi soffre per l’affermazione del bene. Il messaggio manzoniano arriva puntuale per cercare di ridare un senso alle cose terrene, così spesso vittime di gesti e azioni privi di contenuti e sostanza. Ripropone il tema della conoscenza, che tocca la sfera del cuore e della mente, la capacità degli esseri umani di far emergere le virtù, quelle che danno un senso e una dimensione all’azione, che diventano esempio, sostegno, orientamento e scoperta. In una società dove manca il senso dell’attesa, della fiducia e della speranza, Manzoni colloca una luce che illumina e che offre la possibilità di continuare a credere che la vita sia molto più grande di quanto si voglia immaginare o credere. A fronte della superficialità di una sfera affettiva, ridotta in molti casi a sintesi esteriore, Manzoni libera quelle forme di saggezza che conducono l’uomo e la donna a continuare quell’atto d’amore creativo che permette di vivere nella pienezza le gioie della creazione. Renzo e Lucia hanno la forza della spiritualità cristiana, dell’accettazione come dono da conservare e perpetuare. Dovranno amarsi come compagni di viaggio, con la certezza che il loro amore sarà per sempre, consapevoli che è dal sacrificio e dalla sofferenza che nascono le gioie più durature. Spesso i giovani di oggi sono preda di frustrazioni, incertezze e paure. S’illudono di essere padroni indiscussi del campo, per poi cadere di fronte alle prime difficoltà che la vita riserva. E’ anche in questo senso che la lettura dei Promessi Sposi restituisce la certezza che l’amore esiste e che non ha bisogno di grandi clamori, neppure di prove alternative per essere verificato, perché la sua essenza supera i confini del tempo, proprio come l’amore di Dio per l’umanità.
CREDERE E NON FERMARSI DAVANTI A NULLA
Una delle più belle lezioni che ci vengono dai Promessi Sposi è la caparbietà con cui Alessandro Manzoni persegue i suoi ideali, non retrocedendo mai, neppure di fronte all’imponderabile. Nulla può fermare l’umanità che crede nei valori della fede, della giustizia, della libertà e dell’onestà. Il male esiste, è indubbio. Si manifesta in mille modi. Semina panico e morte, riduce in schiavitù, condanna al dolore e alla sofferenza, ma non la spunta sul bene, anche quando la conquista comporta sacrifici straordinari, compreso quello della vita. Il grande insegnamento che ci arriva dallo scrittore lombardo è credere e non retrocedere, avanzare sempre verso l’affermazione dei valori positivi, quelli che restituiscono il senso della dignità umana e della civiltà, costruendo una società giusta, dove a ogni uomo venga riconosciuto il valore della sua dignità personale. Gran parte dei personaggi manzoniani vive la prevaricazione e l’arroganza dei potenti, vittima di gente senza scrupoli, pronta a tutto pur di veder realizzato il proprio egoismo. Non siamo molto lontani dalle gang organizzate dei nostri tempi, dai padrini e dai loro traffici, da coloro che credono di ridurre in schiavitù i propri simili spargendo terrore e morte. Anche oggi bravi e bravacci ordiscono nell’ombra, si servono di manovalanze per portare a compimento i loro misfatti. Sono passati centinaia di secoli, ma la storia ripropone le sue sconcertanti strategie, il suo profilo antagonista, il tentativo di rovesciare il diritto in nome della prepotenza e dell’omertà. Sul palcoscenico del romanzo gira il mondo, quello dell’amore e quello della cattiveria, ma tutto è sotto l’occhio vigile della Provvidenza che osserva e che non abbandona chi si affida alla sua infinità generosità. Chi sopporta con cristiana rassegnazione alla fine vede riconosciuto il proprio diritto alla dignità. Chi fa il male non rimane impunito, anche se nella maggior parte dei casi la punizione è l’anticamera della redenzione. Per il bene si possono affrontare mali estremi, anche quelli apparentemente inespugnabili. Per le persone non amate c’è sempre una speranza. Nell’aria del romanzo aleggia la forza straordinaria della fede cattolica, grande consolatrice d’anime e promotrice d’affetti. La paura è un sentimento naturale che lascia il posto al desiderio di combattere il male senza tregua. Il tempo della sopraffazione è limitato, ben più ampio e articolato è quello dell’espiazione. Don Rodrigo finisce vittima della sua stessa prepotenza e l’Innominato si piega di fronte all’incalzante generosità del cardinal Federico Borromeo. Il male si ritira sconfitto, cercando nella fede l’ultimo aggancio con la verità, nella speranza che la misericordia divina sia davvero infinita.
AVERE IL CORAGGIO DELLE PROPRIE AZIONI
Non tutti i personaggi manzoniani hanno il dono della fede o il carisma della santità, spesso vivono pesanti conflitti interiori e, in alcuni casi, rimangono schiacciati dagli eventi, da una natura che ha molti tratti della malignità leopardiana. La perspicace psicologia umana di Manzoni li svuota delle loro identità, li costringe a specchiarsi nel mare profondo della coscienza, alla ricerca di un seppur minimo frammento di personalità. Nell’Italia risorgimentale, dove il coraggio diventa virtù, non c’è posto per quelle persone che si nascondono dietro una condizione innaturale, lasciando ad altri il sacrificio estremo della propria vita. Eppure, nell’ortodossia manzoniana, anche il pauroso diventa categoria, parte dell’umanità, alla quale va riconosciuto il pregio di esistere, di diventare oggetto di critica e di dibattito culturale. Si può ironizzare sul comportamento, ma non su ciò che l’uomo è, indipendentemente dalla sua condizione culturale, caratteriale e socio ambientale. Manzoni ama il coraggio, la sfida, la forza di una ragione spesso confortata da un’energica spiritualità, il pensiero e l’azione diretti all’emancipazione umana e morale. Crede fortemente nella forza dell’uomo, nei talenti che si scuotono nella sua infinita capacità di amare. Essere coraggiosi è l’inizio di una grande trasformazione di sé e del mondo. Non importa se il coraggio lo si deve cercare o costruire, l’importante è lottare per la conquista di un ideale di giustizia, non lasciarsi intimorire da chi vorrebbe cancellare la nostra matura identità. Difficilmente Manzoni cede il passo al compromesso, alla diplomazia, all’incoerenza. Nella sua compattezza e solidità cristiana affida ai suoi personaggi le armi per realizzare il proprio fine. E’ una grande lezione di fedeltà e di coerenza, quella del grande scrittore lombardo, alla quale dovrebbero guardare tutti coloro che vivono la stagione delle responsabilità. L’attualità del messaggio manzoniano sta proprio nel ricordarci che non dobbiamo lasciarci condizionare da chi vorrebbe cancellare la nostra storia, le nostre tradizioni, dandoci in pasto veleni che non ci appartengono, ma continuare a manifestare con sempre maggiore vigore la nostra fede in quei valori per i quali il nostro popolo ha sacrificato il bene più prezioso che esista: la vita. Se facciamo un passo indietro, ci rendiamo conto quanto sia importante ritrovare l’unità, l’idealità, quel fine desiderio di ricostruire che ha sempre caratterizzato lo spirito della nostra gente.
L’AMORE PER LA PROPRIA TERRA
Una delle chiavi di lettura del Romanzo è l’amore che lega i personaggi all’ambiente di provenienza. Non c’è trama o vicenda che non abbia uno sfondo, una scenografia che renda più dolce e gradevole un dialogo, un’azione, una storia. Manzoni ama la sua terra. Sa che l’ambiente esercita un’influenza decisiva sul carattere delle persone. Sa che anche le storie personali hanno uno sfondo comune, che si lega alle tradizioni. Le montagne lecchesi diventano una sorta di barriera protettiva, dentro la quale decanta il lago di Como, metallico e solare. Un po’ contadini, pescatori, un po’ figli dell’industria serica, il popolo del romanzo ha un denominatore comune che ne contraddistingue il carattere e il comportamento. L’amore per la propria terra lo si legge nello sguardo dei personaggi, nei dialoghi, nelle conquiste militari che fanno terra bruciata della bellezza e che gettano ombre sulle solari vette del Resegone. Amare la propria terra significa esserne interlocutori assidui e convinti. La terra esprime origine, appartenenza, sentimenti ed emozioni. L’aristocratico Manzoni svela la sua vocazione popolare, l’amore per la gente comune, che esalta la condizione umana, con valori certi, radicati nelle pieghe di una storia sudata e conquistata. Difende e colpisce con la forza della sua vena ribollente, scrivendo pagine che hanno il sapore e la fierezza di un soldato cui è stato affidato il compito di difendere la patria dall’invasore. Allo scrittore lombardo va il merito di aver esaltato il paesaggio fino a trasfigurarlo in immagine poetica, in essenza lirica, in sequenze di forme e contorni, in sanguigno raccordo vascolare con i drammi umani della sua gente. Manzoni lascia un’impronta che ha il dolce sapore dell’universalità dei valori, un legame che esprime affetti e sentimenti circoscritti da un linguaggio unitario, dalla volontà di rafforzare il suo spirito patrio, la sua innata vocazione ai simboli della sua appartenenza etnica. Certo non avrebbe accettato che la sua lingua diventasse suddita di intrusioni, di strani concerti fonici. Avrebbe lottato per confermarne la per impedirne la dissoluzione, per riaffermarne l’eleganza formale, il vezzo poetico, l’accento e la varietà. Gl’Italiani devono imparare dai grandi del passato ad amare i propri tesori, per evitare che la barbarie tenti di sovvertire una straordinaria armonia conquistata nel tempo. Leggere i Promessi Sposi significa riappropriarsi della pura bellezza della lingua italiana, della sua cristallina eleganza, dei suoi significati palesi e reconditi, del suo pragmatismo, della sua forza evocativa, della sua stimolante prassi comunicativa, della sua bellezza. L’amore per le tradizioni non è dottrinale o dozzinale legame ideologico, dettato da interessi propagandistici, ma affetto vero per quei talenti che l’Italia ha saputo distribuire nel mondo, nel corso della sua storia.
LA FEDE NEL ROMANZO
Leggere I Promessi Sposi significa riscoprire le radici della fede cristiana, la presenza di Dio nelle cose di tutti i giorni, nei nostri valori. La società in cui siamo vive una delle fasi più convulse del suo benessere, sperimenta all’insegna di una libertà che non ha misure e confini. L’uomo del terzo millennio non ama problematizzare la vita, preferisce spianare gli ostacoli, predilige la voglia di sentirsi arbitro e artefice unico del proprio destino. Viviamo in una società che non sa più dare il giusto valore alle cose, alla gioia e al dolore, alla sofferenza, alla vita e alla morte. Afferma Gabriele Parisi, nella sua opera, Nella Terra di Lucia: “Così, il cristianissimo Manzoni, introducendo questa essenziale moralità e questa massima per la fortezza degli animi, in quel periodo in cui ogni parte d’Italia incominciava a destarsi una nuova coscienza nazionale, diede un grandissimo impulso allo sviluppo del nostro risorgimento politico. Così, il mondo morale del Manzoni rese forti, giusti ed umani i posteri, soprattutto i suoi seguaci. Le sue massime, profumate di un senso vivo di religiosità, servirono a costruire le basi di un risveglio di civiltà cristiana, che avrebbe condotto gl’Italiani ad una grande gloria che doveva splendere vivissima nell’unità costituzionale d’Italia. Questa nuova Italia doveva liberare il suo popolo dalle violenze e dai soprusi stranieri, dando e poi rispettando quell’uguaglianza di diritti cui tutti contribuirono con ingenti sacrifici e persino con il proprio sangue, pur di ottenere quel fine glorioso…” E prosegue: “…Il grande romanzo manzoniano è sgorgato davvero dalla nuda, semplice ed ingenua Verità del Vangelo; dalle pure sorgenti del cristianesimo è scaturita la trama di un mondo umano di ragguardevole vastità, di notevole interesse, di indiscutibile valore ideale, di durevole verità. Quella luce soave di bontà e di letizia francescanamente umana che si irradia in tutto il romanzo è il riverbero dell’immenso splendore della presenza di Dio in esso, la stessa presenza di Dio nelle cose : Dio-Amore, Dio-Luce; quindi, umanità-Amore, umanità divina, realtà miracolosa…” “… Non si sbagliava Luigi Russo quando definiva Manzoni, scrittore religioso rivoluzionario. In realtà, gli scrittori religiosi sono sempre scrittori rivoluzionari, mentre gli atei sono soltanto scrittori conformisti, che biascicano fiaccamente le giaculatorie sociali e politiche o confessionalistiche tramandate nei secoli e che lasciano il mondo nello stato in cui giace. Manzoni è, appunto, uno di quegli scrittori religiosi, e perciò rivoluzionario ed attivista eroico del cattolicesimo nella letteratura e nella vita…” La fede di Manzoni è battagliera. Lo scrittore sostiene con fierezza e con forza i valori della religione cristiana, ma ce la presenta come servizio, non come superiorità di uomini su altri uomini. Diceva di Lui, Giuseppe Mazzini: “A intender bene I Promessi Sposi, si conosce che la redenzione del popolo è suo fine, sua credenza, sua perenne tendenza. La bandiera dell’eguaglianza cristiana è sempre più o meno visibile in tutte le Sue opere; la scelta dei soggetti, dei personaggi, il modo di trattarli, tutto manifesta la sensibile umanità democratica che La vivifica”. Il messaggio del cristianesimo manzoniano si pone dunque come strumento di riappropriazione di valori, in un momento in cui la religione cattolica subisce il confronto diretto con altre culture e religioni. In questa ottica il risorgimento manzoniano riafferma il primato di una vita fondata sulla donazione e dove la forza morale del ruolo si evince dalla consapevolezza di un’esistenza che anima la storia, la vivifica, le conferisce certezze che vanno oltre l’intellettualismo salottiero o mistificatorio delle ideologie. Manzoni ci offre molti spunti critici, seri motivi di ripensamento e di meditazione sugli errori di una società dove la morale è in molti casi l’éscamotage per soddisfare uno sfrenato individualismo. Delinea a tratti un vernissage estremamente efficace dei vizi degli uomini e non resiste alla tentazione di mettere a nudo le debolezze di un clero che evita di prendere posizione in difesa della sacralità della vita umana. La sua critica si ferma in particolare su Don Abbondio, il curato che non ama i problemi e le difficoltà, che preferisce la protezione della casta, accanto alla sua Perpetua e a un buon bicchier di vino, contando i soldi delle offerte. Un prete senza storia, ma un prete vero, immagine di una società incapace di sollevare gli occhi al cielo, di manifestare senza paura il vangelo di Cristo. La forza morale di Manzoni sta nella sua capacità di saper elevare i perdenti al rango di vittime di una condizione a volte naturale, a volte umana, dalla quale diventa obiettivamente difficile emanciparsi. Condivide le sofferenze di chi combatte la battaglia cristiana; non sta dalla parte di una delegazione di indottrinati. Sa perfettamente che Dio è presente nella storia dell’uomo e che gli è accanto in ogni attimo della sua vita. Leggere I Promessi Sposi significa riaffermare ciò che ci appartiene, che è stato partorito dal cuore di un paese che vuole riproporsi nella sua passionale lealtà.
IL VALORE DELLA LIBERTA’ NEI PROMESSI SPOSI
Manzoni conosce molto bene il significato letterale, etico e politico della parola libertà, avendo subito per anni la dura condanna della schiavitù militare, politica e civile, nella sua amata Lombardia. Sa che si tratta di un valore che va costruito prima di tutto nel cuore, perché diventi patrimonio inesauribile di ricchezze e speranze. Nella libertà non c’è nulla di casuale, tutto nasce da una consapevolezza culturale, edificata con determinazione e pazienza. Scrivere diventa formazione, comunicazione attiva, sfida all’ostracismo della tirannia, pronta sempre a intercettare e colpire parole e frasi che scuotano i cuori e le menti dal torpore di una voluta ignoranza. I principi hanno sempre dominato usando l’arma dell’oscurità mentale, condannando l’uomo a non saper leggere e ascoltare il proprio destino. I Promessi Sposi insegnano ad amare la patria, a viverla con fierezza, con la serena pacatezza di una madre, ma con l’orgoglio virile di un padre. Nell’Ottocento, come oggi, l’umanità soffre la schiavitù politica, militare, etica, religiosa, vive la privazione del diritto, l’incapacità di poter esprimere quei valori per i quali è nata. Si sente privata della capacità di poter accudire se stessa, come la madre il figlio e in molti casi la sua schiavitù è tale che non le consente di veder sorgere l’alba di un nuovo giorno. Manzoni crede nella provvidenzialità della storia. La sua fede è tale che gli consente di mantenere intatta la speranza nella possibilità degli uomini di ritrovare una condizione accettabile di vita. Le guerre sono il male della storia, l’incarnazione dello spirito malvagio che sovrasta la natura umana e la spinge verso forme di aberranti iniquità, basti pensare ai Lanzichenecchi e alle loro impietose distruzioni, a un’Europa assetata di potere e di ricchezze. Ma tutto ciò non è sufficiente a sconfiggere il limite che si oppone alle umane incongruenze. Nulla sfugge all’occhio vigile di chi ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Per questo Manzoni è scrittore di speranza, profeta di un “radicalismo” religioso che non ammette casualità e inadempienze, anche quando i fatti potrebbero affermare il contrario. Chi, come lui, sa leggere la storia, anche quella meno appariscente, sa che la porta della speranza è sempre aperta, perché Dio non abbandona chi si rivolge a Lui, chi si affida alla sua paterna comprensione. Per la libertà si combatte, s’ innalzano vessilli e bandiere, per la libertà si dona, si diventa paladini e cavalieri, si sacrifica la propria vita. Nessuno ha il diritto di sottomettere, di privare, di togliere, la libertà è un bene troppo prezioso. Leggere i Promessi Sposi significa riscoprire l’europeismo manzoniano, celato tra aspirazioni d’indipendenza e di autodeterminazione, dentro una coscienza universale della storia e dei suoi problemi, una storia che condanna inesorabilmente le divisioni, le prevaricazioni e le sopraffazioni, storia che diventa rivincita culturale, principio di emancipazione dei popoli. Con Manzoni si respira il passo pesante di chi è costretto a subire l’oppressione. Il patriottismo di Manzoni ha il sapore della lettura, della presa di coscienza, dell’assunzione di responsabilità, del riconoscimento di un diritto universale, senza il quale non esiste progresso, un ritorno cosciente all’eredità dei padri. Il rapporto tra i popoli deve avere come principio il riconoscimento delle proprie libertà, l’aspirazione a vivere da persone e non da prigionieri. Progresso e libertà, libertà e civiltà sono binomi inscindibili di un mondo in rapida trasformazione etica e politica, proiettato verso il costituzionalismo popolare e verso la gestione democratica della pubblica amministrazione. Un mondo dove il popolo diventa garante del suo destino, vero e unico protagonista della sua storia. Inizia il grande e meraviglioso viaggio verso la democrazia, che diventa conquista quotidiana, gioia e dolore, affanno e felicità, cammino e speranza. L’Italia di Manzoni è una nazione che riconosce la propria missione, che trova nel pensiero la propria identità e nell’atto l’energia creativa.
CHI E’ REALMENTE DON ABBONDIO?
Don Abbondio è un capolavoro di saggezza artistica, morale e sociale. Come tutti i personaggi del romanzo vive il suo dramma interiore, tra la promessa divina e la vicenda umana, dove spesso umano e divino divergono, lasciando sul campo aspirazioni irrealizzate. Ma chi è veramente Don Abbondio? Un fifone? Un prete che non vuole assumersi le proprie responsabilità per paura di perdere i favori del potere? Il prete che vive la propria dimensione, infischiandosene di quella degli altri? Il tipo che non vuole rogne, per mantenere intatti i suoi privilegi? Colpevole o innocente? Certamente in lui convivono molte delle motivazioni che abbiamo elencato. Non ha il coraggio di compiere fino in fondo il proprio dovere, ricorre alla bugia e all’ipocrisia pur di salvare la pelle, diventa complice della illegalità pur di evitare di mettersi contro i potenti. Per un Don Abbondio che vive nell’assenza morale, protetto in parte da una condizione castale, ci sono padre Cristoforo, fra’ Galdino, il cardinal Federigo Borromeo a riequilibrare le sorti di una chiesa molto ben attrezzata sul piano delle virtù morali e religiose. Manzoni salva il suo personaggio dall’inquisizione letteraria, politica e religiosa, avvolgendolo nella pietas cristiana. La forza del suo cattolicesimo è anche quella di concedere al lettore il beneficio della riflessione e della riservatezza sulle ambiguità di personaggi che popolano il suo e il nostro tempo.
L’INNOMINATO: ogni uomo può cambiare, anche il peggiore
L’Innominato è il grido di un autore che sa leggere e collocare la voce dell’animo umano. Un dialogo forte e sicuro quello di Alessandro Manzoni, che induce a una profonda riflessione. Un sussulto capace di convertire e riannodare, riconsegnando alla coscienza il suo spirito indagatore, un richiamo alla chiesa ad essere quello per cui è, vangelo della remissione e della pacificazione. E’ in questa visione aperta e misericordiosa della vita e del mondo che si apre il cristianesimo manzoniano, luogo di visitazione dell’animo umano e delle sue ricchezze, dove resta sempre una speranza aperta a chiunque la voglia abbracciare, anche quando la vita diventa un’irreparabile prigione. Federico è chiesa della carità e della comprensione, luogo d’ introspezione e rigenerazione, dove l’umiltà esce vittoriosa dalle sfide, lasciando nel cuore del lettore una tenera voglia di certezza. E’ voce di umiltà e di consapevolezza umana. E’ così che conquista il male, è così che annienta le resistenze dell’ Innominato, catturato dalla forza di un amore misericordioso che travolge il materialismo per abbracciare la purezza del sentimento. E’ in queste pagine di grandissimo spessore che Manzoni rivela la forza di una condizione umana che lascia il lettore con la voglia di alzare gli occhi verso il cielo alla ricerca di quelle verità che spesso la vita cancella, lasciando l’uomo prigioniero della sua inquietudine, nella sua incapacità di darsi una ragione della vita e dei suoi misteri. L’Innominato è il male che si converte, è la ragione che prende il sopravvento sospinta dal respiro leggero della fede, un respiro che la spoglia e la rigenera per rilanciarla nel cuore della gente che crede, che vive sospesa tra le fatiche materiali e la leggerezza di una vita che scivola tra i misteri dell’universo. Un personaggio ambiguo e umano, che travolge e viene travolto, che si arrende al richiamo della divinità e che ne viene assorbito, come se a nulla valesse quell’arroganza che l’aveva reso intoccabile. In lui convivono le bassezze e le miserie della vita umana, in lui si annidano e prendono forma, lasciando gli esseri nel terrore e nella paura. In lui si accende la parte infernale del male, quella che non risparmia nessuno, che irride ogni forma di umanità, che si arroga il diritto di un potere assoluto. Ma in lui, alla fine, si realizzano anche gl’ideali più alti della vita cristiana. Manzoni costruisce il simbolo di una devianza apparentemente senza ritorno, come se volesse dimostrare che il male esiste e che nella sua veste diabolica può compiere qualsiasi atto, anche il più scellerato, ma convince il lettore che per quanto malvagio e assurdo sia ha il suo limite e può crollare lasciando il posto al bene, a quella coscienza delle cose pure che procede con l’umanità, nell’educazione che abbiamo ricevuto. E’ un dialogo serrato, denso e intenso, semplice nella sua umana accezione, ma forte e complesso nella sua virile espressione. Dalla vicenda ne esce vincente un Dio che non abbandona mai nessuno, che è sempre presente anche lì dove non penseresti di trovarlo mai. Lo senti vicino anche se non credi, capisci che la vita non finisce lì, tra le inquietudini di umani travolti dalle iniquità e dalle miserie, ti rendi perfettamente conto che non basta brandire il potere o cogliere di sorpresa le creature per decretare una vittoria, perché la vittoria vera è quella di una coscienza che si riconosce e che dichiara inequivocabilmente la propria sconfitta.
LA VIOLENZA, UN TEMA RICORRENTE NEL ROMANZO DI ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni ha avuto la grande intuizione di capire e mettere bene a fuoco l’universalità caratteriale di personaggi e situazioni che hanno contraddistinto il seicento e che tornano popolari oggi. Uno dei temi ricorrenti del romanzo è la violenza, perpetrata con fredda determinazione nei confronti di uomini, donne e bambini, proprio come sta succedendo oggi nella nostra società, privata in molti casi della sua costituzionale garanzia legalitaria. Le violenze nei Promessi Sposi sono di natura fisica, psicologica, politica, militare, economica, racchiudono l’ampio scenario delle relazioni umane. Hanno come minimo comune denominatore la prepotenza, consolidata e potenziata dalla conquista del potere in tutte le sue aberranti dimensioni. Lucia subisce la violenza provocatoria di Don Rodrigo, il signorotto che in virtù della sua condizione ritiene di avere diritto di vita e di morte sulle creature. C’è la violenza di Egidio, quella del Griso, dell’Innominato, delle guerre di successione, la violenza dell’invidia e dell’ingratitudine, quella terribile e drammatica dei Lanzichenecchi. Stabilire quale di queste violenze sia la peggiore o quella che maggiormente susciti la rabbia del cittadino è estremamente difficile, perché la violenza in quanto tale è una gravissima offesa alla dignità della umana, un atto deplorevole e condannabile sempre e ovunque. Manzoni scrive e descrive la violenza, vuole che il popolo ne prenda culturalmente possesso, perché impari a conoscerla e a combatterla, sapendo che chi la commette, prima o poi dovrà subirla. E’ emblematica la frase di Fra’ Cristoforo, pronunziata di fronte al suo arrogante interlocutore: “Verrà un giorno…”. La Provvidenza manzoniana non abbandona chi è stato vittima, non tanto per una forma di ritorsione, quanto per una consequenziaria presa di coscienza del dolore, non solo da parte di chi lo ha ricevuto, ma anche e soprattutto da parte di chi lo ha provocato. Leggere i Promessi Sposi significa rimettere in equilibrio un’esistenza che sembra pendere costantemente dalla parte di chi detiene il potere, di chi può comprarsi la dignità delle persone e tutto ciò che gli fa comodo, ma è anche la dimostrazione ferma che il materialismo umano ha i suoi limiti. Manzoni è grande perché il suo cristianesimo apre le porte del perdono e della conversione a tutti coloro che lo vogliono. Anche per il peggiore degli uomini esiste la via della salvezza. I personaggi, anche quelli meno attrezzati e più esposti, subiscono con la religiosa consapevolezza che la legalità e la verità un giorno verranno riconosciute.