Il lago come specchio dell’anima in quei continui ritorni a Luino per scavare in sé stesso. La terrazza come luogo fecondo per immergersi idealmente in quelle acque da cui fare emergere quella profonda “humanitas” che ha caratterizzato l’intera sua opera. Palazzo Verbania, nel contesto della sua inaugurazione, sabato 18 maggio alle ore 18,30 accoglie la mostra “Terrazze” di Franco Rognoni (1913-1999), il pittore milanese che ha eletto la città lacustre angolo privilegiato della sua produzione. L’artista non sarà solo: avrà accanto a sé due presenze che evocano quelle affinità elettive, motivo di scambi sempre più arricchenti. Anche Vittorio Sereni e Piero Chiara sono nati nello stesso anno di Rognoni. Anche loro, come evidenzia Chiara Gatti, curatrice della mostra, avevano in comune col pittore la terrazza di Palazzo Verbania, su cui affacciarsi e nutrirsi di quella ispirazione che ha creato pagine palpitanti. Anche loro hanno vissuto il ritorno come eredità d’affetti, come esperienza per far rivivere le origini del loro peregrinare. La mostra accanto agli archivi storici del poeta e dello scrittore “offre l’occasione inedita di incrociare i loro destini in una prospettiva filologica” per scoprire che tutti e tre -complice il lago Maggiore- “si sono interrogati, con mente intuitiva, sul destino delle sorti umane”. Il diario di viaggio di Rognoni nella mostra “è un racconto ordinato in venticinque capitoli”, scrive nel catalogo Stelio Carnevali, l’amico che ne custodisce la memoria, cioé venticinque tele che la Gatti ha selezionato, fra le tante. Immergersi in un simile percorso ha bisogno di alcune annotazioni che rendono quanto mai vicino a noi la figura del pittore per il quale “la pittura e l’esistenza erano una sola, inseparabile entità”. Lo si immagina che “risponde con impeto all’urgenza della mano con stupefacente rapidità”, in una atmosfera lontana da rumori fastidiosi, da quel presenziare alle mostre con i suoi riti obbligati che spengono l’incandescenza dell’intuizione e soprattutto lo costringono a parlare della sua opera: lui, convinto com’era che la pittura si dovesse guardare in quel silenzio profondo che mette in comunicazione l’animo del visitatore con quella dell’artista per cogliere l’arricchimento della creazione. Sarebbe più appropriato parlare di ascolto, di dialogo. “Perché leggere un quadro è come leggere un libro. E adesso -aveva detto dopo aver ammirato un quadro di Velazquez- con quale coraggio mi metterò a dipingere?”. Si rimetteva a dipingere, dopo quella passeggiata rigenerante per Luino, da uomo libero, che non aderiva a nessun movimento, ma rispondeva alla sua coscienza. E’ indispensabile conoscere la ricchezza interiore dell’artista il quale ha prodotto le tele che si potranno ammirare con visite guidate domenica 19 maggio dalle ore 15 alle 18. Nell’osservare il viso quasi animalesco del personaggio che si affaccia ad una terrazza, riprodotto sulla copertina del catalogo, si coglie “quella consistenza del vuoto”, come la definisce la Gatti, che conduce a quella malinconia esistenziale, di cui è intriso l’essere umano, in bilico tra partenze e ritorni.
Federica Lucchini