Quelli che hanno la mia età ricorderanno sicuramente questo insolito personaggio cocquiese: lo
“Striùn de Cöogh“
Ad una bambina che lo fissava esterrefatta lo Striùn de Cöogh, singolare personaggio del nostro comune, domandò : “Parché te me rimiret ? Sum inscì brut?” E la bambina: “Si!”.
Alto, magro, dinoccolato, incuteva davvero paura.
La sua faccia era scavata e perentoria come quelle che si incontrano in certi film western quando comincia la sparatoria nel saloon; i suoi occhi avevano dei guizzi fosforescenti.
Le sue mani deformate dal lavoro, dal tempo e forse anche dall’artrite sembravano abnormi pale e penzolavano all’estremità di due braccia interminabili. Quando girava per le vie del paese tutti i cani gli abbaiavano contro. Andava casa per casa con una gerla piena di cianfrusaglie cercando di vendere quella sua squallida mercanzia. “Ref, saunet, friset, sugheman, tuta roba de prima… Ve fò bun prezi”.
“Disfee nanca giò che go mia de bisogn”, replicavano le donne a cui si appellava.
Ma lui, imperterrito, toglieva dalla gerla tutta la sua mercanzia e le donne, mosse a compassione ed anche per non scatenare la sua facile ira, di tanto in tanto gli comperavano qualche piccola cosa.
Perché lo chiamavano Striùn? Semplice: perché sua mamma era chiamata “la Strìa”.
Viveva a Cocquio, sulla Costa del Tamagn, e da lì, a piedi, con le scarpe in spalla per non consumare le suole, partiva per raggiungere i paesi vicini. Con questa sua attività tirava a campare; quando le vendite non erano sufficienti per comperare qualcosa da mangiare allora era costretto a fermarsi in qualche orto e rimediare.