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Chromesthesia
Presentazione opera: Chromesthesia con il sottotitolo -La Notte Atlantica- è l’unico (purtroppo) libro di poesia di Paolo Rindi varesino, scomparso a 20 anni, in Val Grande durante una escursione di montagna. Ma se il tempo delle cose ha fatto il suo breve corso, quello delle parole è appena iniziato e comincia da un discorso poetico di spessore molto rilevante. Fa bene a dire Fabio Scotto nella sua introduzione “…che l’atto poetico è un atto contro la morte la cui durevolezza sfida ogni limite, anche l’estremo della nostra umana finitudine”. Nei vari temi e motivi che animano queste pagine, infatti si può cogliere, fin dal principio, una capacità d’ascolto di sè stesso, della natura e degli altri che racchiude già implicitamente una filosofia dell’esistenza tutt’altro che adolescenziale. Si capisce chiaro il riferimento di letture intelligenti come Arthur Rimbaud, il poeta simbolista francese, il cui influsso appare presente dal sottotitolo Chromesthesia, che anche nell’articolazione delle varie sezioni (Poesia bianca, Poesia verde, Poesia rossa, ecc.) e rimanda al suo testo “programmatico” Voyelles, il quale, nel colorare il linguaggio attribuendo per analogia un colore alle vocali aveva sospinto la poesia oltre il limite della mera verbalità. Paolo come Rimbaud è un giovane viaggiatore e un “esploratore” un curioso della vita in tutte le sue variabili anche nella riflessione profonda e del dolore. E non solo di un linguaggio poetico, ma anche nella ricerca di una simbiosi tra il dialogo con la natura dei grandi spazi (il deserto e la montagna) e i lunghi cammini della meditazione da essi favorita, e a suo modo, per dirla con il titolo di un film di successo, into the wild. Infatti dopo avere a lungo camminato sulla terra, auscultandone le voci, odorandone gli aromi, assaporandone i silenzi, Paolo ha ben capito che “la poesia non può ridursi a uno sfogo (come troppo spesso molti giovani autori sterilmente credono), ma che anzi essa può e deve essere un pharmakon, una cura che diviene tale solo se è con cura che ad essa ci si rivolge, di qui l’appello gnomico che lancia nel testo “Poeta”: «cercate una cura nelle parole», che significa, oltre che cercare un rimedio e un aiuto nella scrittura, anche un cercare “con cura” le parole per dirlo, ovvero attenzione allo stile, alla cifra, alla ricerca della propria voce. E fa bene anche Rosa Zanotti sua insegnante di scienze umane per 5 anni a dire nella post-fazione che come i creativi Paolo aveva affinato i sensi e sapeva guardare il mondo nella sua complessità, con uno sguardo attento, anticonformista e autentico, cercando di penetrare lo spazio interiore del mondo, la congiunzione tra superiore e inferiore, costruendo un suo itinerario di crescita attraverso arte, filosofia, fedeltà alla terra. La poesia per lui era diventata intuizione, evocazione, presentimento, congiunzione con l’animo del mondo. Un po’ poeta, un po’ mistico, viandante delle soglie estreme, tanto che in uno dei suoi scritti dice: “Conoscere, conoscere in ogni luogo e ad ogni ora, ecco il motivo del mio viaggio. Ogni posto perde progressivamente d’importanza durante il viaggio, e oggi posso essere fiero di sentirmi a casa dovunque, sdraiato su una verde prateria o in cammino su un anfratto di montagna.” È questa sete di sapere che l’ha portato in alto, sula vetta del monte o l’ha spinto fino all’Oceano alla ricerca dell’Assoluto e di quella nobile solitudine che permette di vedere oltre il visibile, fino alla Notte Atlantica, in cui poter comprendere l’arte assoluta: la poesia.