Le mamme sono sempre state delle economiste perfette. Amministrare una famiglia non è impresa facile, richiede visione, missione, diplomazia, arguzia, capacità di valutare, occorre avere un occhio positivamente critico sulla realtà, saper acquistare, economizzare, risparmiare: quante cosa fanno le mamme, senza mai entrare in parlamento, senza mai essere premiate, per poi vedersi maltrattate da una società maschilista che non ha mai perso il vezzo di sentirsi superiore. Le mamme sono votate alla gestione economica per natura, perché sono state predestinate ai lavori di casa, all’amministrazione familiare, a loro è quasi sempre toccato di centellinare le spese, di fare i rendiconti, i consuntivi, di amministrare la vita della famiglia, per renderla sempre un pochino migliore. In passato però l’economia aveva un suo ruolo fondamentale, non limitava, non prevaricava, sosteneva, aveva un’identità molto ben definita e tutto ciò che le ruotava attorno, banche comprese, appartenevano al beneficio comune, quello che garantiva l’onestà della gente. Un tempo si parlava di banche con modalità italiane, erano la seconda famiglia, quella che ti proteggeva, ti stimolava, ti aiutava a stare meglio, ad avere sempre una speranza aperta sul futuro. La banca era una sicurezza, era la sicurezza.
Certo i principi che la ispiravano erano puerilmente giocondi e molto bene accetti, soprattutto non facevano differenze tra chi depositava tanto e chi poco, l’importante era la fiducia, anche solo l’idea che lì, in quel luogo e con quelle persone potevi stare sicuro, il tuo reddito era salvaguardato. L’economia sta dentro la nostra storia, basta andarla a sfogliare per ritrovarla, è ancora parte viva della nostra vita quotidiana, ma bisogna saperla far amare anche nella sue controverse articolazioni. E’ un po’ come l’insegnante di matematica, che se non mette una piccola dose di umanesimo in quello che fa corre il rischio di trasmettere freddezza, distacco, frustrazione. I numeri sono il sale della vita, ma vanno messi in pentola in dosi accettabili, con moderazione. Oggi l’economia occupa il campo, tutti parlano quasi soltanto di economia, di spread, di numeri, di euro, di crisi da euro, ci siamo completamente affidati al clima rissoso delle capitolazioni finanziarie, col pericolo di non capirci assolutamente niente e di essere privati anche di quel poco che siamo riusciti a capitalizzare in anni di ansie e depressioni. Il linguaggio economico è infarcito di espressioni colorite e contratte della city londinese, dove l’unica, vera lingua parlata è quella dei soldi, delle banche, del credito e della finanza. L’Europa ha esportato stress da economia, ansia da spread, si è trasformata in una padrona che pur di vedere realizzati i suoi sogni è pronta a reprimere ogni forma di creatività e di fantasia, qualità che, per noi, sono essenziali. Si sa che la genialità italica ha le sue basi portanti in questi ambiti umanitari. Dunque l’economia sta un po’ dentro e un po’ fuori, quindi bisogna saperla equilibrare, dosare, distribuire, razionalizzare, compiti quasi proibitivi per chi si è ormai abituato a comprare tutto, inanellando debiti a largo raggio e quasi mai estinguibili nell’arco di una vita. Ci sono sistemi che non sono stati inquadrati, previsti, organizzati, che sono cresciuti partendo da buone basi ma che, con il passare del tempo, si sono frantumati in varie forme di egoismo umano. Il nostro è un paese bravissimo nel creare, ma non altrettanto nella fase organizzativa, dove le regole del buon vivere vanno messe in campo senza se e senza ma e dove il bene dell’uno deve essere compatibile con quello dei tanti. E’ in questa forma di ritrosia educativa che l’italiano rischia di perdere identità, finendo per essere stigmatizzato per quello che non è. L’esempio è di questi giorni, in cui giornalisti della fraterna Europa ci massacrano di figuracce con titoli e vignette da brivido. Ecco come finiamo spesso: nel ridicolo! E perché? Perché non sappiamo prendere esempio dalle massaie, non vogliamo accorgerci che sono loro, con la loro grande capacità gestionale, a reggere i destini del mondo, in particolare di quello economico che ci ruota intorno. E’ da loro che dobbiamo imparare, è da loro che dobbiamo apprendere l’arte del risparmio e dell’organizzazione familiare, è da loro che dobbiamo imparare a gestire la nostra vita, ma chissà perché non diamo loro la giusta dignità, non permettiamo loro di avere uno stipendio che le garantisca nella loro fondamentale funzione familiare e sociale e soprattutto ci accorgiamo di loro solo quando subiscono le infamie del mondo. E’ alle massaie italiane che deve guardare l’economia ed è a loro che deve essere grata se, malgrado tutto, si riesce ancora a sopravvivere dignitosamente, è alle donne che la politica deve saper guardare, se vuole tirarsi fuori da una società maschilista che ne ha combinate di tutti i colori.