Le previsioni avverate di M&R
Un invisibile microorganismo virulento ha letteralmente demolito il sistema globale, potentissimo quanto fragilissimo, che non ha accettato soste nella sua corsa autodistruttiva.
E’ utile, a questo proposito, rileggere gli editoriali di M&R del 2017, 2018, 2019, in cui si anticipano le cause e gli esiti di questa crisi devastante, e nel contempo si propongono i rimedi per uscirne. In estrema sintesi: la globalizzazione ha i giorni contati; il futuro per tutti sta nella relocalizzazione. Il nostro passato locale diventa un riferimento sicuro per la ricostruzione futura. E lo è già in questi affannosi momenti in cui tutti gli individui “globali” sono costretti a stare nello stesso posto..
Il contagio di questo virus ha interrotto bruscamente i fragili meccanismi della società globalizzata, e ne ha svelato impietosamente la sua natura: ha cioè impedito la continuità dei residui luoghi di aggregazione comunitaria, per sostituirla con un integrale individualismo, sorretto unicamente da contatti virtuali via rete. Le autorità hanno chiuso le scuole e le chiese al pubblico, guardandosi bene dal fare altrettanto con le farmacie ed i supermercati: l’individuo globale può benissimo guardare su uno schermo la sua messa, o assistere a delle lezioni su un tablet, illudendosi di fare la stessa cosa di prima davanti ad un prete o davanti al suo insegnante; in realtà ciò che manca è lo stare insieme in una reciproca relazione; certo, vedo ancora il prete e l’insegnante, ma senza la compagnia di tanti altri soggetti che interagiscono con me e con loro. Il globalizzato, del resto, può fare tranquillamente a meno di un’ antiquata messa domenicale, o di una inattuale lezione di letteratura latina; non può però fare a meno del necessario da vivere o da mantenersi in vita che da qualche decennio è stato monopolizzato dalla grande distribuzione e dall’industria farmaceutica. In questi due (non)luoghi residui avviene non l’incontro, ma la competizione e lo scontro con tanti altri individui che vogliono procurarsi le stesse merci, presi improvvisamente dalla paura di restarne senza.
A questo punto la famiglia globale vive in una difficoltà ingovernabile: trova chiuse le scuole, ma anche le palestre, le piscine e i campi sportivi; dove collocare i figli incustoditi? Si deve aggiungere il fatto che anche i genitori per un motivo o per un altro devono starsene a casa in quarantena o meno. Ci troviamo nell’inedita situazione in cui la famiglia si trova riunita in tutta la giornata senza sapere di preciso cosa fare. Prima d’ora, i genitori al lavoro, i figli a scuola e al pomeriggio negli sport e divertimenti fatti apposta per loro (a pagamento); la sera sui tablet e i telefonini: e tutto si aggiusta. Ora non è più facile e normale guardarsi negli occhi. E per quanto durerà il supplizio?
L’uomo locale non vive questa angoscia del futuro sconosciuto, anzitutto perchè è in una condizione di normale “quarantena”: non sente cioè la necessità di spostarsi in varie parti del mondo senza che in qualche modo vi appartenga. Il suo rifiuto del centro commerciale è poi reso possibile dalla immemorabile abitudine di coltivare e di produrre in proprio gran parte del cibo vegetale e animale in tutte le stagioni; il quale cibo sfugge ai dannosi trattamenti di quello che si mette su un carrello, in quantità e qualità condizionate spesso solo dal prezzo, e che quindi rende necessario un uso costante di farmaci che ne possano scongiurare gli effetti disastrosi sulla salute. Supermercato e farmacia sono le due facce di un’unica medaglia: non se ne può fare a meno nemmeno dal punto di vista psicologico, anche quando i nostri frigoriferi e armadi sono provvisti di quanto serve.
Il virus dell’età della globalizzazione non arriva nella nostra regione da una banda di lanzichenecchi, come vorrebbero coloro che accusano i cinesi di aver sparso il contagio; gli scienziati ci hanno spiegato che si annida ovunque, e che spesso la sua presenza è rivelata solo dai controlli eseguiti dai servizi sanitari più efficienti. In mancanza di questi controlli ci si può anche illudere che i raffreddori e le polmoniti siano solo dei mali di stagione; non è un caso che i paesi più contagiati siano quelli che offrono migliori strumenti diagnostici. In un mondo in cui tutti si spostano ovunque, è pressoché impossibile circoscrivere il contagio, a meno di ipotizzare una situazione limite in cui nessuno sia in contatto fisico con alcun altro; ipotesi chiaramente impossibile, esattamente come quella che vorrebbe l’individuo completamente autosufficiente.
Non sappiamo ancora quali effetti avrà il contagio sul sistema socioeconomico del mondo globalizzato, ma sappiamo già fin d’ora che ha portato ad un punto di svolta un meccanismo considerato a torto definitivo: in pratica, a causa della diffusione del virus, la piena affermazione del globalismo coincide con la sua totale negazione, come avviene in tutti i processi dialettici in cui la tesi viene negata da un’antitesi, quando si pone in modo assoluto. La Cina, il paese egemone del globalismo e del libero mercato, si scopre come punto di diffusione del contagio in tutto il mondo, ed è il primo paese che chiude in quarantena milioni di persone, inducendo a fare altrettanto altri paesi che si credono non contagiati. L’abolizione delle barriere, lo scambio di merci e persone in tutto il mondo, la diffusione delle notizie in tempo reale, sono le condizioni della diffusione di un virus che si tenta di arginare localmente, senza grandi speranze di successo, proprio perchè è esso stesso globale. Gli stati, che tentano affannosamente di bloccare gli scambi con le zone contaminate, interrompono l’affermazione del libero mercato, scoprendo presto o tardi di essere essi stessi centri di contagio: l’apertura al mondo intero si trasforma il giorno dopo in totale chiusura.
La natura del contagio fa sì che ciascun individuo sia potenzialmente un pericolo per tutti gli altri, visto che per trasmettere il virus non è necessario soffrirne le conseguenze. Da qui il precetto: mantenere la distanza di sicurezza. L’assunto individualistico di fare a meno degli altri, diventa un obbligo di sopravvivenza. Notiamo infatti un vero proprio contrappasso per analogia, come nella Commedia dantesca, fra peccato e pena: i “peccatori” che si sono ostinati in passato a vivere senza relazioni vere con gli altri e nella più totale indifferenza verso tutti, ora non possono più comunicare di persona con nessuno. Chi è contagiato in famiglia deve, se può, creare uno spazio al suo interno che lo separi dai famigliari. Chi poi sta per morire non può avere la consolazione dell’affetto dei suoi cari: la sua salma non trova più posto nel cimitero cittadino, ma viene spedita in luogo da destinarsi. I “peccatori”, che in passato si sono spostati continuamente dappertutto con auto treni navi o aerei, ora sono “puniti” a restare obbligatoriamente in casa in compagnia forzata dei famigliari, portando con sè una formale giustificazione quando sono costretti a comprarsi il cibo e le medicine: ora non si può più viaggiare da nessuna parte, dal momento che tutte le frontiere fra gli stati sono state chiuse. Queste pene sono tanto più dure, perchè non si sa quando avranno fine, e perchè i media assillano ogni momento i reclusi con i dati terribili delle infezioni e dei decessi.
E non è un caso che i centri di diffusione del virus siano i più inquinati e congestionati di macchine e popolazione del mondo, come la Cina, stato egemone dell’economia globale, e la pianura padana che ne è la miniatura nostrana: le aree economicamente più progredite sono quelle più esposte al male. In questi centri contagiati l’ordine pubblico, per impedire il collasso delle strutture sanitarie per eccesso di ricoveri, è quello di restare a casa propria. Da ora in avanti l’individuo globale non può andare dove vuole, cioè dappertutto, ma deve restarsene a casa propria insieme a tutta la famiglia. Cosa che sembra assolutamente naturale per l’individuo locale, ma inaccettabile ed intollerabile per il globale.
Il locale, accusato di passatismo, si scopre ora come il futuro possibile di un mondo arrivato al capolinea nell’ambiente e nella società: se è riuscito a conservare la memoria e lo stile di vita, ha molte cose da indicare ed insegnare a chi non può più vivere in giro per il mondo. Questo anacronistico personaggio è stato ovviamente colpito dalla tragedia collettiva, ma la sua vita non è completamente cambiata. Vive come al solito lontano dalla movida turistica e consumista; ha una gran quantità di lavori da fare a casa sua e dipende il meno possibile dalle opportunità offerte ai globali.