“Rimasi a lungo alla finestra estasiata e nel contempo frastornata e spaurita da quegli aerei che, sfrecciando in cielo, turbinavano con capriole ed evoluzioni acrobatiche da lasciarmi senza fiato. Dalla finestra della casa degli zii in via Robbioni quel giorno di maggio del 1926 si esibivano nel cielo di Varese il comandante De Bernardi, collaudatore titolare dell’Avio Macchi che avrebbe conquistato a novembre la coppa Schneider, e il capitano Ferrarin, già protagonista nel 1922 del raid Roma-Tokio”. Ha una peculiarità l’archivio della maestra Natalina Conti Avigni, classe 1920, venuta a mancare nel febbraio dell’anno scorso: una tale ricchezza di ricordi e di dattiloscritti da far rivivere il suo paese e il circondario con quella vivacità e quelle acute osservazioni tipiche di chi non vuole dimenticare un dettaglio che la memoria o uno spunto tratta da una lettura gli offrono. E sono pagine che si aprono su altre pagine che si animano della quotidianità dei suoi concittadini che lei descrive con umanità e affetto. Coglie nel loro animo i desideri, il loro faticare e il loro gioire sulla sfondo del mutare della storia. Il lettore di fronte a questo “mare magnum” di fogli, a questa miscellanea di temi comprende la vastità della sua cultura calata nella vita della nostra terra. Ne resta affascinato e si rende conto della preziosità di queste memorie. Il paese è lì che vive nelle sue atmosfere all’insegna dei lavori agricoli e vengono avanti le tradizioni, i soprannomi e conoscenze a noi lontane: “Il prevosto monnsignor Pezzoni – scrive – durante il Vangelo in san Vittore illustrava la parabola che parla di un campo nel quale il buon grano e il cattivo loglio sono cresciuti confusi e insieme mietuti. Solo nel momento del vaglio prima della macinatura il grano, trasformato poi in farina e pane, sarebbe stato separato dal loglio immangiabile dato alle fiamme. E concludeva: “Per me che ho vissuto una infanzia contadina queste immagini hanno un riscontro reale, ma tra un paio di generazioni come si potranno spiegare ai fedeli i racconti evangelici delle messi, dei vignaioli, dei pastori? Che diranno le Sacre Scritture alle generazioni dell’informatica?”.
“Piluccando” qua e là, in una miriade di personaggi caratteristici dell’epoca rurale – venditori ambulanti, artigiani, girovaghi, commedianti “che dormivano la notte sui fienili, dopo che le massaie, per scongiurare possibili incendi nei pagliai, li avevano privati dei fiammiferi con i quali si accendevano il sigaro” – compaiono nomi conosciuti a livello nazionale, che roteavano attorno al commendatore Bellora nella cui villa furono ospiti il regista e scrittore Mario Soldati e Giorgio Bassani, autore de “Il giardino dei Finzi Contini”, in occasione della mostra sul Morazzone nel 1963. Sembra una scena manzioniana la descrizione della notte tra il 3 e il 4 novembre 1918, vissuta dalla madre dell’autrice, in cui i luvinatesi svegliati da un assordante, quanto festoso scampanio, accorsero in piazza “mentre il sindaco e il curato don Stella lessero il telegramma che metteva fine all'”inutile strage”. “Poi il guardiano del territorio e delle acque comunali – scrive – corse in municipio a prendere la bandiera e si mise in testa a un improvvisato corteo che scese verso Barasso. Altrettanto fecero i barassesi e i due gruppi si incontrarono e tra pianti e urla di gioia la folla si abbracciò. Le osterie riaprirono i battenti, gli uomini vi si riversarono a brindare alla vittoria e soprattutto alla pace. Il giorno dopo nella chiesa affollata si cantò il “Te Deum” e si lesse il bollettino della vittoria”. Si lasciano questi fogli a fatica, consapevoli del dono straordinario della maestra Conti.
Federica Lucchini