“Si tratta di immedesimarsi nell’uomo del Neolitico o dell’Età del Bronzo, e cercare di capire il suo pensiero, la sua manualità. La mia è una professione curiosa, affascinante, di intensa empatia con gli antenati e di grande rispetto di ciò che essi hanno prodotto”. Cristiano Brandolini, 48 anni, archeologo ricostruttore, la settimana prossima, per conto dei Musei Civici di Varese, inizierà a ricreare, al primo piano del Museo Ponti dell’isolino Virginia, l’interno di una capanna a grandezza naturale. Operare in un luogo che è ritenuto il più antico insediamento palafitticolo dell’Italia settentrionale e ricostruirne uno spaccato a fini divulgativi, è certo una esperienza particolare, frutto di una grande conoscenza, maturata dopo anni di studio e di pratica sul campo. Ma quello che connota il suo agire è l’umiltà, l’attenzione e il desiderio di capire le motivazioni che hanno spinto chi ci ha preceduto in lontani millenni a creare un oggetto in un certo modo. Lungo e articolato è il suo curriculum, che comprende gli studi e una laurea all’Accademia di Brera, la frequentazione dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Milano, oltre a numerosi corsi post laurea relativi alla didattica e allestimenti museali. Due strade parallele, quella dell’arte e dell’archeologia con risultati così apprezzati da divenire collaboratore della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e di fondare nel 2014, assieme ad un gruppo di amici e colleghi, l’Associazione Insubria Antiqua, che si occupa di promuovere e favorire la cultura, la storia, l’archeologia, la sperimentazione e la ricostruzione storica, mediante la ricerca, lo studio, la sperimentazione, al fine di una corretta divulgazione. Ha iniziato a ricostruire i primi oggetti verso la metà degli anni ’90 ed è ben conosciuto tra gli archeologi e ricostruttori non solo italiani ma anche europei. Ha lavorato nei vari musei come l’archeologico di Sesto Calende, il P. Giovio di Como, l’archeologico di Arsago Seprio. Quindi, arriva all’isola Virginia con un background culturale di tutto rispetto e con quella passione che genera emozioni in ogni fase delle lavorazioni. La ripetitività per lui, se mai esiste, non è fonte di allentamento, ma di ulteriore perfezionamento e lo svolgere un nuovo lavoro diventa motivo di appagamento. Una felice intesa tra un luogo, intriso di storia, e il suo interprete. Chi visiterà la sala del museo deve avere ben chiaro lo svolgimento della vita all’interno della capanna e capire che chi ci ha preceduto, oltre essere un ottimo costruttore, aveva a disposizione tanta materia prima che ha saputo trasformare con grande abilità per venire incontro ai propri bisogni. Le pareti verranno rivestite con legname autoctono, come l’abete. “Poi è come ipotizzare la formazione di un grande puzzle in cui ogni tassello nell’arredamento ha una ragione ed è dedotto da dati scientifici -spiega Cristiano- I pezzi forti riprodurranno un’oggettistica visibile al museo, ma in modo più completo. Un esempio è costituito dalle punte di freccia in selce che si sono conservate. Ma non è così per tutto il resto, cioé il legno, i tendini degli animali catturati, usati per legare, l’impennaggio. Si tratta, quindi, di ricreare la freccia nella sua interezza”. E si tratta di usare reperti che nella loro incompletezza comunque dicono di una vita, dell’artigiano che ha lavorato la punta, scheggiata e ritoccata mediante l’utilizzo di strumenti specifici, che appositamente era stato in grado di elaborare e costruire, da lui usati per modellarla e renderla aguzza. Si tratta per Cristiano di entrare come in un intimo dialogo con il costruttore per rendere efficace la sua opera. Lo stesso dicasi per la ricostruzione dell’arco. Il vasellame è nuovo, ma costruito con le tecniche usate nella preistoria. “Quindi, l’argilla è grossolana, non depurata, cotta con il metodo in fossa, utilizzando legna in grado di sviluppare alte calorie, come il legno di faggio o quercia”, spiega. Con soddisfazione illustra la ricostruzione di un propulsore, arco da lancio per la caccia degli animali grossi come i cervi, che consiste nell’utilizzo di uno strumento simile al bastone utilizzato come leva per aumentare l’azione del lancio della zagaglia, a metà tra un giavellotto e una classica freccia. Non mancherà la sezione dedicata alla pesca con reti realizzate in corda di lino, gli arpioni, in osso o in selce. Cristiano sa quanto è indispensabile la sinergia tra l’archeologo studioso e l’archeologo ricostruttore per essere sempre più vicini alla verità, citando una frase del filosofo e pedagogista svizzero Jean Piaget “il capire procede attraverso il fare”. Su Facebook è possibile seguire i suoi lavori alla pagina KB.BranArt.
Federica Lucchini
In questa bella foto scattata durante un evento di ricostruzione storica, dove in abbigliamento lateniano, faceva vedere al pubblico come lavorava un artigiano del metallo durante la seconda età del Ferro (IV-II secolo a.C.).
In abiti longobardi (VII secolo d.C.) fa vedere al pubblico la battitura della moneta.
Isolino Virginia, uno scrigno di memoria video dalla tv Svizzera