Modificare radicalmente il modo di vivere non è impresa facile, soprattutto se la trasformazione nasce da una costrizione. Essere costretti, dover subire, sentirsi umanamente impotenti crea una condizione di assoluta instabilità, induce a pensieri che possono incidere non solo nelle parti profonde del cervello e della persona in generale, ma anche su quel sistema che sovrintende le nostre identità. Si tratta infatti di cambiare un costume consolidato, frutto di tradizioni che lo hanno plasmato, configurato, reso quasi intoccabile. Per fortuna l’essere umano ha anche la grandissima capacità di ripensare, di riconfigurare, di trovare nuovi punti d’appoggio, di intraprendere un rapporto diverso, saggiamente operativo e interattivo, fondato su nuove forme di rispetto, nuove regole, nuovi modi di creare civile convivenza. L’intelligenza è, proprio per questo, estremamente terapeutica, se la si sa usare. A volte è infatti poco allenata, forse non è stata debitamente accompagnata, forse la si è trattata con troppa presunzione e con troppa superficialità, come se dovesse bastare sempre a se stessa, capace di ovviare repentinamente ogni tipo di incongruenza o fatalità. Nelle situazioni difficili, però, una presunta certezza sembra crollare, si mettono in moto meccanismi che giacciono latenti, che non aspettano altro di essere risvegliati e di poter concorrere alla costruzione di un mondo nuovo, ma non per questo meno bello e meno stimolante di quello che bisogna coercitivamente abbandonare. La pandemia correlata al Covid 19 è arrivata con la forza distruttiva di un ciclone, ha radicalmente modificato il modo di vivere, il costume, i rapporti interpersonali, ha cambiato il senso della comunicazione, la sua funzione, ha imposto una revisione dei comandi e delle risposte, ha costretto gli esseri umani a rientrare nella loro condizione, a rivedere il senso delle cose, a rispolverare l’interiorità, quello strano mondo cui attingiamo solo quando le costrizioni della vita ce lo impongono. Mai come in questi tempi si materializza il filosofico confronto tra immanenza e trascendenza, tra l’infinito e il senso provvidenziale della storia, tra l’essere e l’avere, l’intelligenza e la stupidità, mai come in queste circostanze l’essere umano si guarda allo specchio cercando risposte. Può persino succedere che per capire sia necessario ricorrere alla forza educativa di un passato dismesso troppo in fretta, un passato forte e cosciente, che non si piega a nessuna forma di presunzione, rilanciando ogni volta quel sano confronto identitario con la propria storia e con quella della comunità nella quale configura, a volte con fatica, la propria volontà. In una pandemia ci si può perdere definitivamente, ma si può anche iniziare un nuovo cammino, si può capire finalmente che non tutto quello che ritenevamo importante fosse indispensabile. Quando si accetta un cambiamento lo si fa con l’idea di poter incontrare uno spazio più ampio, dove poter realizzare finalmente quella condizione di piccola felicità umana che restituisca ciò che sembrava dimenticato. S’impara a capire che c’è molto di superfluo in quello che diciamo e in quello che facciamo, che la verità non sta nel male che arrechiamo volontariamente al nostro prossimo, ma nella solidale conquista di un rispetto nel quale tutto assume una luce diversa, dove cambia radicalmente il rapporto con se stessi e con gli altri, favorendo una gioia di vivere mai conosciuta prima. La pandemia una spada di Damocle? Forse solamente il senso di un infinito che si apre un varco nel genere umano per riavviarlo, ripulendolo delle scorie, quelle che impediscono agli uomini di amarsi davvero, fuori da quei terribili rapporti di potere che ne limitano la crescita umana, morale e intellettuale. Forse la pandemia ha davvero una funzione educativa fondamentale, la capacità di avvicinare ciò che l’egoismo restringe e allontana. Prendere coscienza, però, non basta. Non basta pensare per un attimo di aver sbagliato tutto e poi riprendere daccapo quello che si è sempre fatto, bisogna andare oltre, mettere in campo un grande atto di volontà, una visione umanamente diversa della realtà, dove ciò che conta non siano l’egoismo e la presunzione, bensì la volontà di dimostrare prima di tutto a se stessi che modificarsi si può, basta volerlo. L’attenuazione della pandemia ha sussurrato che non tutto fila secondo le promesse e che la stupidità umana in molti casi è ancora lì a voler dimostrare che il potere dell’ignoranza non demorde facilmente. Non è facile e neppure scontato mantenere le promesse, riprendere a vivere con una coscienza più vera e più profonda del proprio essere, non è per nulla facile smettere le antiche abitudini per diventare altro. L’umanità in certi casi è davvero buffa, teme il male e lo combatte, per poi lasciarsi andare e riproporre le abitudini peggiori, quelle che non aiutano e che anzi aprono spazi di negatività diffusa, regressioni profonde che non si conciliano con la voglia di diventare cittadini migliori. I muri da abbattere sono ancora molti e richiedono una fortissima convinzione identitaria, soprattutto da parte di chi ha il delicatissimo compito di educare e di insegnare. Il sistema sociale chiede unione, entusiasmo, convinzione, fermezza, chiede che forse sia arrivato il momento di guardare in faccia la realtà con fredda determinazione e di affrontare senza inganni o falsi buonismi i problemi e le difficoltà che ci attanagliano, impedendoci di essere quello che realmente vorremmo, cittadini di uno Stato che sa riconoscere, amare e farsi rispettare, sapendo che il rispetto è la condizione essenziale su cui si fonda una democrazia vera. Siamo a un bivio e sappiamo molto bene quanto sia fondamentale non perdere di vista la realtà. Non è più tempo di regni e principati, di gente che esercita un potere senza conoscerne il significato, si tratta di prendere decisioni, di operare con stile, con eleganza, con onestà e con la massima convinzione, perché il tempo passa velocemente e i problemi invece di trovare soluzioni adeguate si accavallano, lasciando nell’aria uno strano odore di terra bruciata.
Da internet