Nei paesi e nelle città ci sono luoghi che hanno il sapore di un vero e proprio miracolo d’amore, espressione di quella sapienza umana che si sposa spesso a forme d’intelligenza superiore, quella che inducono alla meraviglia e allo stupore, che lasciano spesso il tempo a una meditazione profonda sulla nostra essenza, su chi siamo e cosa facciamo, cercando spesso di stabilire un filo diretto tra quel mondo materiale in cui siamo costituzionalmente costretti e quello spirituale che ci spinge a cercare verità altrove, dove spesso il piacere più grande sia anche quello di immaginare, di sognare, di lasciare libero sfogo al sentimento e alla certezza che qualcosa di più grande e di più perfetto possa davvero esistere. Il primo grande impatto di natura sociale è dunque la scuola. E’ lì che abbiamo iniziato a capire che la cultura non è solo una forma di sostentamento individuale, cibo quotidiano della nostra anima, ma soprattutto forma bellissima di esplorazione comunitaria, qualcosa di talmente straordinario che supera ogni forma di barriera o di pressione, qualcosa che mette tutti sullo stesso piano e che concede quindi alla libertà personale di diventare un bene ancora più grande, che si realizza con il contributo di tutti. Quando la scuola diventa realmente uno spaccato vero della società? Quando la sa vivere, interpretare, rappresentare, quando la relazione supera le barriere dell’individualismo, per diventare relazione corresponsabile. A scuola la cultura si forma nella sua accezione più ampia, si confronta direttamente, si guarda attorno, cerca di cogliere, di porgere e di supportare, si lascia accarezzare, leggere, approfondire, guidare, orientare, si mette in relazione con il pensiero e la fisicità dell’altro, si confronta, ricerca, scopre, esplora, non bada tanto al valore estetico dell’apprendimento, bensì alla sua risultanza, a ciò che esprime e a ciò che può costruire, imparando che il bene non è solo un problema di natura individuale, ma assioma in cui confluiscono nuovi pensieri e nuovi stupori a cui tutti indistintamente concorrono. A scuola tutto viene messo in movimento, il cuore, l’intelligenza, l’anima, la voce, il comportamento, la capacità di cogliere quello che altri non sanno cogliere, perché la forza del sapere sta proprio in questo, nella sua capacità di diventare senso, aggregazione, socialità, consapevolezza comune, attenzione, voglia di fare e costruire, di dare un volto alla ricchezza interiore che ogni persona scopre strada facendo, grazie alla sapiente guida del maestro o della maestra. La più grande risorsa? Diventare maestri di se stessi includendo chi ci sta attorno, vivendo il sapere come servizio alla comunità, sentendo la necessità di ampliare e di costruire, di abbellire e migliorare quel mondo che con cui abbiamo quotidianamente la possibilità di interagire, per migliorarci. Oggi si parla moltissimo di scuola, se ne parla perché un virus ha tentato di disattivarla nelle sue forme classiche, spogliandola della sua reciprocità, del suo essere comunicazione umana, creando unione e consapevolezza comune. E’ proprio quando la società va in crisi che la scuola risorge, dimostrando che la forza del sistema comunitario della cultura supera di gran lunga i disastri di un mondo che si ribella, con la pretesa di imporre la propria volontà. Ma quale scuola è più appetibile? Quale è più capace di rispondere agl’interrogativi di una mente in crescita? Di una società che cerca nell’aggregazione la fonte della propria identità? Quale scuola sa essere base di decollo per un radicale e profondo rinnovamento sociale? Può la scuola da sola cambiare il volto di una società, restituendole quell’entusiasmo e quella volontà senza le quali rischierebbe di entrare in una crisi senza sbocchi? Mentre il virus contagia e annienta e la lotta assume contorni del tutto simili a quelli di una guerra, torna a farsi sentire la necessità di aprire le porte delle scuole, di stimolare la volontà comune di mettere al centro l’apprendimento, la conoscenza, la voglia di creare relazione, rapporto, connessione. Non basta tutta la tecnologia del mondo a sostituire la socialità, quella vera, quella che nasce da un confronto sistematico, in cui la parola è spesso figlia di una riflessione comune, di una ricerca, della voglia di stare insieme, di condividere, di conoscersi, di parlare, di scrivere, di sorridere, di dimostrare che il mondo va esplorato e conosciuto, va vissuto con chi sa orientare le energie, chi sa creare gli entusiasmi, chi sa sviluppare il desiderio di imparare e di andare oltre i muri dell’individualismo e quelli dell’egoismo. Improvvisamente la scuola torna a essere il centro di una grande rivoluzione umana e culturale, che sappia cogliere le aspirazioni di un mondo stanco e demotivato. Chiamare in causa la scuola oggi significa prendere atto di quanto sia importante volgere lo sguardo verso quei giovani che rappresentano il futuro del mondo, un futuro che tende a convergere, a far prevalere i valori profondi della convivenza civile, quelli che annullano le barriere e favoriscono una presa d’atto comune su ciò che veramente conta nella definizione di una storia umana capace di unire e di sollecitare le sue parti nobili, come il rispetto dell’ambiente, il rispetto della vita, la lotta alla povertà, la fratellanza degli stati, la capacità di unire le intelligenze e di metterle al servizio del pianeta e delle sue necessità. La scuola rimane il punto di partenza di una grande rivoluzione, ma proprio per questo ha bisogno di essere capita e valorizzata, ha bisogno di essere aiutata a uscire da quell’anonimato nella quale è stata relegata nel corso degli anni, come se non avesse bisogno di una costante rianimazione, di un dinamismo solidale. Per troppo tempo la politica l’ha sottovalutata, lasciandola in balia di un pressapochismo drammatico. Valorizzare la scuola non è solo un problema di tecnicismi o di rivoluzione telematica, è soprattutto un problema di natura educativa, dove ciò che veramente conta è prima di tutto l’essere umano, le sue necessità, i suoi problemi, il suo desiderio di sentirsi amato e protetto, valorizzato e stimolato. Se la pandemia avrà stimolato il pensiero positivo della politica allora qualcosa di buono e di positivo si potrà ottenere, ma il banco di prova è proprio ora, è questo il momento in cui occorre aprire i giovani alla speranza, dimostrando loro che il mondo è di tutti e che bisogna saperlo ravvivare sempre, soprattutto quando è in difficoltà e ha bisogno di sostegno. E’ in questa direzione che il maestro si deve muovere, sapendo di poter contare su una società che lo attiva e lo sostiene, mettendogli a disposizione tutto quello di cui ha bisogno.