La propria disabilità a favore della solidarietà. L’incontro con Monica Uccello, 57 anni, affetta da tetraparesi spastica che le impedisce di parlare e muoversi in modo controllato, è all’insegna dello stupore per la forza che in lei sgorga determinata. Quel suo vivere appieno la vita, attenta a ogni dettaglio, fa sì che abbia quella particolare predisposizione, che viene dal profondo, di comprendere la natura delle persone. Ti guarda con i suoi occhi magnetici e dolci e ti avvolge nel suo ascolto, incontro di anime. Lo sanno bene alcuni ospiti della Fondazione Menotti Bassani di Laveno Mombello che, prima del Covid, hanno avuto il privilegio di godere della sua vicinanza i mercoledì e i sabati dalle ore 9 alle 16. Ora c’è la gioia della ripresa, di quel sentire la presenza di una amica che partecipa dei problemi altrui. La sua storia di figlia, sorella e zia molto amata è spiegata con fierezza nei suoi tanti libri, in prosa e in poesia, scritti al computer e dove si comprende che una coralità di amici hanno tratto e traggono ricchezza da lei. “E’ apparsa in negozio un giorno di 30 anni fa con la scusa di comperare una saponetta -scrive Roberta, titolare di un negozio di erboristeria presso cui Monica è stata occupata con una borsa-lavoro- Così abbiamo fatto amicizia. Con tutte le difficoltà, io ad affrontare le sue diversità, lei ad affrontare le mie cosiddette normalità. Ci siamo studiate, conosciute poco per volta. Ho sempre ammirato la sua voglia di vivere, di fare qualcosa, a qualsiasi costo, e non di “lasciarsi vivere”, come forse era destinata a fare, senza quella sua tenacia e capacità di rialzarsi sempre, anche dopo le più brucianti “cadute”. E di cose Monica ne ha fatte tante, come forse nessuno di noi normali è riuscito a fare in una vita”. E’ il deambulatore, il suo compagno inseparabile da anni, al quale lei si appoggia con sicurezza: strumento che le ha offerto l’indipendenza. Finalmente poteva uscire di casa da sola, essere zia che accompagnava il nipotino a mangiare il gelato, essere preziosa compagna di Michela, una bimba disabile. Prende il cuore quella descrizione, tratta dal suo libro “Una lettera per te” (Edizioni Altre Latitudini, nella collana Gli Invisibili), indirizzata al papà Umberto, deceduto prematuramente, nel momento in cui lei Monica imbocca la piccola: “Per un momento mi ero dimenticata perfino delle mie difficoltà!”. Monica ha effettuato diverse esperienze lavorative e fra i corsi frequentati vi è quello di volontaria per l’assistenza ai malati di Alzheimer. Il compito che sognava era “condividere le paure e i problemi di persone bisognose”. E così, anche “se parlo male”, il linguaggio alla casa di riposo è diventato l’empatia. “Venni colpita da una signora sulla carrozzina -spiega-, lei non parlava o forse parlava con gli occhi. Mi avvicinai, lei sorrise e fu un “incontro fatale”” Con lei ora c’è un rapporto fatto di carezze e piccoli giochi”. Termina la descrizione di questa sua esperienza con una frase significativa: “Sono contenta di svolgere questo mio piccolo aiuto, ma forse è meglio dire che sono loro che aiutano me”.
Federica Lucchini