LA PRIMA VOLTA DA EDUCATORI
di felice magnani
C’è sempre una prima volta in cui ti affacci al mondo per capire chi sei, cosa fai e quale sia il metodo migliore per affrontare i problemi della vita. Il passaggio dallo studio al lavoro vero e proprio non è mai stato facile per nessuno per varie ragioni. C’è chi si è preparato per tempo, chi ha fatto scelte adeguate, chi ha avuto il supporto di una famiglia fortunata, chi ha dovuto partire da zero per sopravvivere, chi si è imposto per vocazione, chi si è presentato all’appuntamento già pronto per intraprendere. Non c’è nulla di scontato, nulla che possa precludere la forza e la bellezza di un incontro. A volte succede che ti trovi a fare quello che non avresti mai immaginato e di cui forse ti sentivi portatore sano, senza peraltro riconoscerne i presupposti e le finalità. Quando studi il mondo dell’educazione ti viene incontro in tutta la sua esuberante energia morale, ti sembra un mondo particolare, quasi incomprensibile e lo osservi con curiosità, come se fosse altro da te, da tutto quello che avresti pensato di fare, si tratta di un mondo che ti mette di fronte agli altri e ti costringe a porti delle domande, a mettere in atto confronti, riflessioni, a essere quello che non avresti mai immaginato, una persona che ha il compito di animare altre persone, incontrandole sul loro terreno, quello che di solito sfugge anche agli occhi più attenti. Quando ci si incontra si pensa di sapere un po’ tutto, quel poco di cultura che abbiamo appreso ci induce a voler dimostrare che i più forti siamo noi, ma non è sempre così. Nella vita di un educatore s’impara camminando e soprattutto s’impara mettendosi davanti allo specchio, guardandosi con occhi più attenti, capaci di entrare persino in quelle aree della mente e del cuore che spesso lasciamo in balia dei nostri capricci e delle nostre paure. L’educatore deve innanzitutto conoscere se stesso per tentare almeno in parte di conoscere qualcosa degli altri, deve procedere con il massimo dell’umiltà, tenendo i piedi ben piantati per terra e la mente sgombra da pregiudizi di sorta. Dall’altra parte c’è sempre qualcosa da scoprire, qualcosa che non pensavamo che ci fosse, qualcosa che ci sorprende e che ci fa pensare che non sempre la verità sia quella che ci viene incontro, bensì quella che andiamo a incontrare quando meno se l’ aspetta e senza colpo ferire. La verità educativa sta nella chiarezza con cui le persone, incontrandosi, tentano di mettersi a nudo, di evitare l’ipocrisia e di essere quello che realmente sono, con l’animo acceso dalla voglia di costruire, accendere, creare le condizioni perché quella parte di bene che portiamo dentro possa uscire allo scoperto. Quella prima volta è stato difficile perché i ragazzi erano tanti e con tantissimi problemi diversi, ma con una grandissima voglia di vivere l’energia dei loro anni, fuori dall’angoscia e dalle limitazioni di una vita intransigente, dura, impietosa, che li aveva costretti a prendere atto troppo presto della inaffidabilità di una parte del genere umano, un genere che in molti casi non ha pietà neppure dei suoi figli più piccoli, quelli che guardano il mondo per sapere quale sia la strada più giusta da intraprendere. Quale può essere la scintilla? Scendere sul loro terreno con lo spirito aperto e disteso di chi non teme le sfide della vita, cercando di valorizzare al massimo chi non ha mai incontrato un si affermativo, facendo trasparire tutta la ricchezza di cui siamo in possesso e che siamo pronti a donare senza problemi. La natura umana scruta, osserva, indaga, provoca, cerca vie d’uscita, risposte, non ama essere indifferente, vuole confrontarsi, è lì che aspetta che qualcuno la distolga dalla ripetitività, vuole prendere il volo, ma non sa come fare, vorrebbe alzarsi, ma ha bisogno di qualcuno che le suggerisca la modalità migliore per decollare. Ci sono ragazzi che non sanno chi sono, cos’hanno dentro, che vivono come automi, perché mai nessuno ha insegnato loro a diventare esploratori di se stessi e di quella parte di mondo che portano dentro, nella maggior parte dei casi senza saperlo. L’educazione è una sfida che si misura fuori dagli schemi usuali, quelli in cui la forza fisica e la ricchezza economica fanno la differenza, si tratta di una sfida in cui la conoscenza si apre e non pone limiti, richiede pazienza e determinazione, fermezza e autorevolezza dove l’incontro di riavvolge ogni attimo con modalità diverse, perché la vita non è mai uguale, neppure quando vorrebbe farcelo sembrare. Saper guardare in profondità con occhi sempre più avanti, capaci di intercettare e di precedere, di andare oltre i muri e le incomprensioni, pronti sempre a vedere anche quello che non immagineresti mai, perché la forza della conoscenza sta nella costanza e nella determinazione con cui sa farsi sentire quando è il momento. Quando è il momento? Sempre, soprattutto quando l’educatore intuisce che in quell’attimo c’è racchiuso il segreto del mondo. L’educazione non pretende, l’educazione dà. L’educazione non reprime, apre. L’educazione non crea paura, dona coraggio. L’educazione non ama essere presa in giro, pretende chiarezza e fermezza, vuole dimostrare che non c’è nulla che non abbia un prezzo e che bisogna lavorare sodo con impegno per raggiungere uno scopo qualsiasi, anche il più banale. L’educazione non è avere tutto e possibilmente subito, ma sacrificarsi, impegnarsi, rispettare le regole, rispettare le persone e i loro ruoli, farsi da parte quando è necessario e saper aspettare il proprio turno. L’educazione è quella cosa che segna la vita, le dà una veste, un carattere, un volto, è la forza di una condizione umana che vuole conoscersi per mettere in campo le sue forze, per dimostrare che a ognuno è riservato uno spazio, un tempo, una possibilità da saper cogliere. Nella vita di un educatore ci sono la vittoria e la sconfitta, ma nessuna è prevalente, tutto è dinamico e relativo. L’educatore deve avere il coraggio di verificarsi, di valutarsi, di fare autocritica, di misurarsi, di stabilire quale distanza sia più utile per intraprendere un cammino. La vera forza dell’educazione sta nella sua capacità di rinnovarsi, di rendersi attiva, di entrare in punta di piedi nelle disavventure altrui, ma con la consapevolezza che anche un atto di forza determinato e coerente può sortire un miracolo. Ho visto educatori cadere miseramente sotto il giogo dell’orgoglio, perché non avevano il coraggio di essere se stessi, di andare contro le convenzioni e contro le reazioni. Chi guida deve avere il coraggio di dimostrarlo sul campo senza paura, ma sempre con la determinazione di saper giocare con intelligenza e con cura le proprie carte. Educare non significa venire a patti col diavolo per non pagare dazio, chi educa si mette in prima linea e lo fa a ragion veduta, senza mai peccare di presunzione, ma con la certezza che ogni passo ha i suoi tempi e che tutto si ricompone nella sfera dell’amore, in cui ogni apparente diversità riprende la sua fisionomia e si corrobora della sua essenza. Le prime volte sono fondamentali, per questo vanno dosate con cura, ma senza timore, con la certezza che la via del bene comporta anche strettoie di cui non sempre si comprende l’importanza.
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