Ogni volta che mi capita di pensare alla libertà mi viene in mente un brano che leggevo spesso in classe quando dovevo affrontare l’argomento. Mi era piaciuto in modo particolare perché trattava il tema della guerra tra il Nord e il Sud negli Stati Uniti d’America, un tema molto interessante, perché affrontava di petto il tema scottante della schiavitù. Ogni volta che lo leggevo notavo un interesse particolare da parte degli allievi, ai quali risultava impensabile che degli esseri umani di colore diverso fossero costretti a vivere come animali, senza poter esprimere o vivere con dignità la propria esistenza. L’idea che una parte dell’umanità si arrogasse il diritto di sottometterne un’altra, negandole le libertà fondamentali, creava una sorta di conflitto interiore, in cui emergeva a chiare lettere il cuore puro dei giovani, naturalmente votato all’eguaglianza sociale, al rispetto della persona, al suo essere il vero motore della vita umana. Al termine della guerra di secessione e con la vittoria degli stati del nord la schiavitù viene legalmente abolita e naturalmente si mette in moto un importante meccanismo di riappropriazione. Un padrone bianco raduna i suoi schiavi e comunica loro che sono finalmente liberi e che pertanto possono allontanarsi dalla proprietà e andare dove vogliono, scegliendo finalmente il loro nuovo modello di vita. Gli schiavi si guardano in viso felici e festeggiano il momento. Salutano il loro vecchio padrone, escono dalla proprietà gioiosi di poter essere quello che avevano sempre desiderato: essere liberi! Camminano e camminano e sopraggiunge la sera. La fame si fa sentire. Poi arriva la notte e non sanno dove ripararsi per dormire.
Inizia un nuovo giorno e non riescono a trovare un lavoro. Si guardano in faccia e prendono una decisione che non avrebbero mai voluto prendere, quella di tornare dal vecchio padrone per essere e per fare quello che avevano sempre fatto, schiavi per poter sopravvivere. Ai ragazzi tutto questo sembrava impossibile, sembrava impossibile che la libertà avesse un prezzo così alto, che nessuno avesse fatto niente per farla vivere e apprezzare come avrebbe dovuto. E così ci si infilava sul tema del significato vero e profondo della parola libertà, intesa nella sua accezione più comune di affrancamento dalla schiavitù fisica, morale, sociale, politica, etnica e come forza di rinnovamento interiore, in cui la natura umana si esprime mantenendo ferma una condizione etica, in cui la libertà contrae e definisce la sua forza e la sua energia. Nella parola libertà c’è sempre stata una sorta di vocazione anarchica al fare o al pensare, di solito piace moltissimo immaginare di non soggiacere a qualsiasi tipo di padrone visibile o occulto, di non sentirsi gravati da agenti oppressori o da condizionamenti innaturali, l’idea è che si possa vivere liberi seguendo una sorta di istinto naturale, dove tutto diventa possibile, anche fare agli altri quello che non si vorrebbe fosse fatto a noi. Sulla strada della libertà individuale c’è però un guardiano che se ne occupa per evitare che l’esagerazione porti inevitabilmente alla dissoluzione dell’individuo e della comunità alla quale appartiene. Chi è questo guardiano? La coscienza.
E’ qualcosa che non si vede, ma che ha un fortissimo potere strutturale, quello di mettere con le spalle al muro la libertà, evitando che si perda in eccessi controproducenti e che si convinca che in una società matura e quindi democratica occorra agire con prudenza, con la consapevolezza di essere parte viva, integrante, di poter condizionare con la sua presenza i comportamenti degli esseri umani. Non una libertà arroccata, prigioniera, incapace di apportare benefici, ma una libertà consapevole, che agisca sull’onda di una coscienza chiara di quello che si fa e di quello che si dice. La libertà senza coscienza diventa una figura incosciente e quindi capace di combinare un mare di guai alla condizione umana. Alla libertà, cioè alla gestione responsabile del proprio budget relazionale, occorre dunque associare una conoscenza la più ampia e approfondita possibile, che consenta un uso ampio e coraggioso degli strumenti con i quali apriamo agli altri la nostra vita. Alla libertà bisogna essere preparati. E dove ci si prepara a gestire la propria quota di libertà? Prima di tutto in famiglia e a scuola, successivamente nella società civile, dove l’insegnamento comincia a diventare regola, strumento, misura. In che modo? Insegnando le regole, quelle che aiutano a esprimere in modo più compiuto e moralmente utile la propria persona, orientandola verso una libertà che non sia repressione o emancipazione estrema, ma coscienza convinta di ciò che la persona è in grado di pensare, di fare, di essere, di realizzare, seguendo un percorso in cui la libertà sia maestra e guida, rafforzando il profilo di una condizione umana spesso vittima dei propri eccessi. Alla libertà bisogna prepararsi e prepararsi non è un percorso da poco, presuppone maturità, volontà consapevolezza, senso, misura, intelligenza, capacità di andare oltre il materialismo, quello che all’apparenza sembra convincere, ma che alla fine lascia sempre con i nervi scoperti. E’ necessario avere per questo dei buoni maestri, che sappiano commisurare la libertà personale con quella civilmente pronta a commisurarsi con il prossimo e con quella comunità che diventa il banco di prova della nostra disciplina etica, morale, religiosa e soprattutto sociale.
Quando si vedono persone che non sanno gestire la propria libertà personale o comunitaria che sia, la comunità stessa dovrebbe fare un esame di coscienza, per cercare di capire se ha fatto tutto quello che doveva fare per la conquista di una socialità davvero libera dalle spinte negative che accompagnano da sempre la condizione umana. La comunità è, in fondo, la vera garante della libertà personale e sociale, è la prova di come siamo stati educati e formati, di come siamo in grado di saper rispondere alle sollecitazioni educative che abbiamo ricevuto in famiglia, a scuola e in tutte quelle associazioni in cui si compie l’evoluzione etica della nostra storia personale. La libertà è soprattutto educazione, capacità di tirar fuori da se stessi la parte migliore, quella che aiuta a scoprire la forza dei valori. Chiunque prevarichi le regole e le norme di una comunità dimostra di non conoscere il valore della libertà e proprio per questo rimarrà per sempre schiavo e la schiavitù è davvero una condizione avvilente, perché non permette alla persona di diventare persona e di essere valorizzata e riconosciuta come tale. In famiglia, a scuola e nella società civile bisogna tornare a parlare di libertà soprattutto ai giovani, facendo capire loro che alla base di ogni conquista c’è un percorso a cui bisogna sottostare, per rendere ancora più bello ed esaltante quel ruolo che madre natura ha assegnato a ciascuno di noi. I vecchi affermavano che la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri, era un modo semplice ma incisivo di far capire che bisogna sempre contemperare, misurare, fare in modo che il nostro agire avvenga attraverso una relazione aperta e costruttiva con quel mondo con il quale ci incontriamo e qualche volta scontriamo, ogni mattina, per cercare di renderlo sempre un pochino migliore.