Mai come oggi escono allo scoperto le magagne di un paese che ha puntato troppo sul benessere materiale, privandosi dell’opportunità di coltivare con impegno e determinazione la propria cultura sociale. Ci siamo buttati in una grande corsa, ma non abbiamo saputo, forse, distribuire con senno le speranze e le fatiche, abbiamo pensato più a noi stessi che a rafforzare le coordinate politiche, morali, culturali ed economiche, non abbiamo saputo sfruttare adeguatamente le nostre risorse, lasciando ad altri questo compito ingrato. Se il mondo cambia è perché c’è qualcuno che andato più avanti di noi, che ha saputo comprendere da che parte tirava il vento, ha saputo distribuire con sapienza le proprie energie, affidandosi a piani strutturali capaci di interpretare la realtà in funzione comunitaria. I cambiamenti di questi anni, che hanno visto primeggiare paesi un tempo accantonati e considerati inadatti, dimostra quanto nella corsa al benessere materiale contino la capacità di prevedere, di intuire, di saper guardare lontano, soprattutto quando tutto sembra risolto e la tendenza sia quella di tirare i remi in barca.
La globalizzazione? Un male inarrestabile, che arriva quando un paese ricco rischia di diventare povero, non ha più né la forza né la volontà di competere, di andare avanti e si accontenta, pensando di poter vivere a lungo con le risorse messe in bisaccia. La globalizzazione arriva e dimostra che la povertà può diventare ricchezza, può cambiare anche solo temporaneamente la storia di chi, per anni, ha subito il peso di forze e poteri invadenti. La globalizzazione arriva quando l’uomo capisce dove deve andare, che cosa deve fare, qual è la strada da percorrere e parte come un tempo partivano i coloni alla ricerca della terra promessa. Anche oggi esiste la terra promessa, anche oggi i coloni partono con la bisaccia a tracolla, anche oggi la terra promessa è lontana, là dove l’insediamento e la conquista richiedono grandi doti di sopravvivenza, di saper costruire un futuro appetibile e vivibile. Molti dei paesi che un tempo erano considerati poveri oggi sono ricchi, capaci di grandi autonomie, di condizionare i mercati, di determinare politiche, di cambiare i modi di pensare, di attrarre e di modificare, ci troviamo in un mondo che è nostro ma non è più nostro almeno così come lo avevamo visto e immaginato. Siamo lontani anni luce dai duplex, dalle raccomandazioni genitoriali, da una consumazione centellinata e propagandata con misura, oggi tutto corre a velocità supersonica e chi non si adegua resta indietro, si isola, resta fuori dai giochi, per cui bisogna continuare a giocare, a stare in campo anche quando sei logoro e avresti bisogno di qualcuno che ti aiutasse a guardare in faccia il mondo indicandoti le vie giuste da percorrere. L’uomo ha bisogno dell’altro uomo, poco importa se parli una lingua diversa, l’importante è che ciascuno svolga il proprio lavoro con competenza e professionalità, che ciascuno sia al posto giusto nel momento giusto e che il progresso non sia la chimera di un tempo brevissimo, ma l’idea che occorra essere sempre in pista, soprattutto quando si pensa che tutto sia stato risolto. I grandi paesi non hanno mai mollato, si sono sempre dati da fare, soprattutto quando avrebbero potuto tirare i remi in barca e smettere di sognare. Il sogno vuole la sua parte. Ognuno ha un sogno da coltivare o da realizzare, ciascuno ha una personalità da realizzare, a tutti deve essere consentito di adire senza muri alla costruzione di una società che metta in risalto i limiti della condizione umana, ma anche la sua straordinaria capacità di sapersi coordinare, di saper individuare le vie migliori per sentirsi realizzata almeno in parte. In questi anni ci siamo lasciati andare, salvo mettere il naso fuori dalla porta e scoprire che il mondo non era più lo stesso e che bisognava assolutamente imparare le lingue per poter comunicare e non cadere in varie forme di mutismo e di incomprensione. In qualche caso abbiamo dovuto aggiornarci, ma lo abbiamo fatto in modo piuttosto reattivo, come se tutto dovesse finire da un momento all’altro e che alla fine saremmo sempre stati noi i giudici arbitri della nostra vita e del nostro futuro. Ci siamo resi conto, però, che la realtà non era più solo quella che avevamo vissuto, c’erano altre religioni, altri riti, altri visi, altri colori, altre situazioni, abbiamo capito che da soli non ce l’avremmo fatta e abbiamo chiesto il contributo a uomini e donne provenienti da tutte le parti del mondo per sostenere la nostra vecchiaia e la nostra malattia. Abbiamo dovuto adeguarci, guardarci attorno e fare in fretta. In questa corsa qualcuno ha capito, ma molti no o hanno fatto finta di niente per non pagare dazio, sta di fatto che tutto quello che ci sembrava strano e assurdo oggi lo è molto meno, perché il mondo sta cambiando e sta cambiando con la velocità di un fulmine. Viviamo in un mondo che guarda al business, che ragiona in termini di mercato e di soldi, che non bada al merito o alla bravura, ma alla necessità, se sei utile o no per svolgere un certo tipo di servizio. Bisogna essere pronti, avere idee, capacità organizzativa, preparazione tecnica e molta fantasia, tutte cose che non ci fanno difetto, ma che fatichiamo a tirar fuori, per una forma atavica di superomismo umano e culturale. Chi è diventato grande lo ha fatto partendo dal nulla, lavorando sulle proprie povertà, impegnandosi a fondo, cambiando e ricambiando, senza la paura di perdere il contatto. In molti casi i maltrattamenti morali, culturali e sociali sono serviti a rimettere in campo forze che pensavamo defilate per sempre. Ogni stimolo, anche il peggiore, ha una sua logica e in questa logica gioca un ruolo positivo, perché attiva meccanismi nuovi e nuove volontà che stanno alla base di una riconversione, di un modo nuovo e più operoso di vivere il presente e il futuro.