Nell’osservazione quotidiana della realtà, la figura paterna è fortemente sbiadita, data in pasto a varie forme di superficialità, sembra di notare che il padre sia diventato una sorta di padrino, protettore, supporter, allenatore, fantasma, fratello maggiore o compare per scampagnate fuori porta. Il padre è padre, è colui il quale ha ragionevolmente deciso di creare una famiglia, di mettere al mondo dei figli e di educarli, accompagnandoli fino alla porta d’ingresso di quella comunità in cui avranno l’onere e il piacere di sviluppare al massimo il loro livello educativo, quello che con amore hanno appreso in famiglia. Senza nulla togliere alla figura materna, naturalmente bellissima e insostituibile, il papà ha un ruolo fondamentale, soprattutto nell’età adolescenziale, quando scattano meccanismi tradizionalmente legati alla competitività, alla voglia di voler dimostrare di essere grandi e di poter affrontare il mondo senza averne ancora la piena capacità morale, materiale e culturale. Di solito quando ci si affaccia alla società si ha bisogno di una figura che dia sicurezza, che educhi senza prevaricare, parlando e discutendo se necessario, con quella determinazione che solo i papà hanno. Certo bisogna prepararsi, capire che generare un figlio può essere facile, ma che è molto difficile farlo crescere con valori solidi, capaci di competere positivamente con un mondo che non fa sconti e che chiede quotidianamente il suo prezzo, per questo diventa fondamentale evitare formule sbagliate, capaci solo di creare confusione, disorientamento, incapacità di crescere sul piano delle scelte responsabili. Il senso di responsabilità personale diventa una meta importantissima e il buon padre ha un ruolo fondamentale in questo tipo di formazione, agendo con discrezione, ma anche con una sorta di virile apertura sociale sul cuore dei giovani, in cui la libertà personale diventa capacità di operare in modo solidale e legalmente corretto. L’idea che molti padri hanno di diventare amici dei propri figli è in molti casi manifestazione di una paura inconscia o reale di non essere in grado di governarli e di addivenire quindi a un compromesso che, per sua natura, può diventare pericoloso. L’idea di cancellare i ruoli naturali e di sostituirli con altri più apparentemente gratificanti genera spesso uno stato confusionale soprattutto in chi ha delle aspettative chiare e precise. La dolcezza materna ha bisogno della decisione paterna e in entrambi i casi i genitori hanno il compito di richiamare i figli all’osservanza di quelle regole comuni che governano la famiglia e la società civile.
Educare al rispetto e all’assunzione di responsabilità personali è fondamentale per una società che ha sempre più bisogno di sicurezza, di legalità, di capire in quale parte vada il mondo che incontriamo tutte le mattine, quando usciamo per strada. Capita spesso di incontrare papà che diventano complici dei propri figli, alleati in un sorta di guerra protettiva contro i fantasmi di una società nemica. Questa complicità contribuisce a sconvolgere il già delicato equilibrio dell’impianto educativo di una gioventù che, in alcuni casi, soffre d’irresponsabilità, a causa di un protezionismo sterile che annulla ogni efficacia orientativa. Il papà deve essere padre, cioè capace di prendere le distanze da un coinvolgimento affettivo sbagliato, deve lasciare che il figlio affronti la vita con le sue difficoltà, anche subendone le conseguenze, se necessario. La famiglia non deve diventare il luogo dell’omertà e della convenienza illecita, deve formare cittadini capaci di interagire e di assumersi fino in fondo le loro responsabilità. In questo percorso servono entrambe le due figure genitoriali, che alternano le loro competenze e le loro investiture, animate dalla volontà di generare ruoli che non diano adito a confusioni di sorta. Il papà che tende a diventare protettore del figlio a tutti i costi, anche quando commette marachelle ad effetto, commette un errore madornale, perché con la sua protezione genera una personalità debole, incapace di prendere di petto il mondo e di difendersi. I figli devono imparare a capire il senso e la qualità della relazione sociale, devono soprattutto saper ragionare su ciò che è bene e ciò che non lo è. Qualche tempo fa spiegando a un adolescente la negatività di un certo tipo di comportamento, mi sono sentito dire che suo padre avrebbe fatto esattamente come lui, era un modo per dirmi che quel padre non era cresciuto, era ancora abbarbicato a quell’età in cui quando sbagli ne sei fiero, perché vai contro il potere costituito e ti sembra di dominare il mondo, mentre in realtà ne costruisci uno senza regole, immaturo, dove i figli una volta diventati grandi non sapranno come fare per imbroccare la strada giusta. Ricordiamo ai papà che i figli non sono dei subalterni o delle vittime predestinate di un’autorità, ma persone che vogliono crescere autonome e libere, capaci di affrontare con senso di responsabilità ed equilibrio le sfide che la vita riserverà loro e che, anche per questo, avranno bisogno di fermezza e di chiarezza da parte di tutti, genitori compresi