Rieducare può sembrare offensivo, in realtà non lo è. Non lo è per il semplice fatto che tutto ciò che abbiamo imparato o che pensiamo di aver acquisito per sempre è soggetto a cambiamenti, riflessioni, analisi, ripensamenti, confronti. La vita non è dunque un bene immobile, è un percorso che si snoda continuamente a ridosso di mutamenti a volte superficiali e a volte radicali. Pensare che i nostri valori siano eterni o inoppugnabili è presuntuoso, bisogna infatti avere l’accortezza di aggiornarli, di sottoporli a critica, di cercare di capire se sono ancora attuali e rispondenti alle richieste di un mondo che è in perenne movimento, sviluppando, a volte, imprevedibilità irrisolte. La famiglia, così com’ è stata concepita nella sua veste naturale e religiosa, mantiene una propria identità, ma in molti casi si svuota di quella linfa vitale che le permette di continuare a essere il perno attorno al quale gravita la vita. Perché si svuota? Forse perché non ha pensato in modo un pochino più approfondito alla propria funzione storica, sociale, etica, morale, si è lasciata travolgere dalle lusinghe di un consumismo che ha desituato molte delle certezze sulle quali aveva appoggiato la propria forza. Troppo benessere, ad esempio, ha fatto credere che il punto di arrivo dovessero essere il guadagno, il potere, la ricchezza, il ruolo. In breve tempo la famiglia si è trasformata in una fabbrica di benessere, tralasciando spesso la forza dell’impianto familiare, quello che si lega agli affetti, all’amore, al rispetto, alla condivisione, alla reciprocità, alla mutua assistenza, ha perso di vista il fatto che l’amore sia soggetto a una maturazione lenta, ma progressiva e che, proprio per questo, ha bisogno di conoscersi meglio e di approfondire meglio la propria identità in relazione al tempo. Forse si è data poco importanza alla valenza educativa della famiglia, alla sua naturale capacità di saper orientare, di essere parte fondamentale di un grande processo di maturazione e di evoluzione sociale, si è data poca importanza alla sua dimensione politica e sociale, al suo essere il pilastro portante di tutta la società civile e dello Stato. Le famiglie sono state soprattutto l’asse portante dell’identità italiana, con la loro forza e il loro coraggio. Con la loro funzione educante hanno contribuito in modo determinante alla rinascita di un paese sprofondato nella fossa della guerra e del disagio. E’ nella laboriosità della famiglia che l’italiano trova il senso di una rinascita, riscoprendo la forza e la bellezza di una vita molto più ricca di quanto non avesse immaginato. La famiglia italiana è stata ed è la forza motrice della rinascita e del rinnovamento ed è grazie alla sua, a tratti sofferta unità, che i giovani hanno imparato a gestire al propria vita, sulla base di poche regole, ma estremamente importanti. Oggi la famiglia tradizionale è in crisi e lo è soprattutto nell’impianto educativo, quello in cui i genitori dovrebbero giocare un ruolo fondamentale. Nella sua apprensiva ricerca di libertà si è trovata spesso in mezzo al guado, senza avere la forza necessaria per guadagnare la riva. Si è trovata sola e svuotata di significato, in balia di una temporaneità in cui sono naufragati quei valori di base sui quali aveva costruito la sua fede e la sua storia. Caduta sul campo l’idea che il matrimonio fosse per sempre e che la benedizione divina lo preservasse dalle distruzioni del tempo, la famiglia si è messa in viaggio allentando via via la stretta valoriale, pensando di bastare a se stessa. E’ diventata una situazione di comodo per certe cose e molto scomoda per altre, non è più riuscita a elevarsi, a rinnovarsi, a ripensare quei valori sui quali aveva costruito la propria idea di eternità. L’abbassamento della cortina religiosa, a tratti eccessivamente impegnata sulle strategie da adottare, piuttosto che sull’approfondimento della dimensione morale della famiglia, ha creato una sorta di liceità, che si è trasformata spesso in anarchia posturale. Il calo dell’identità religiosa è stato alla base di una sempre maggiore laicizzazione del matrimonio, come se all’improvviso fosse scomparso dalla scena quel senso del divino che legittimava l’unione, imprimendo alla vita dei coniugi il carattere della continuità e dell’aiuto reciproco, soprattutto nella cattiva sorte. Uscire dal timore del giudizio divino ha certamente alimentato l’idea che l’uomo potesse fare tutto e il contrario di tutto, si è così creata una morale di comodo in cui ciò che contava era il benessere individuale, una sorta di edonismo esteso in cui ogni libertà incontrava la sua convalida. L’idea che l’uomo abbia raggiunto il perfetto equilibrio, tale da poter disporre della propria libertà, lo affranca dalla sfera dei doveri, si è venuto così a rompere quell’equilibrio in cui diventa fondamentale aiutarsi, confrontarsi, mettersi in discussione, costruire e ricostruire, cercare di rinnovare rafforzando e rilanciando la bellezza dell’istituto familiare. Oggi la famiglia vive una sua libertà che, in molti casi, si trasforma in arroganza individuale, proprio come se fosse un feudo da difendere e da proteggere sempre e comunque, anche quando crolla e perde di consistenza etica, diventando terreno di conquista da parte dei “barbari”. Chi fa le spese della fragilità dell’istituto familiare sono i figli, spesso lasciati allo sbando, privati dell’attenzione genitoriale, abbandonati al loro destino. La fragilità della famiglia è la causa prima delle nostre disavventure sociali e di molte delle tragedie che si consumano tra le mura domestiche e fuori. Separazioni, divorzi, convivenze, femminicidi, stupri, violenze, bullismo, situazioni paradossali, tutto contribuisce a creare un quadro davvero drammatico della famiglia italiana, alle prese con una crisi d’identità che fa paura. Ciò che balza agli occhi è l’assoluta mancanza di una formazione adeguata, con percorsi obbligatori, dove vengano illustrati i diritti e i doveri, gli aspetti affettivi, il valore sociale della famiglia, la sua capacità di incidere positivamente sulla vita della comunità, segreti di una sua evoluzione positiva. L’impressione è che tutto si riduca a una infarinatura di carattere generale, una sorta di rito abbreviato per affrettare i tempi. Uscire da certe forme di egoismo e costruire un sistema affettivo valido e importante non è una cosa semplice, c’è bisogno di istituzioni che siano capaci di far uscire la famiglia da un pericolosissimo stato di provvisorietà, per entrare in uno di consapevolezza e di responsabilità, dove l’amore non sia solo qualcosa da consumare e poi da buttare dalla finestra, ma uno stile di vita che riassume in sé le parti più vere e più nobili della natura umana.
Mio padre non mi ha mai comprato una moto o un motorino per andare a spasso senza far niente, non mi ha mai riempito le tasche di soldi per divertirmi, non mi ha mai concesso di prendere confidenze sbagliate e ogni volta che sgarravo, molto di rado sapendo le conseguenze, non cercava i colpevoli, ma mi metteva in riga, perché secondo lui ero io che dovevo imparare a stare al mondo, ero io che dovevo formarmi un carattere e, soprattutto, ero io che dovevo rispettare le regole del buon vivere quotidiano. E’ ancora così? Assolutamente no. Nella maggior parte dei casi i genitori sono diventati protettori ad oltranza, ritengono che i figli abbiano bisogno di protezione, si sentono paladini della verità, come se gli altri fossero nemici da distruggere e così avvallano l’idea che tutto si possa fare in nome di un becero protezionismo. Abbiamo dei giovani che credono di essere i padroni del mondo e dei genitori che si vantano dei propri figli, salvo piangere e disperarsi quando vengono a sapere che i propri figli si drogano o combinano atti delinquenziali e finiscono nelle maglie dell’ordine pubblico e della giustizia