Un chirurgo “onironauta” che ormai opera di notte durante il sonno, sognando. Una definizione così particolare scaturisce dall’autobiografia, o meglio dalla memorie personali di Renzo Dionigi, Rettore dell’Università degli Studi Insubria di Varese e Como dal 1998 al 2012. Con il titolo “La corsia della memoria”, (collana “Gli aironi”, edizione Interlinea) verrà presentato in Aula Magna il 20 settembre alle ore 17. Lo ha dedicato alla moglie Janet, “incomparable wife, mother and grandmother”, e lo ha scritto “per interrogarsi, per conoscersi”. Queste pagine hanno la ricchezza di chi è consapevole di aver vissuto e di vivere stagioni piene della vita, cogliendo in ogni esperienza un significato d’insieme che dà forma al suo essere uomo. Certo, le pagine dedicate alla sua professione occupano uno spazio considerevole, come gli incontri con personaggi di rinomanza anche mondiale, ma non ci si aspetti che siano il tutto: attorno e in abbondanza, ci sono “chicche” che meravigliano, introdotte da capitoli dai titoli accattivanti. Fu nel 1957, a seguito di un’operazione del padre a Niguarda, felicemente riuscita, che “mi resi conto -scrive- che esisteva un mestiere, il chirurgo, che mi si addiceva, che sarebbe stato utile agli altri, che avrebbe potuto guarire le malattie che resistevano ai farmaci”. Dove ogni sforzo è teso al bene del paziente. Ora il libro è “uscito dalla penna” con una scrittura intrisa di passione, di affetti. Apre porte dopo porte dosando tanti aspetti. Il lettore comprende a fondo l’imperativo etico della sua professione e nel contempo assapora gli altri interessi che spaziano nei più vari campi. La loro distribuzione nelle pagine del libro fa venire alla mente la parola “armonia”. C’è inizialmente il chirurgo che felice a Cincinnati, inviato nel 1968 dall’Università di Pavia, raccoglieva, presso il centro dei trapianti, “i primi, positivi risultati di ricerche impegnative e originali”. Si era nel contempo riavvicinato alla chirurgia clinica, e soprattutto, non si sentiva solo. “C’era Janet”. E c’è subito dopo il bambino che nel 1943 a Torba, dove era sfollato con i genitori, vedeva una minacciosa fumata nera all’orizzonte, segno di nuovi bombardamenti, e guardava con preoccupazione la madre in ansia per il ritorno del marito, già sfuggito miracolosamente ad uno di essi.
Professore, la frequentazione del Liceo Carducci a Milano, fucina intellettuale di figure che hanno lasciato una traccia indelebile nel mondo culturale, è stato un altro pilastro della sua educazione, oltre a quella familiare.
Frequentare il liceo per noi studenti equivaleva a partecipare alla vita dell'”intelligencija” milanese che rappresentava un punto di riferimento nazionale. Si usciva dalle aule e si andava alla Casa della Cultura. Era una mondo ricco, un mondo che non esiste più.
E’ stato curioso scoprire che è divenuto scout per volontà dei suoi allo scopo di allontanarla dal desiderio di scovare bombe inesplose.
C’era un campo abbandonato vicino a casa, dove noi ragazzi andavamo a cercarle per divertimento. Poi le nascondavamo in una fossa scavata appositamente. Lo scoutismo mi ha allontanato da questi pericolosi giochi di strada, mi ha appassionato alla natura e mi ha insegnato a servire gli altri.
Lei scrive: “Nel 1959 lascio definitivamente Milano: mi attendono Pavia, Cincinnati, di nuovo Pavia, Varese”. Un percorso in crescendo con luminari come Massimiliano Campani, maestro presso il Politecnico San Matteo di Pavia, Wesley Alexander a Cincinnati. Immagino che lei sia stato grato alla vita.
In chirurgia, non si può essere bravi, se non si hanno maestri di riferimento. Il chirurgo autodidatta è destinato a fallire. I miei maestri mi hanno insegnato “il mestiere”, ma soprattutto l’umiltà e a non credere troppo nelle proprie capacità, consapevoli che si può fallire. Mi sono capitati interventi che hanno richiesto dalle 14 alle 18 ore: interventi in cui si dimentica la stanchezza tale è il coinvolgimento. Si prova gioia e soddisfazione quando hanno successo, ma questi sentimenti devono corrispondere a momenti fugaci. E’ bene pensare al paziente successivo. Quando invece sorgono problemi, subentra la frustrazione nel vedere il dolore del paziente con problemi rimasti insoluti.
Professore, è un caleidoscopio di interessi! Sono pagine che si gustano quelle in cui, ad esempio, lei parla della “premiata ditta Ferro (ndr. Filippo Maria Ferro, maestro di psichiatria) e Dionigi che insiste a lavorare sulle sculture lignee policrome del Rinascimento lombardo”.
Vero! Attualmente stiamo curando un libro sui compianti del Cristo morto. Ne abbiamo censiti più di 80 in Lombardia e Piemonte e ora li stiamo studiando ai fini di una pubblicazione.
Le sue soddisfazioni legate all’Università dell’Insubria.
Non è stato semplice cominciare, ma io con i colleghi l’ho strenuamente voluta. Come Rettore, posso affermare che sono state superiori le soddisfazioni alle poche delusioni. Se all’inizio Varese ha accolto l’Università con indiffferenza e diffidenza, in pochi anni l’ha fatta sua. E ancora oggi è così per merito dei miei successori.
Non si può non rimanere colpiti dal suo amore per la famiglia: il libro è costellato da ampi riferimenti che trovano la loro sintesi nella parte finale.
Continuo a gioire della mia famiglia, dei miei figli, dei miei cinque nipoti. Il 51% della mia piena realizzazione è merito di mia moglie.
Federica Lucchini