Cinquantadue anni fa, il 27 luglio 1971, una delibera del consiglio comunale decretava la chiusura del Reparto di Maternità di Gavirate. Questo vuole essere un omaggio a tutti coloro che vi hanno operato e alle tante mamme che vi hanno trovato assistenza.
La vita che scaturisce dal dolore. Questa espressione, riferita alla “Casa della Madre e del Bambino Bianca Besozzi”, la cui struttura, oggi adibita ad altri usi, si affaccia su piazza Repubblica, ha una doppia valenza: la sofferenza del parto e la storia della giovane che ha dato il nome a quest’opera di assistenza. La sua fine tragica, avvenuta nel 1936, portò i genitori, Cesare e Luigia Bernasconi, a dare origine a un luogo dove la vita sorridesse. Essere munifici nei confronti delle donne che avevano la gioia di diventare madri fu il loro modo di elaborare una perdita troppo grande. Il Besozzi, che aveva proprietà a Gavirate, era titolare a Milano dei mulini Marzoli -Besozzi e fu un pioniere della macinazione a cilindri e presidente dell’organizzazione preposta al mercato granario. La donazione ufficiale dell’istituzione al comune di Gavirate avvenne nel 1945, con atto rogato dai notai Gian Luigi e Gino Giacosa, sindaco Giuseppe Maggioni. La sovrintendenza sanitaria fu affidata all’Ospedale del Circolo di Varese. Il primo piano della struttura fu adibito a consultorio, il secondo a reparto pediatrico e il terzo a maternità. La famiglia Besozzi, nelle figure di Bruna e Bona, sorelle di Bianca, contribuì notevolmente a coprire i disavanzi economici. “Tre piani di scale con il pancione”, ricordava Rosa Biasini, dando voce a tutte le mamme che hanno dovuto affrontare questa difficoltà. Lei l’affrontò nel 1954 e nel 1957. Queste righe, senza la memoria, sarebbero “fredde”. Indispensabile è la sua presenza. “Dopo due giorni dal parto le infermiere ci somministravano una dose di olio di ricino perché favoriva la montata lattea e poi consigliavano di bere la birra perché aiutava a mantenere l’allattamento. Ai primi anni Cinquanta – continuava nei ricordi- da Voltorre una donna giunse a piedi con una amica che portava una valigetta e un’altra arrivò sulla canna della bicicletta del marito. Ricordo ancora la camera a quattro letti dove eravamo ricoverate, che dava sulla piazza del mercato”. “Due camere erano singole e una riservata alle ragazze madri -ricorda Marcella Bossi, gaviratese, infermiera in sala parto nel 1954 -La presenza del professore Mario Razzini era indispensabile quando i parti erano difficoltosi”. Non vuole parlare direttamente della sua attività perché a volte i parti non erano sinonimo di gioia. Sono solo poche cifre, perché i documenti sono incompleti, ma danno anima sulla carta ad una istituzione che ha visto entrarvi tante mamme di Gavirate e del circondario. Questo non è un freddo elenco: ad ogni numero corrisponde una vita. Nel 1949 ci furono 44 nascite, di cui 20 neonati residenti in comuni limitrofi. Ventinove parti in quell’anno vennero effettuati in case private. La punta massima si ebbe nel 1965 con 312 nascite fino a declinare nel 1970 con 25 nascite gaviratesi su 86 parti. E si giunse con rammarico, come sottolineò l’allora sindaco Mario Tibiletti, a deliberare la chiusura della Maternità entro il 30 settembre 1971: la sostituzione del personale laico al posto delle religiose della Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo di Torino, che fungevano da infermiere, sarebbe stata costosa, ma soprattutto il reparto non era più rispondente alle esigenze dei tempi. A ricordo all’interno della struttura, ancora oggi, è visibile l’intenso affresco di Aldo Mazza “La madre e il bambino”.
Federica Lucchini