Ci sono case che sono state talmente desiderate, da essere descritte con grande trasporto e poesia prima ancora della loro costruzione. La casetta rosa dello scrittore Guido Morselli (1912-1973) sulla falde del suo podere di Santa Trinità è una di queste: vi ambientò il saggio “Realismo e fantasia”, pubblicato a sue spese nel 1947. La fece edificare in base ad un suo progetto nel 1952. E’ così viva e palpitante la sua descrizione che si comprende quanto sia stata amata: “Quadrata, rossa d’intonaco, genuinamente rustica e insieme di schiette proporzioni, bellamente si accorda alle cose intorno, all’erba, agli alberi, al cielo. Le stanze a terra danno agevolmente sul prato per la soglia rilevata, su cui si ferma spesso qualche lucertola a curiosare”. Che cosa vuol dire attualmente abitare una dimora così impegnativa dal punto di vista sentimentale per uno scrittore che fu costretto a lasciarla a causa di un’improvvisa invasione di motoscrossisti il 12 dicembre 1972 in una giornata gelida e nevosa tra l’irritazione impietosa dei trasportatori alle prese con veicoli costretti a continue retromarce su viottoli stretti e viscidi?”. “Tranquillità -risponde Serena che vi risiede dal 2001- Appena varco la soglia acquisisco questa dimensione”. Il viso si allarga in un sorriso sereno. “E’ una casa che o si ama o si odia. E’ isolata, immersa nella natura, lontano dall’abitato. In particolare la notte può generare paura. Ma se te innamori come è capitato a me, è per sempre! Si ammirano certi tramonti impagabili e in certe notti il cielo appare di una bellezza incredibile”. “Esiste uno spettacolo più sublime di questo, del cielo che ci sovrasta? Pensa all’infinità di questi lumi, ciascuno dei quali è un mondo che gravita esatto nel vuoto spazio, e ti sentirai compreso di stupore”, scrive Morselli nel saggio. “C’è poi il prato verde di fronte la casa che è un mondo a sé, in mezzo alla natura -interviene il compagno Tiziano- Mentre lo si attraversa, si sentono le voci degli insetti: un’animazione felice e continua. Si sente la vita palpitare. E’ un luogo magico. Appena ci si allontana, si sentono i rumori della quotidianità del bosco che equivalgono anche ai silenzi”. Lo scrittore lo definiva “il laghetto verde”. Certo, c’è stato qualche episodio strano, che per la verità, non ha assolutamente turbato Serena: sentivamo passi sul tetto la notte. Inspiegabilmente. Nel frattempo abbiamo ripiantato il gelsomino, poiché l’originale non esisteva più, e rimesso la recinzione davanti casa, voluta da Morselli e allora distrutta. “Beh, magicamente i rumori sono spariti. Sarà stato un caso, certo, ma così è stato!”. Alla domanda se sente la “presenza” dello scrittore, sicura risponde “No!”. Percepisce la serenità e la pace che lui desiderava e comprende appieno perché ha voluto questa dimora. “Fino a qualche anno fa, preferivo non dormirci la notte del 31 luglio”: la notte del suo suicidio aveva disturbato alla fine degli anni Novanta ragazzi che prestavano il servizio civile e lì dormivano. Dal loro racconto era emerso che avevano sentito la sua presenza, sotto forma di passi che scendevano la scala. L’interno era chiuso e fuori si sentiva un grande abbaiare di cani che solitamente era dovuto a presenze. “Qualche anno fa mi sono dimenticata della ricorrenza e non è successo nulla. Però -termina con un episodio curioso: “Appena arrivata a casa Morselli, mia figlia Claudio che aveva quattro anni, mi disse di aver visto una figura appoggiata alla finestra che guardava all’esterno. Non ci feci caso, ma dopo poco tempo, quando vide un manifesto con la foto dello scrittore, senza sapere nulla mi disse: “E’ quello il signore che ho visto!”.
Federica Lucchini