A partire da questo contributo del nostro Direttore,
Menta e Rosmarino intende promuovere una discussione sul tema dei piccoli paesi, sul loro ”oggi” e sul loro “domani”. Alcuni piccoli paesi sembrano avviarsi verso tempi difficili: transitando per le vie si incontrano parecchi cartelli con le scritte “affittasi” oppure “vendesi”, segno evidente di una certa smobilitazione.
Palazzi ha affrontato la questione da un punto di vista prettamente culturale, sarebbe interessante sviluppare sul sito un’ampia discussione che verta anche su altri aspetti del problema (lavoro, servizi …).
Giuseppe Cassarà
La bellezza dei sogni
Il “paese” è stata una cosa molto importante nella storia della nostra gente e ha permesso di superare momenti storici particolarmente difficili.
Poi, lentamente, anche inavvertitamente, le necessità sono mutate e il “paese”, quello straordinario capolavoro di rapporti socio-economici che molti di noi hanno conosciuto, ha perso la sua ragion d’essere.
Oggi le condizioni socio-economiche sono radicalmente mutate ed è ora di pensare a nuove forme di organizzazione sociale ed economica il più possibile funzionali alle esigenze del nostro tempo.
Persistendo le condizioni attuali, piccoli paesini come Caldana, Orino, Azzio, Comacchio (e tanti altri) rischiano di svuotarsi; se non saremo in grado di offrire qualcosa di diverso, di particolare e di interessante la gente se ne andrà a vivere dove strutture e servizi sono migliori e il lavoro più probabile. E’ fatale.
Se ne andrà a riempire ancora di più le già “esplosive” periferie.
Dobbiamo pensare a qualcosa di alternativo. A tal proposito credo si renda necessaria una piccola rivoluzione culturale: dobbiamo cioè cominciare a disconoscere quella sottocultura che ci hanno inculcato, che pone il denaro (i danèe) sopra ogni cosa, e pensare ad un modello che si fondi non soltanto sui bisogni dell’economia, ma anche su quelli dell’uomo.
Il benessere non deve essere pensato unicamente in termini di denaro (di PIL!!); il denaro gioca un ruolo fondamentale, ma il benessere dipende anche dalla forza delle nostre relazioni, dalla qualità dell’ambiente in cui viviamo, dalla nostra preparazione culturale e da tante altre cose.
Dobbiamo progettare un “paese” che si faccia apprezzare anche per quello che sa restituire all’anima; un paese che, pur conservando un dignitoso livello di servizi, possa offrire qualcosa di alternativo, recuperando in primo luogo lo spirito comunitario e il rapporto con i luoghi e la natura.
In tema di relazioni – è solo un esempio – siamo passati in questi ultimi anni da un ambiente socializzante e comunitario, quale il paese è sempre stato, ad una comunità improntata sull’individualismo e sull’isolamento. La socialità di un tempo prevedeva incontri naturali per le strade, nella piazza, nei negozi, nelle osterie; ora è implosa per favorirne una quasi clandestina, da carbonari dove il punto d’incontro è diventato facebook o il bar del supermercato.
Le conseguenze sono inevitabilmente dolorose: oggi ci ritroviamo afflitti da quelle che qualcuno ha chiamato “passioni tristi”: consumismo, gioco d’azzardo, televisione … , “passioni” che si portano appresso un vuoto di umanità purtroppo destinato a crescere nel tempo.
In un paese del futuro, che sarà sempre più ricco di differenze (dovremo tra l’altro imparare a coabitare con culture, modi di vita e fedi diverse), lo spazio dell’incontro deve per me rappresentare il cuore sociale e culturale.
Credo sia opportuno cominciare a riprogettare partendo da aspetti come questo, aspetti che, senza volere, abbiamo sottovalutato. Dobbiamo però recuperare anche tanti altri aspetti: il rapporto con la natura, i valori paesaggistici, le prospettive culturali, una certa filosofia di vita ….
Credo molto nell’importanza degli investimenti culturali, specie quelli legati al territorio: nel paese della modernità la cultura deve giocare un ruolo più rilevante anche perché la persona colta sa cogliere meglio l’eco del bello e il sapore della propria storia.
Va comunque preso atto che il nostro modo di essere è già molto cambiato rispetto al passato, non siamo più “provinciali”, ma paesani connessi con il mondo. Capaci anche di girarlo questo mondo fino a ieri sconosciuto.
Tra un bicchiere di vino e una fetta di salame, ora, che siamo cresciuti culturalmente, oltre ad aver imparato ad amare i viaggi, abbiamo cominciato ad apprezzare Pasolini o Sereni o altri.
E’ andato invece deteriorandosi il rapporto con la campagna. Va recuperato. Oggi, per esempio, si sente dire che coltivare l’orto, “non conviene più”, riducendo la questione ad un aspetto meramente economico senza rendersi conto che il rapporto con la terra e con la natura in generale offre soddisfazioni che vanno ben oltre. Poi, un paese senza un uovo fresco, che paese è?
Altro valore cui dedicare nuove attenzioni è rappresentato dal paesaggio. L’abbiamo violentato, l’abbiamo abbruttito, dobbiamo andare lentamente a correggere i nostri sbagli perché la bellezza avvicina e richiama la serenità e la gioia di vivere.
Nei nostri luoghi la potenzialità in tal senso è rappresentata soprattutto dalla vocazione verde, che deve essere ancora rafforzata, valorizzandola al meglio.
Mi piacerebbe poi che entrassero a far parte dei nostri comportamenti la “lentezza” e il “tempo perduto”. Abbiamo bisogno di fermare un po’ il tempo, di dilatare il pensiero e le nostre emozioni; riordinare le idee, anche rivivere ciò che abbiamo già vissuto. I nostri nonni consideravano spazi del “tempo perduto” quelli del raccontare, del ricordare, del giocare coi piccoli, della trasmissione della memoria ai nipoti. Credo che tutto ciò vada recuperato; il “tempo perduto”non è perduto, è il tempo della vita vera, come quello dedicato all’amore o alla poesia.
Sono convinto che una vita impostata in modo diverso, forte di scelte culturali diverse, può riaprire tanti nuovi orizzonti… Dobbiamo riuscire ad intrecciare ecologia e poesia, bellezza e cultura, e il paese può diventare il laboratorio di un nuovo umanesimo.
Quanto a opportunità di lavoro o bontà di servizi non potremo mai competere con una Paderno Dugnano o una Novate Milanese – tanto per fare due nomi di ricche periferie – e quindi sarà buona cosa perseguire prerogative diverse, il più possibile confacenti al nostro territorio e alla nostra cultura.
Il tutto con la finalità di rendere i nostri paesi “quartieri speciali”, un rifugio per chi desidera staccarsi dalla solitudine consumistica del villaggio globale e intraprendere una vita impostata su valori differenti.
La storia delle civiltà è la storia di una continua reinvenzione di idee, stili di vita, strutture sociali e vivere il senso della storia come continuo superamento è anche l’unica maniera positiva di interpretarla.
Non dobbiamo aver paura del nuovo: il futuro è l’unico tempo verso cui possiamo andare.
“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei loro sogni”, recita romanticamente Eleanor Roosevelt.
Alberto Palazzi
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Salviamoci col “tempo perso”, ricchezza nascosta dei piccoli paesi
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Piccoli paesi, l’oggi e il futuro
Articoli pervenuti
Tutto vero caro Alberto, però il guaio è che la decadenza dei nostri paesi è dovuta soprattutto al fattore economico. Tolti i posti di lavoro, tolti i giovani che vanno altrove, cosa resta? Io credo che l unico fattore di richiamo per il paese sia una vita pubblica a misura d uomo. Mi spiego meglio: il paese è un luogo dove i cittadini si trovano a tu per tu con sindaco, assessori e dipendenti comunali, cosa impossibile in città. E allora lo sforzo da parte dell amministrazione deve essere quello di stare dalla parte del cittadino, assecondarlo nelle sue esigenze, favorire le sue attività disinnescando i conflitti che sorgono verso lo Stato accentratore. Quindi, per quanto possibile, massima semplificazione della burocrazia, certezza delle regole, sollecitudine nelle risposte. Questo può fare la differenza tra abitare in paese piuttosto che in città, o in un paese piuttosto che in un altro. Il resto viene da sé, perché una volta rotto l isolamento in cui si trova il cittadino, è facile trovare altri modi per vivere e condividere la realtà del paese.
Adriano Biasoli
….. eppure i piccoli paesi si ripopolano di residenti, spopolandosi di vacanzieri. Le seconde case o le case di corte appartenenti ad anziani vengono vendute a chi decide di vivere in piccoli paesi vicini alle grandi città per far vivere la loro famiglia più a “misura d’uomo”. Però quando queste famiglie (compresa la mia) tornano da Scuola o dal lavoro tendono a rilassarsi chiudendosi nel loro orticello di pace, senza ricerca di socializzazione. Poi c’è anche un’altro problema non indifferente: la pretesa di una burocrazia davvero esagerata. Molti luoghi un tempo aggreganti sono ridotti all’abbandono e alla chiusura a causa di nuove normative che obbligano a ristrutturazioni costose, i piccoli negozi vengono tassati, senza avere abbastanza clientela per sostenere le spese. Facciamo conto che, se un tempo ci si muoveva molto meno in automobile usufruendo di piccoli esercizi commerciali del paese, ora le stesse famiglie che decidono di vivere nei piccoli paesi preferiscono recarsi per la spesa al supermercato vicino, più comodo e conveniente, dove si trova tutto quello che si ha bisogno. I paesi sono diventati un dormitorio per i lavoratori, un’oasi di pace quando si è a casa, una garanzia per i genitori che i figli possano giocare in piazza o nei prati senza i pericoli cittadini. Per far rivivere i paesi come “una volta”, quindi, bisognerebbe cambiare oggi davvero troppe cose.
Diana Ceriani
Capiterà ai più, soprattutto alle nuove generazioni, di assistere a un fenomeno sociale inquietante e attualissimo e cioè che la gente non è più una comunità di incontri reali ma una realtà di contatti virtuali. Dopo l’automobile e la penicillina del secolo scorso ora e internet coi cellulari di questo nuovo millennio hanno cambiato il mondo delle relazioni e della salute umana. Ma a volte però la loro preziosità a differenza della penicillina è diventata un impoverimento e un pericolo sociali. Le auto poi hanno segnato un vero e proprio olocausto sull’altare del progresso facendo più morti delle crociate di due guerre mondiali messe insieme o delle bombe atomiche, stravolgendo il territorio cancellando paesi e culture.
È la contraddizione tra il progresso e i suoi sacrifici. Sempre più si assiste a un palco di persone anche colte e intelligenti che anziché guardare in faccia il proprio simile e cercare la relazione che può diventare una opportunità per la propria vita ci troviamo assenti e distratti da questa diavoleria tecnologia come la quotidiana connessione virtuale. E il Wapp tanto per fare un esempio quello con cui invio questa riflessione o Facebook ormai un bisogno occulto e tutti noi siamo assorti dalla versione virtuale della vita che è quella di un rettangolo iperuranico del cellulare o dell’ipad che la comunicazione dei social che dimentica spesso la verità antropologica dell’essere umano e cioè che per vivere e perchè si compia l’esistenza umana abbiamo bisogno delle relazione con l’altro. Coi touch non si é mai sul tram, sul treno, sull’aereo, in macchina ( “se non rispondi non muore nessuno” bella pubblicità del Ministero sul massacro che avviene ogni anno sulle strade anche a causa del telefonino). Si è sempre nell’altrove e non quello tanto caro al poeta francese Rimbaud ma in quello silenzioso e invisibile che ê la tastiera e il mouse. Spesso vigliacca e anonima silenziosa come il male che possono fare le parole che non hanno viso. Solo bambini sofferenti e urlanti degli asili infantili ti tengono collegati alla realtà di relazione, ancora ignari della incomunicabilità che li attende. E perchè un cappello introduttivo così lungo sulla moderna relazione dei social e non sulla vita di paese e sulla provocazione lanciata da Palazzi, con il quale non sono del tutto in accordo. Molto semplice perchè la solitudine del nido ( il paese) non è molto dissimile da quella del formicaio ( la metropoli), il tempo è delle cose come dell’uomo, io sono nato in un paese e vivo in una città, certo non demonizzo nè Internet nè l’auto o i social ci mancherebbe, credo non sia più importante però essere localizzati in un posto o l’altro se siamo in eterna connessione col mondo, paese o metropoli che sia. Cioè se pensiamo che le feste patronali, le processioni, le ricorrenze, i consigli pastorali non siano più feste popolari e di aggregazione, allora vivere a Hong-Hong o Caldana è la stessa cosa e diciamolo in un mondo sempre più piccolo e invivibile. Certo credo che sia necessario farne un uso più responsabile. Non parliamo poi della televisione una discarica a cielo aperto, che però serve su bambini e agli anziani per non restare troppo soli. Accanto a me sul bus che mi porterà in missione a Iringa in Tanzania a 700 km dalla capitale Dar el Salaam è seduta una ragazza alta, magra e col burka, trapelano dalle fessure due occhi di fuoco e credo affascinante, almeno penso, o lo immagino dalle mani? Ha le unghie di mani e piedi dipinte di rosso, anche lei sempre in collegamento col cellulare. Vorrà pur dire qualcosa? Buon giorno Alberto.
Isola di Pemba (Oceano Indiano) Agosto 2016
Dino Azzalin
Carissimi
nel caso vi fosse utile vi informo che proprio sull’argomento ho pubblicato un piccolo e-book dal titolo Borgo Amico 4.0 liberamente scaricabile dal mio sito
Luciano Folpini
Borgo Amico 4.0 Una proposta per la solidarietà Luciano Folpini