– Musicisti che salutano in modo gioioso, i “Klezmorim maseltov”, sono un gruppo di quattro professionisti di origine varesina, che, con una voce recitante, portano in giro spettacoli, molto apprezzati dal pubblico, basati su canti e brani strumentali della tradizione popolare ebraica. Ascoltarli è una gioia, tanto riescono a coinvolgere gli spettatori con la musica ricca di espressività, a volte felice e spensierata, a volte triste e malinconica e con i racconti di fiabe, poesie e aneddoti di vita.
Considerato il fascino dei loro lavori, è interessante conoscere il percorso che ha portato quattro anni fa alla loro formazione.
Portavoce è Fausto Saredi: dal 2006 clarinetto basso all’Orchestra sinfonica “La Verdi” di Milano, ha ricoperto ad interim lo stesso ruolo dal 2004 al 2008 presso l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Come è nato il vostro gruppo?
Siamo tutti amici e abbiamo intrapreso questo percorso per passione verso la musica popolare e in particolare verso la musica yiddish anche se tutto ciò esula da quello che è il nostro impegno musicale. Veniamo, infatti, tutti da una impronta profondamente classica, da un percorso importante. Questa avventura ci è scoppiata tra le mani nel bel senso della parola: credevamo di trovarci e divertirci, poi il tutto ha preso piede. Abbiamo ora all’attivo diversi concerti anche in stagioni importanti: a Villa Giulia a Verbania, in Svizzera nell’ambito dei “Luoghi da ascoltare”. L’auditorium di Milano era strapieno di studenti ad ascoltarci per la Giornata della Memoria. Inoltre tantissimi sono stati i concerti anche nelle scuole secondarie e nei licei.
Perché avete assunto questo nome, i “Klezmorim maseltov”?
I “klezmorim” erano musicisti che suonavano per accompagnare tutte le ricorrenze della vita ebraica: dai funerali fino ai matrimoni, alle feste popolari, a tutto ciò che la vita quotidiana poteva proporre. Erano itineranti. Non erano professionisti, ma intervenivano in qualità di musicisti a tutti gli effetti. Capitava che fossero virtuosi del proprio strumento, soprattutto clarinettisti e violinisti. “Maseltov” significa saluto gioioso. Quindi siamo musicisti che salutano in modo gioioso.
Dunque, fascino per la musica yiddish.
Risponde Marcello Serafini, chitarrista, laureato in polifonia rinascimentale, suona in diversi ensemble. E’ insegnante alla secondaria “Vidoletti”.
Il suo fascino è legato al linguaggio multiforme, poliedrico che si avvale di tante forme e di diversi strumenti musicali. Si può andare dai tempi dispari, tipici della cultura balcanica, fino al linguaggio più colto della musica nord europea. Si incontrano influenze di vari generi, influssi di musica orientale. Alcune scale utilizzate, poi, sono più vicine al linguaggio della tradizione araba piuttosto che a quella occidentale.
Quindi voi non componete?
Noi eseguiamo, soprattutto arrangiamo perché di questa musica, tramandata oralmente, esiste prevalentemente la linea melodica. Il mio lavoro principale è sostenere questa “impalcatura” principale data dalla melodia. La musica non è solo strumentale, ma è accostata al canto perché la tradizione yiddish le prevede entrambe.
Avete quindi studiato molto?
Fausto
Ognuno ha un compito e si documenta molto. Marcello, come abbiamo detto, ha il compito di arrangiare questi brani, di far sì cioè che la nostra formazione li possa eseguire. Marco, il cantante, si è esercitato molto sulle pronunce. Oltre la lingua yiddish, nei nostri spettacoli si usa la lingua ebraica. Quindi ha dovuto approfondire la dizione. Tutti insieme – soprattutto Elisa Carnelli, voce recitante, con l’aiuto di Marcello – stiamo facendo tuttora molta ricerca sul mondo musicale ebraico.
Presentate gli spettacoli finora allestiti.
Al momento ne abbiamo due e stiamo lavorando per allestirne un terzo. Il primo è una specie di cabaret dedicato alla memoria, alla Shoah, un blocco unico di racconti e musica. Il 25 giugno alle 20,30 a Mendrisio nel splendido chiostro dei Serviti, nel centro storico della città, nell’ambito della festa della musica proporremo l’altro spettacolo: “Se ride Dio, rido anch’io”, una sorta di viaggio all’interno della musica popolare ebraica, con racconti orientati piuttosto sulla vita del villaggio ebraico, con aneddoti, racconti goliardici per rendere l’idea di come ragionasse questo popolo. Quindi vengono presentati tutti i personaggi: dal rabbino al lattaio al sensale di matrimonio, piuttosto che altre figure all’interno della comunità.
Quale sarà il terzo spettacolo?
Marcello
Cerchiamo nuove fonti. In questi giorni sto effettuando ulteriori ricerche di testi e non sapevo che il materiale è veramente tanto. Anche negli stessi campi di sterminio c’erano musicisti e qualcuno è riuscito a scrivere musica, per quanto difficile potesse essere questa operazione. Ci stiamo documentando per uno spettacolo legato alla vita del lager.
C’erano musicisti che producevano musica nei lager?
Nei lager tutte le mattine c’era un momento di musica suonata da piccole bande. Però è chiaro che i brani erano sempre gli stessi: gli esecutori non avevano la possibilità di studiare, provare. Chi, comunque, sapeva suonare uno strumento, poteva ritenersi fortunato. Ci furono persone colte che, pur di portare avanti questo amore, in qualche modo si sono ingegnati a continuare a scrivere.
Spiegate
Fausto
C’è un esempio incredibile, legato a Olivier Messiaen, un autore famosissimo. Fa accapponare la pelle sapere che quando i tedeschi lo catturarono, nel suo zaino, trovarono tantissimi spartiti di Bach. Quando entrò nel lager, riuscì a comporre il gradissimo quartetto che s’intitola “Quatour pour la fin du temps”, quartetto per la fine dei tempi che è passato alla storia, forse il pezzo più bello di musica da camera mai composto. Era formato da un violinista, un clarinettista, un pianista e un violoncellista perché quelli erano i musicisti che c’erano nel lager. Aveva scritto le parti su rotoli di carta igienica, non tutti i tasti del pianoforte suonavano o tornavano indietro, il violoncello non aveva tutte le corde, forse solo tre. Quindi ha composto ed eseguito questo pezzo in condizioni estreme, ma è passato alla storia perché la musica rende l’idea di quello che succedeva in quel momento. La sua poetica ha una profondità mistico – religiosa radicatissima. Questo è l’esempio più famoso di tutto quello che è successo a livello musicale nei lager, ma sono state vissute altre esperienze degne di nota. La musica all’interno del lager ha avuto la sua risonanza.
Avete una produzione acquistabile?
Non abbiamo trovato il tempo per farlo. Siamo tutti molto impegnati nella nostra attività principale. Stiamo coordinandoci, comunque, per la produzione di un Cd.
Gli altri componenti della formazione
Francesca Morandi, contrabbasso e basso. Nel gruppo suona solo il primo strumento per essere più fedele alla musica yiddish. Lavora nella trasmissione televisiva “La gabbia” sulla Sette ed è insegnante nella scuola svizzera “L’albero delle note”, fondata da Marcello Serafini.
Marco Belcastro, diplomato in pianoforte, è polistrumentista. Insegna, oltre il canto, alcune specifiche tecniche vocali. E’ esperto di musica leggera ed ha pubblicato diversi Cd relativi alla sua produzione su Fabrizio De André.
Elisa Carnelli, attrice, artista poliedrica, organizza progetti nelle scuole, legati alla teatralità.
Federica Lucchini