JANNIK SINNER, UN CAMPIONE DI SPORT, DI STILE E DI ELEGANZA
di Felice Magnani
C’è stato un momento della vita in cui ci siamo accorti che lo sport poteva diventare una parte importante della nostra storia, così lo abbiamo inseguito, cercato e scoperto, ci siamo resi conto che dietro quel quadro in bianco e nero della tv ci poteva essere qualcosa di sorprendente e di straordinario che avrebbe allargato il piano della nostra conoscenza, provocando una stuzzicante curiosità che avrebbe potuto dare i suoi frutti. Il tennis iniziava così, piano piano, ad avere un ruolo sempre un pochino più importante, grazie soprattutto alla bravura di atleti che sapevano attrarre con la loro fantasia l’appetito di giovani che avevano fame e sete di gloria, di successo e di visibilità. Cominciavamo a sentire con una certa frequenza nomi che sarebbero diventati una presenza costante della nostra storia quotidiana, nomi come quelli di Nicola Pietrangeli, Orlando Sirola, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e poi via via una fitta sequenza di tennisti australiani magici, come il terribile mancino Rod Laver, quindi John Newcombe, esempio di stile, fantasia ed eleganza, eravamo affascinati dalla determinazione e dalla sofisticata fantasia di Ken Rosewall, dalla naturale bravura di Ivan Landl, poi via via dal fortissimo Ilie Nastase, quindi dalla bravura dello svedese Borg. Il tennis si impossessava così della nostra curiosità e lo faceva con lo stile un po’ bohemien di atleti che univano l’arte della racchetta a una personalissima forma di classicismo interpretativo, ingigantito da una vita resa ancora più affascinante dalla presenza al loro fianco di donne bellissime che si facevano ammirare accanto al mondo ovattato del tennis, rendendolo ancora più stimolante di curiosità e di pettegolezzi di vario ordine e natura. Si trattava di un tennis d’élite, fatto apposta per industriali alle prese con la pancetta o per personaggi famosi a caccia di un ruolo anche nell’agone sportivo, tra serate danzanti e momenti di eleganti sfilate di moda. Si iniziava così a seguire la vita dei tennisti per curiosità allo stato puro, spinti da una seppur nascosta voglia di emulazione. Un mondo ovattato quello del tennis, non particolarmente adatto per la gente comune, uno sport per figli di papà, per gente abituata ai passatempi di lusso, riservati a chi aveva i soldi in banca e poteva permettersi di frequentare ambienti costosi e particolarmente “in”. Ricordo che nella mia giovinezza il tennis non ha mai avuto un ruolo di primo piano, si è sempre limitato a sollecitare varie forme di curiosità. Lo osservavo per rendermi conto chi potessero essere quei giocatori diventati milionari, che passavano il loro tempo mandando avanti e indietro una pallina e in alcuni casi lo trovavo noioso, ripetitivo, incapace di sollecitare quella voglia di competere che divampava su un campo da calcio o sulle montagne appenniniche, teatro di corse fino allo spasimo. In qualche oratorio benestante era presente anche un piccolo campetto da tennis, ma i frequentatori era pochissimi e tra quei pochissimi era molto difficile vedere il figlio dell’impiegato e quello dell’operaio. D’altro canto, però, lo sport si muove, diventa un dinamico vedere e provare quando chi lo rappresenta diventa un campione. E’ sempre stato sul campione che i ragazzi hanno posizionato la loro innata curiosità, è con la storia dei campioni che i giovani hanno imparato ad avvicinarsi e a praticare qualsiasi tipo di sport. Perché il campione? Perché riassume tutto ciò che di bello lo sport possiede ed è in grado di donare. Nel ciclismo di oggi ad esempio non c‘è una grande attenzione, mancano i fenomeni nostrani come Vincenzo Nibali, come Fabio Aru e come tutti quei bravissimi campioni che hanno dato lustro con le loro imprese personali alla vita sportiva italiana. La gente del ciclismo guarda con molto interesse a Pogacar, ne riconosce la bravura, ma è fondamentalmente triste, perché si parla di tanti campioni emergenti di altri paesi, ma manca il campione italiano, quello capace di fare la differenza. Se il ciclismo è in crisi d’identità, il tennis va a novanta. Perché? Perché il destino di questo sport ha voluto che arrivasse il marziano Sinner per stimolare al massimo la curiosità del mondo sportivo. Jannik Sinner è il tennista numero uno al mondo che batte i grandi d’oltreoceano e i grandi d’Europa, è il campione nostrano che riassume tutta la bellezza di uno sport, il tennis, che ha mille cose nuove da raccontare. Non è più soltanto il “tira e molla” come erroneamente qualcuno poco esperto poteva immaginare, ma è un gioco che richiede intelligenza, determinazione, furbizia, grande allenamento, colpo d’occhio, capacità di soffrire, di conoscere l’avversario e di studiarne ogni volta le mosse per poterlo bloccare. La pallina viaggia, ma fa il punto quando chi la tira è capace di sorprendere l’immobilismo dell’altro, quando lo sguardo attento del giocatore sa dove e come indirizzarla ancora prima di colpire. Dunque nel gioco ci sono diversi step ch richiedono una rapidissima e furbissima capacità di mettere in crisi l’avversario. Fantasia? Creatività? Scaltrezza? Intuito? Sono tutti elementi che insieme danno il senso del valore umano e agonistico di un tennista di tutto rispetto, capace di vincere sfide stratosferiche a Wimbledon o a Parigi o a Roma o a New York. Dunque si può diventare bravi tennisti, ma come sempre succede in ogni tipo di sport, diventa campione chi riassume tutte quelle caratteristiche che sono uniche e che solo i superbravissimi sanno gestire e manovrare. Che cos’ha Sinner che altri non hanno? Beh, innanzitutto una personalità unica, è un signore! Signori si nasce e Sinner lo è sempre, la sua cortesia e la sua umanità ci fanno capire al volo di che tipo sia il campione che abbiamo davanti. Attento sempre ai bisogni del prossimo, pronto sempre ad aiutare, capace sempre di capire quando sia il momento di regalare un sorriso e un gesto eloquente. Dunque l’essere campioni presuppone che alla base di tutto, gesto tecnico a parte, ci sia la capacità di non perdere mai di vista l’umanità dello sport, il suo bisogno di educazione e di generosità, il suo essere prima di tutto insegnamento. Un campione senza umanità resta un automa al servizio del denaro, lo sport diventa arte spettacolo quando sa coniare lo spirito dell’essere umano con la sua voglia di materializzarsi, di diventare strumento reale di unione e di amicizia. I grandi campioni lo sono stati prima di tutto con l’esempio della loro vita, per il modo con cui sono riusciti a unire l’umanità con la voglia di riuscire a essere vincitori. I giovani non sono stupidi sanno fiutare il buono che il campione trasmette, sanno immagazzinare positivamente la bellezza di un gesto atletico, sanno capire se il campione lo è prima di tutto nella vita di tutti i giorni, dove la personalità prende forma e si attrezza per essere garante di una vita attiva capace di generare idealità e benessere. Jannik Sinner è diventato un idolo mondiale nello sport del tennis, ma è molto amato anche dalla gente comune, quella che guarda al tennis per riscoprire il significato di essere italiani, di poter credere nei valori dello sport e in quelli della generosità, dell’amore e dell’amicizia. Nel mondo del tennis non c’è violenza, c’è solo la voglia di regalare un sorriso e una speranza a una gente che ha un estremo bisogno di pace e di serenità, di vivere con gioia la bellezza di una vita che è unica, davvero unica, nella sua straordinaria bellezza.