INTERVISTA A BRUNO FRANCESCHETTI, DUE VOLTE OLIMPIONICO, PER QUATTRO ANNI ALLENATORE DELLA NAZIONALE ITALIANA DI GINNASTICA
Bruno, credo di poter affermare di aver incontrato quel maestro di sport che avrei voluto seduto accanto a me tra i banchi della scuola, per aprire il cuore di ragazzi pieni di curiosità e di voglia di vivere la passione sportiva. Mi sono chiesto spesso come mai personaggi del tuo calibro non abbiano avuto quello spazio culturale che avrebbero meritato. Quella mattina, al Liceo di Luino, il tuo intervento è stato magistrale, per un attimo il mondo sportivo che tu hai vissuto e amato ha fatto capire ai giovani e ai docenti presenti l’importanza e la bellezza di uno sport raccontato dalla passione e dalla competenza di chi lo aveva vissuto in tutta la sua bellezza e la sua intensità. Sei d’accordo?
“Sì Felice, ricordo molto bene quell’intervento, così come ricordo quella bellissima serata sui valori dello sport, organizzata a Cittiglio da Monsignor Tarcisio Pigionatti negli anni 80, serata che tu hai fortemente voluto insieme a tua moglie. In entrambi i casi, a Cittiglio e a Luino, le scolaresche presenti hanno dimostrato una grandissima attenzione ai racconti degli atleti, segno evidente che la gioventù ha una grande capacità percettiva, capisce al volo ciò che dovrebbe essere fatto per sviluppare e potenziare la crescita psicofisica di un mondo giovanile che spesso viene trascurato dal mondo adulto.
Ti domandi perché persone come me, che hanno vissuto lo sport di alto livello, non abbiano avuto uno spazio culturale adeguato? Ti rispondo pensando a tre ipotesi:
- Chi ha il potere per decidere forse non comprende appieno quanto sia importante promuovere iniziative come quella organizzata da Monsignor Tarcisio Pigionatti a Cittiglio e poi ripetuta da noi a Luino, su tua iniziativa.
- Forse chi ha il potere è perfettamente consapevole che sarebbe utile sviluppare un’intensa opera formativa e informativa sia a livello scolastico sia a livello popolare, ma spesso ci sono condizioni politiche, burocratiche, sociologiche, strutturali che non sono sintoniche rispetto alle concrete aspirazioni del paese.
- Forse il potere non ha ancora superato vecchie remore, legate a vicende storiche del passato. Forse la nuova scuola deve riappropriarsi di quella straordinaria massima latina “mens sana in corpore sano”, rimettendo al centro l’importanza dell’educazione fisica come elemento determinante nella formazione del carattere”.
Bruno, nella scuola c’è molto bisogno di sport, purtroppo le strutture non sono sempre adeguate e le ore sono troppo poche. Manca una cultura dello sport che permetta ai giovani di conoscerlo più a fondo e di operare una sana scelta di vita. L’attività sportiva è fondamentale, perché prepara il corpo e la mente, crea le condizioni di un apprendimento meno emotivo e più razionale. La formazione umana ha bisogno di appoggiarsi sullo sport come movimento, come capacità di saper giocare e conoscere il proprio corpo, controllando le proprie emozioni. Per questo molti grandi atleti del passato e del presente potrebbero entrare a pieno titolo nella scuola per consolidare e potenziare la formazione degli alunni. Cosa ne pensi?
“I docenti che insegnano Educazione fisica nelle scuole, lo fanno secondo una cultura universitaria e un protocollo ministeriale che non prevedono agonismo, tranne che per iniziativa di pochi istituti scolastici; si pratica esercitazione fisica, ci si occupa di teoria sulla funzione dell’attività fisica, ma non di agonismo. Per queste ragioni, secondo il mio punto di vista, non si può parlare di sport, perché lo sport prevede l’agonismo. Se a una gioventù scolastica, piena di esuberanza, viene negata la possibilità di far uscire allo scoperto il proprio agone, le viene tolto anche l’aspetto ludico rappresentato dall’attività motoria, che avrebbe significato solo se fosse accompagnato dallo sfogo agonistico. Ecco la ragione dell’insofferenza dei giovani nei confronti dell’Educazione fisica a scuola, senza sfogo agonistico viene a mancare il piacere di esternare la parte fisica e così, magari inconsciamente, il tutto viene concepito come una fatica inutile. È da tanto che non entro in una palestra scolastica, immagino che non ci siano più le pertiche e le funi, attrezzi importantissimi per migliorare la capacità muscolare degli arti superiori, del settore pettorale e dorsale, ma non solo, per i ragazzi sarebbero anche motivo per misurarsi tra loro, dando così il via libera a quell’aspetto agonistico che ritengo strumento indispensabile per il benessere di una gioventù, che spesso sfoga le proprie frustrazioni con avvilenti atti di bullismo. Non mi illudo di poter contare su attrezzature scolastiche simili a quelle della Svizzera, dove le palestre sono tecnicamente attrezzate e la cultura sportiva è fortemente attiva, mi permetto solamente di sottolineare che qui da noi, in Italia, non viene, forse, adottato il sistema più adeguato per educare la gioventù all’amore per lo sport e questo è un peccato, perché i giovani rappresentano il nostro futuro e una buona educazione sportiva potrebbe restituire fiducia soprattutto a quegli adolescenti che a causa della pandemia hanno abbandonato la scuola, scegliendo in alcuni casi una solitudine profonda, senza sbocchi. In un mondo complicato come quello che stiamo vivendo, dove le emozioni sfuggono di mano e diventa sempre più difficile credere nelle proprie capacità e in quelle della società in cui viviamo, lo sport, se ben insegnato, potrebbe davvero compiere dei miracoli.
La Ginnastica è alla base di molte discipline, come mai è così poco insegnata nelle scuole statali?
“Le Federazioni sportive affiliate al CONI sono 45 e tutte vorrebbero avere uno spazio scolastico, ma è oggettivamente impossibile! Non voglio pensare che possa essere messo in dubbio che, per la gioventù scolastica, l’esercitazione ginnica mirata a interessare i settori muscolari di tutto l’apparato motorio, sarebbe la più indicata per la formazione psicofisica, sono certo che anche i responsabili ne siano consapevoli, penso tuttavia che sia sempre possibile trovare una giusta soluzione per meglio armonizzare la costruzione di una personalità, mettendo il corpo e la mente nella condizione ottimale per potere esprimere in perfetta sinergia la capacità fisica e quella intellettuale”.
Lo sport è un grande antidoto a ogni forma di disagio, aiuta la persona a prendersi cura del proprio corpo, l’aiuta a stimarsi, a conoscersi, a volersi bene, a vivere secondo criteri di grande buon senso. Praticare un’attività sportiva significa crescere come uomini e donne e come cittadini, per questo bisogna che la società civile e lo stato facciano la loro parte, creando le condizioni perché lo star bene abbia una valenza primaria nella vita delle persone.
“Provo a rispondere a questa domanda, ma non sono sicuro di riuscirci, essa racchiude infatti tutto ciò che lo sport può offrire, ma non sempre chi lo pratica, raccoglie e incarna ciò che contiene la tua domanda. Quando un ragazzo/a si propone nello sport agonistico, intende, magari inconsciamente, trovare delle risposte che soddisfino se stesso/a, tuttavia, per come è proposto lo sport in Italia, incappa in risultati che provocano delusioni. Si potrebbe affermare che tutto ciò sia normale, perché in un confronto c’è sempre chi raccoglie di più e chi meno, questa è la filosofia dello sport, ma ciò che accade realmente è ben diverso. Se si dovesse chiedere agli ex atleti cosa pensino del loro passato sportivo, sono convinto che la maggior parte risponderebbe evidenziando una inequivocabile delusione. Perché? Posso rispondere a questa domanda facendo riferimento alla mia disciplina sportiva, la Ginnastica artistica, la sola che conosco e che mi permette di esprimere con una certa tranquillità la mia ragione. Chi la insegna lo fa, in larga percentuale, in maniera empirica negli aspetti tecnici, didattici, nella preparazione fisica generale, ci si dimentica forse di insegnare quali siano le potenzialità di ciascuno/a. I ragazzi partecipano alle competizioni e non sanno, entro certi limiti, quale possa essere il risultato, tutto ciò conduce alla delusione senza sapere perché, aggravando naturalmente il livello stesso della delusione. Di chi è la colpa? Sarebbe facile scaricare le colpe sull’allenatore, invece io penso che la colpa non sia sua, perché le conoscenze necessarie una persona non può inventarsele, si apprendono a scuola e in Italia questa scuola c’era quando l’ho frequentata io, “la Scuola dello Sport”. In questo momento non esiste quella parte fondamentale della cultura sportiva, che possa fornire ai tecnici le giuste conoscenze. Secondo il mio punto di vista lo stato, attraverso le istituzioni che ritenesse più adatte, dovrebbe finanziare e potenziare la categoria dei tecnici dello sport, mi riferisco a quei professionisti che sanno riconoscere la persona che hanno davanti, che ne comprendono il carattere, il livello emotivo, che sanno interagire entrando prima di tutto in quella interiorità individuale che resta il più straordinario laboratorio personale di un atleta.
Bruno, come sono oggi i tuoi rapporti con quei giovani che hai educato al raggiungimento di grandi traguardi? Vi sentite, vi vedete, vi incontrate, come vivete oggi la forza e la bellezza di quello sport che avete condiviso e coltivato per anni?
“Caro Felice, ti ringrazio per avermi fatto questa domanda! Il rapporto con le persone con cui ho lavorato, ma anche con quelle non praticanti con cui ho avuto modo di parlare di sport, è stato il motivo scatenante che mi ha fatto decidere di scrivere un libro sulla storia della mia vita, penso infatti che sia un modo utile per far capire qualcosa di più sullo sport, nel mondo di Pierre de Coubertin”.
Mi è capitato e mi capita spesso di parlare con ex ginnasti con cui ho avuto il piacere di lavorare e tutti mi ricordano momenti piacevoli che non possono dimenticare, perché i messaggi acquisiti durante l’attività agonistica li hanno aiutati e continuano ad aiutarli nell’affrontare le difficoltà del vivere quotidiano. Grazie a loro ho potuto rafforzare in me quel principio, secondo il quale, lo sport impone una fatica che non si avverte se è praticata correttamente, nel rispetto di tutte le sue peculiarità.
Anche quando mi è capitato di parlare di sport con persone che non l’hanno vissuto a livello professionistico, ho avuto la soddisfazione di far comprendere la mia storia, la mia passione e le mie competenze, raccontando come ho vissuto l’avventura dello sport nel rapporto con i giovani, mettendo in evidenza i differenti aspetti psicologici che sono costretti a vivere, soprattutto quanto sia importante capire un giovane prima di sottoporlo a un impegno sportivo a volte molto stressante. Ho sempre cercato di far capire quanto fosse importante ascoltare ed elaborare tutto quello che ricevevano nella pratica sportiva e in quella umana, per migliorare il livello della loro professione, rafforzando il carattere. Una delle soddisfazioni più gratificanti l’ho avuta da Marcello Barbieri, quando mi ha chiesto consigli per programmare l’allenamento di Salvatore Maresca, il ginnasta che poi ha vinto la medaglia di bronzo al Campionato d’Europa e del Mondo”.
Come vedi il futuro della ginnastica artistica maschile e femminile?
“Ho conosciuto la ginnastica italiana dagli anni sessanta, quando la frequentavo come ginnasta. Sono stati anni importanti, perché è arrivata al successo con i grandi risultati raggiunti alle Olimpiadi di Tokio del 1964. Dopo quel periodo la ginnastica in generale si è evoluta in maniera enorme sul piano tecnico, mentre quella italiana è rimasta a guardare, non ha messo in campo quella giusta dose di cultura sportiva che aveva saputo dimostrare, potenziandola con modalità e strutture adeguate. Forse la presidenza di allora non si è accorta della necessità di un adeguamento. Quando è arrivato alla presidenza il Prof. Bruno Grandi, che aveva intuito tali necessità, sposando appieno l’iniziativa del CONI con la Scuola dello Sport, favorendo economicamente l’impiantistica adeguata e cercando di valorizzare i tecnici, si è arrivati a successi importanti. In seguito sono cambiate le dirigenze della Federginnastica, le strutture sono rimaste quelle degli anni 80, la cultura specifica dei tecnici si è fermata, mentre nel frattempo la ginnastica mondiale ha continuato a crescere di livello. Oggi la maschile da due cicli olimpici non va alle Olimpiadi con la squadra, mentre la femminile va avanti con grandi risultati, in quanto non ha le stesse esigenze di strutture didattiche come la maschile. Sembra che la dirigenza non si accorga di nulla. Sono convinto che o si cercherà di adeguare culturalmente i settori tecnici, anche dal punto di vista economico, così come le strutture didattiche, oppure il futuro sarà molto oscuro”.
Cosa ha rappresentato Varese, nella tua vita?
“Due episodi di estrema importanza hanno delineato il percorso della mia vita, che considero essere stata estremamente positiva.
- Il primo, quando mi sono trasferito da Minerbe (VR) a quattordici anni, con la mia famiglia, trovando una città, Varese, piena di risorse per chi sapeva cogliere l’occasione e io, quell’occasione, ritengo di averla colta! Ho conosciuto un mondo a me sconosciuto, lo sport attraverso l’A.S “Robur et Fides”, che mi ha permesso di sviluppare le qualità necessarie per emergere. Ho così potuto conoscere molte persone, mi sono fatto molti amici, ho potuto constatare di persona le differenze tra la società contadina e quella industriale, ho compreso che oltre al bello di casa tua c’è anche il bello che incontri in casa d’altri. A Varese ho incontrato la voglia di crescere, ho scoperto la generosità della gente, ho capito che avrei avuto a disposizione tutto quello che sarebbe stato necessario per diventare qualcuno nel mondo della ginnastica.
- Il secondo step, quello che ha ulteriormente determinato il corso della mia vita, è stato quando sono ritornato a Varese, dopo dodici anni di parentesi romana, all’età di trentacinque anni. Ho avuto la fortuna di incontrare l’ospitalità del Convitto De Filippi, che è stato per molti anni un punto di riferimento sociale e morale per tutti coloro che avevano bisogno di un approdo sicuro da cui partire per la realizzazione del proprio futuro. Ho trovato le porte aperte all’A.S “Varesina”, che ringrazierò sempre, perché mi ha permesso di arrivare a risultati professionali che ancora oggi mi sembrano impossibili. A Varese ho incontrato Anna, la donna che sarebbe diventata mia moglie, che ha reso la mia vita ancora più viva e più piena con la nascita di Roberto e Stefano. A Varese ho avuto l’opportunità di poter lavorare con ginnasti straordinari, atleti che hanno conquistato allori in ogni parte del mondo. Varese è stata la culla dove è nato e cresciuto come atleta, il signore degli anelli, quel Jury Chechi, con il quale ho collaborato per ventuno anni. La storia con Jury è stata bellissima, qualcosa di assolutamente inimitabile. Non posso non ricordare la figura straordinaria di monsignor Tarcisio Pigionatti, il Rettore del Convitto che ci ha accolto e coccolato, non lasciandoci mai mancare quella religiosità degli affetti familiari che ci ha reso più leggeri e piacevoli i difficili impegni della vita, non solo sportiva”.
Bruno, scrivere un libro alla tua età è un segno di grande amore e di indomita volontà. Che cosa ti ha spinto a “prendere in mano la penna?”.
“La vita è straordinaria quando stimola continuamente la tua voglia di ricordare, apprezzare, condividere, elaborare, anche criticare, quando non si accontenta, perché vuole che non dimentichi nulla di tutto ciò che ti ha consegnato e che è diventato parte integrante della tua storia e di quella del tuo paese. Ho voluto che la mia storia mi venisse di nuovo incontro e mi parlasse, lasciandole il bellissimo compito di insegnarmi anche quello che non avevo capito e di cui oggi mi sento fieramente garante. Scrivere è un dono e i doni ci sono stati consegnati per essere usati con dovizia e intelligenza, per rendere più piena e gratificante la nostra vita, con le sue gioie e le sue sofferenze. Sono fiero e felice per quello che sono riuscito a realizzare grazie anche alla collaborazione di tanti amici che hanno voluto accompagnarmi in questo cammino. Lo sport resta un tesoro straordinario che ci aiuta a star bene, ma ha bisogno di persone che lo amino, che lo sappiano distribuire con professionalità e intelligenza, ha bisogno anche di chi, avendolo professato con risultati eccellenti e quindi conoscendolo molto bene, sia in grado di capire quali siano i suoi reali bisogni, per concorrere a renderlo sempre più amato e adeguato alle necessità dei tempi”.
Da Internet
Bruno Franceschetti: L’esperienza di otto olimpiadi di Felice Magnani