Il dottor Marco Kogoj
(foto Marco Kogoj)
Dottore, oggi esiste una tendenza che passa da varie forme di sdrammatizzazione ad altre in cui un problema, per quanto esiste, tende a essere sovradimensionato. Nel primo caso esiste il pericolo di una sottovalutazione, nel secondo il pericolo è quello di fornire un quadro in eccesso. Qual è il suo pensiero in proposito?
In alcuni casi ci si dimentica che la base fondamentale dell’essere umano e quindi della vita sia la moderazione, il poco che i nostri anziani facevano, portava a condurre una vita normale. Se io dovessi dire sì, il cioccolato fa male, dovrei anche dire a che dose. Il diabetico non può mangiare zuccheri, non in senso assoluto, non ne può mangiare in “dose industriali”, quando si mangia una torta è chiaro che occorra essere attenti a non esagerare, quindi è necessario mantenere un ambito corretto, lo stesso vale per la carne, si può mangiare una volta la settimana, come si faceva ai tempi, una costata tutti i giorni farebbe sicuramente male. Armonia, equilibrio, buon senso, rispetto delle regole, sono fattori che devono supportare sempre il nostro livello di cultura, in particolare quella medica, da cui dipende la salute dei cittadini.
Quanto conta l’aspetto psicologico nell’interazione tra medico, malattia e paziente?
La condizione di fondo è quella di rimanere sempre in linea con una positiva condizione psicologica. Se comincio a vietare certe cose che non hanno motivo di esserlo, procuro uno stato di ansia, di instabilità, situazioni che generano malesseri generali che possono aggravarsi, mettendo il paziente in una sistemica situazione di instabilità. L’aspetto psicologico conta moltissimo, è la base su cui costruire un percorso vincente. Oggi si parla moltissimo di empatia, della capacità di saper capire il prossimo mettendosi nei suoi panni. Non dobbiamo dimenticare che il medico è pur sempre un educatore e come tale deve essere in grado di sviluppare tutta una lunga serie di interventi mirati, capaci di far ritrovare il gusto della vita, soprattutto quando questa fa i capricci, Capire gli altri ed essere capito dagli altri crea una costruttiva interazione educativa che fa bene alla salute fisica e mentale del paziente. Il malato non ha bisogno di essere compatito, ma di essere consigliato, capito e rassicurato, ha bisogno di rendersi conto che la vita ha tutte le carte in regola per trovare sempre la giusta via d’uscita, anche quando la complessità di certe situazioni potrebbe far apparire il contrario.
Dottore, com’è la situazione del medico di base oggi?
Questa è una bella domanda che può comportare una brutta risposta. Ho l’impressione che in questo momento si stia cercando la carezza dei medici, senza però valorizzarli per quello che meritano. Il numero chiuso delle università ha creato dei problemi, le giovani menti se possono scappano e vanno dove vengono valorizzate e pagate meglio, non nella struttura pubblica. La medicina di base soffre della mancanza di non medicine. Ricordo che ai tempi di mio papà era prevalente la parte medica rispetto a quella burocratica. Oggi più che l’infermiera sarebbe necessaria la segretaria. Tra le ipotesi ventilate dai nostri gestori della sanità, c’è quella di mettere la farmacista di famiglia, l’infermiera di famiglia, il medico di famiglia, di familiarizzare un po’ tutto. Diciamo che questa filosofia innovativa rischia di depotenziare quel preziosissimo rapporto umano che un tempo si creava tra medico e paziente, favorendo un ottimo rapporto, che aveva riflessi molto positivi sulla ripresa fisica e mentale.
Che suggerimento darebbe per evitare che si creino intasamenti nelle strutture della medicina territoriale?
Spesse volte l’informazione medico scientifica è stata alla base di molti problemi. Internet, ad esempio, per certe cose può andar bene, ma bisogna avere sempre ben chiaro cosa andare a vedere, per questo occorre creare una cultura tecnologica adeguata, che permetta di saper leggere e decodificare correttamente l’offerta. Stiamo cercando di arrivare a una forma di privatizzazione della medicina, senza avere le strutture adatte dove ubicarla e su come gestirla. Oggi si trovano due tipologie di medici, quella più anziana, che non vede l’ora di scappare e quella giovane che arriva, si ferma due mesi e poi scappa. Purtroppo si fa poco lavoro medico, mentre si dà ampio spazio alla burocrazia. L’eccesso di burocratizzazione che si è verificato in questi anni ha creato uno squilibrio nel rapporto medico paziente. I vecchi ricordano spesso i tempi in cui un calibrato rapporto umano creava le condizioni ottimali per una valorizzazione ottimale del rapporto con il proprio medico.
Dottore, lei è anche medico sportivo, conta molto una ponderata attività sportiva nella fase di recupero di molte problematiche, come le malattie cardiache ad esempio. In molti casi manca una unità di pensiero, si va dalla necessità del movimento a fasi di assoluta assenza di impegno fisico. Dove sta la verità?
L’attività sportiva è fondamentale a tutti i livelli, a qualsiasi età, certo va contestualizzata, rispetto al tipo di problema che uno ha. Il paziente giovane ha certe esigenze, mentre l’adulto avanzato ne ha altre ancora. Aver avuto un evento ischemico, cardiaco o cerebrale, non vuol dire che uno debba rimanere fermo immobile, è chiaro che se io ho avuto un infarto o una ischemia, o qualsiasi patologia coronarica anche senza sofferenza del muscolo cardiaco, non vado a fare la maratona il giorno dopo, mi devo preparare, seguendo un percorso studiato per recuperare e stare bene. A volte commettiamo degli errori. Quali? Vorremmo scalare la montagna, magari quattro volte di seguito, non è così che si fa, a una certa età occorre avere il senso del limite per preservare adeguatamente lo stato di salute. Se uno è in sovrappeso fa bene fare un po’ di bicicletta, anche quella assistita. Il malato deve avere la netta coscienza che deve ritornare nella società normale senza troppi problemi e per questo si deve preparare, senza precorrere i tempi o esagerare. Per la nostra cultura latina, è fondamentale mantenere viva e reattiva la psiche, questo vale sia per il malato che ha una malattia guaribile, sia per quello che ha prospettive più complesse. Mai lasciarsi andare, mai rinunciare a mantenere in vita il nostro corpo, cercare invece di aiutarlo sempre in ogni circostanza. Ci sono ancora troppi malati che si lasciano andare, che non vengono sostenuti adeguatamente e adeguatamente informati su cosa sia necessario fare per vivere dignitosamente anche le parti più complicate dell’esistenza. Oggi più che mai il medico diventa una figura educante e l’approccio empatico con il paziente è la chiave che può aprire anche le serrature più complicate.