Ci sono certi incontri che aprono l’anima, a partire dal luogo in cui si vivono. L’ambulatorio di Livio Felloni, medico di base a Comerio, Barasso, Luvinate, da ieri (30 settembre) a riposo, è il contesto ideale per poter ascoltare un professionista che ha vissuto una esperienza umana talmente ricca da esserne coinvolto nei suoi più profondi palpiti. “Qui sente l’humus dei miei pazienti, quell’entità indefinita fatta dalla loro presentazione, dai loro atteggiamenti, dai loro sguardi, dal loro bisogno di essere ascoltati, dal loro modo di reagire di fronte al dolore”, afferma. Una sensazione che lui ha vissuto quotidianamente, frutto di un Dna trasmessogli da una famiglia i cui valori erano ben definiti, soprattutto quello dell’attenzione agli altri. “Il massimo del poter essere d’aiuto era quello chi diventare medico”, sottolinea. E’ stato chirurgo ospedaliero quando il paziente era al centro dei progetti, lo si conosceva per nome e ci si poteva permettere il tempo per arrivare a una diagnosi. “Ora la qualità viene prevaricata dal bilancio”, commenta. Quando una legge del 1992 impedì la doppia professione –ospedaliera e da medico di famiglia- scelse quest’ultima: non si riconosceva più in un mondo dove si dava più importanza al tecnicismo specialistico rispetto alla Medicina Generale. “Il paziente è un’entità viva, a cui associare un nome, una faccia, ricca di un vissuto di cui tenerne conto -afferma- “Siate orgogliosi di essere medici, difendete la vostra professione”, ripeto agli studenti della Scuola di Formazione di Medicina Generale, dove ho tenuto l’ultima lezione giovedì della settimana scorsa”. Per i tirocinanti che rimangono sei mesi presso il suo ambulatorio, si apre un mondo, acquisendo una visione generale d’insieme, non legata solo alla specializzazione. “Noi medici di famiglia siamo diventate figure di riferimento. C’è bisogno di ascolto. Nostro malgrado siamo divenuti psicologi. Io mi sento arricchito di questa conoscenza a 360°. Ha un significato venire in ambulatorio. La persona che ho di fronte ha un problema che magari mi esterna con parole diverse”. C’è bisogno di una profonda conoscenza del paziente, della sua storia, soprattutto quando il percorso diagnostico e terapeutico è difficile da illustrare. La sua comunicazione non è codificabile, unisce la professionalità a quei risvolti dell’anima del paziente che Felloni, in tanti anni, ha imparato a conoscere. E non manca il coinvolgimento, quello che tocca nelle più intime corde. Capita anche a un medico di trattenere l’emotività quando ricorda un piccolo paziente morto di leucemia, il suo sentirsi impotente e cercare di trovare un senso a questo evento che va al di là di ogni umano agire. Oppure capita di gioire per aver salvato una anziana in condizioni estremamente difficili con la respirazione bocca a bocca. “Quando mi incontrava continuava a ringraziarmi”, ricorda. Il tema del ringraziamento e della riconoscenza in questi giorni nei suoi confronti è corale. Le sue radici sane, il percorso così arricchente lo ha reso un uomo appagato.
Federica Lucchini