IL SILENZIO UNA PRIGIONIA? E’ ASSURDO!
di felice magnani
Il silenzio non è una prigionia e non è neppure assenza di comunicazione e di movimento. Per chi non lo sapesse si può sempre comunicare e muoversi anche senza adoperare la voce, le gambe o le braccia, tutto l’organismo umano è infatti votato alla comunicazione e al movimento, soprattutto la mente, mirabile fusione di sguardi, pensieri e riflessioni, sentimenti ed emozioni che scuotono la superficialità e la ripetitività, distribuendo un tono e una energia particolari all’esistenza. Il silenzio è la condizione ottimale di chi vuole entrare a fondo nella propria interiorità per viverla più intensamente o di chi vuole entrare in perfetta sintonia con l’ambiente senza subirne l’arroganza, osservandone meglio la forma e il contenuto. Dunque il silenzio è anima, è sostanza pensante, è la più bella condizione di ascolto che l’essere umano possa vivere e adottare. Nel silenzio si scopre la poesia della vita, il valore di un affetto, il ricordo di una persona che abbiamo dimenticato e che ci domanda sommessamente di essere ricordata, nel silenzio rivediamo noi stessi, chi eravamo, chi siamo e cosa siamo diventati. Nel silenzio scopriamo di avere uno straordinario rapporto con la natura che ci circonda. Col silenzio e nel silenzio la osserviamo esterrefatti, ogni volta come fosse la prima, perché ha sempre qualcosa da suggerirci, un pensiero nuovo su cui riflettere, una speranza da adottare, un velo da togliere o da mettere, una voglia da appagare. Nel silenzio anche il sogno diventa vita e quindi è più facile decifrarlo, posizionarlo davanti allo specchio per godercene la visione. Amare e rispettare il silenzio è sintomo di maturità, solo chi diventa grande nello spirito e nell’anima si appoggia al silenzio per stabilire una fitta rete di relazioni con quel mondo che, proprio per questo, non finisce mai di stupire. Certo non è facile riproporre quello che abbiamo perso e non è facile abbandonare i luoghi conosciuti per andare a sdoganare il lontano, ciò che a prima vista potrebbe sembrare irrecuperabile, perché la pandemia ha le sue regole, le sue leggi, che frappongono naturali impedimenti tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Ma la forza del silenzio è che puoi adottarlo e viverlo ovunque, non ha infatti bisogno di soggiorni regali o di luoghi esotici, basta saperlo creare con un pizzico di orgoglio personale e di buona volontà. Quanti libri abbiamo letto nel silenzio della nostra cameretta, quanti voli e quanti sogni ci siamo permessi, quanti pensieri positivi si sono inseguiti tra una pagina e l’altra di un racconto che pensavamo finito per sempre, quanti suggerimenti abbiamo ascoltato e quanti ricordi abbiamo riedificato e rivissuto, rubando la bellezza di un affetto dimenticato nell’oblio del vecchio solaio della memoria. Chi legge adottando il silenzio s’immedesima, apre la propria anima a un confronto umano e caratteriale col pensiero dell’altro, lasciando al cuore e alla mente la possibilità di ricomporre ciò che si era stranamente dissolto. Dunque il silenzio si può anche imporre e in certi casi diventa regola, legge, suggerimento scritto, assume una sua particolare valenza legislativa e costituzionale, in altri lascia democraticamente che sia l’uomo a capire quale strada sia più giusta e adeguata per adottare il silenzio come forma di civilissima convivenza. Certo è che per capire bene fino in fondo la forza e la bellezza di un valore comunitario come il silenzio bisogna che ci sia qualcuno che ce lo insegni, che riesca a convincerci che la via della rivitalizzazione singola e comunitaria passi proprio attraverso uno screening personale, che trova nel silenzio la sua fondamentale base d’appoggio. Durante la pandemia il silenzio si è impossessato delle nostre strade e delle nostre piazze, ha steso un velo pietoso e temporaneo sull’inquinamento dell’aria, dell’acqua, ha cercato in qualche modo di dimostrare che la vita sul pianeta potrebbe essere educativamente diversa se l’uomo non fosse schiavo dei rumori e di tutto quello che ne consegue. Ha riattivato la capacità di sentire e di ascoltare, di consentire all’asse umano delle vita di riprendersi le sue rivincite, la sua voglia di pensare, ideare e vivere senza l’assillo di una quotidiana e arrogante aggressione. Nella quiete imposta delle case ha rimesso in circolo la voglia di stare insieme, di ascoltarsi, di comunicare vecchie e nuove riflessioni, ha consentito alla nostra interiorità di scoprire qualcosa di più della vita e delle sue infinite possibilità ma, forse, ha ricreato una condizione di partenza che sembrava dissolta per sempre e cioè quella di riconsegnare alla coscienza i suoi diritti e i suoi doveri, di essere rievocativa e orientativa e di poterlo fare in una straordinaria condizione di ascolto.