In un passato ormai remoto capitava spesso che un popolo deluso rivendicasse una libertà meno opprimente, più libera, più attenta ai suoi bisogni e alle sue necessità. I regni sono stati luoghi della speranza, fronti di guerre e di conquiste, di sfarzo e di pettegolezzo, di servilismo e di nichilismo, di eroi e di principesse, di cavalieri e di eroine, terreno prediletto di cantastorie e musicanti, di fantasie artigianali, di commercio e di mercato, di protezione, di accoglienza di gente senza tetto, di dignitari di corte, di chi la dignità l’aveva nel cuore come segno distintivo di una natura nobile e solenne. I regni, luoghi di sfide, d’armi e d’amore, di maghi e di racconti, di intrighi e intrallazzi, di fatti mai accertati, di sogni e di glorie, di misfatti e di romanzi, dove diventava difficile stabilire spesso dove il sole sorge e dove tramonta. Dei regni abbiamo appreso la regalità, la capacità di sopravanzare i limiti di una natura alla ricerca di nuovi confini da esplorare. I regni ci hanno fatto sognare. Ne abbiamo colto la bellezza, l’eroismo, l’organizzazione. Ne abbiamo conosciuto la forza e il coraggio, ma spesso abbiamo dovuto prendere atto della prepotenza che li generava e li dominava, in parte prodotta da lotte testamentarie, legittimità e illegittimità, invidie e rancori, da forme di prevaricazione legate a un ineludibile desiderio di vendetta. Ogni regalità ha sempre avuto un suo antagonismo, un motivo visibile e uno occulto che ne determinava la sopravvivenza o la scomparsa. Dei regni abbiamo colto l’eroismo dei principi e dei re, la dolcezza delle aspiranti al trono; grazie a loro abbiamo imparato a stimare la generosità popolare, pronta a riconquistare libertà, lealtà, giustizia, legalità. Il re e la regina hanno spesso restituito al popolo la capacità di sognare. Hanno accompagnato la nostra storia, mettendo a nudo i limiti di un eroismo legato più alla visibilità personale che all’ideale umano. Abbiamo visto sfilare teste coronate portatrici di lunghi periodi di pace e benessere, altre di lotte e accanimenti. In molti casi la storia ne ha richiesto la presenza, in altri l’ha ricusata, spesso ne ha saputo cogliere l’opportunità, cercando di raccogliersi attorno all’immagine caratteriale di un re o di una regina umani e perseveranti, capaci di riconsegnare fiducia in luogo di passività e sottomissione. Ogni regno ha una sua storia e la storia è nella maggior parte dei casi legata al carattere della sua gente, a come ha cercato di vivere e interpretare il tempo della regalità, quello della pace e della perseveranza. Oggi guardiamo con occhi e spirito distaccati ai sistemi su cui si regge l’organizzazione umana, amando soprattutto chi ha il coraggio di essere al servizio del popolo, indipendentemente dalla complessa organizzazione del potere politico. Ogni sistema, repubblicano o monarchico o costituzionale che sia, ha la sua stella cometa, il suo percorso, definito nelle linee orientative di una Costituzione che ne caratterizza la storia passata o recente, fermo restando che la sovranità è quella che si fonda sulla volontà di un popolo, pronta sempre a riconsegnare al diritto la sua corrispettiva quota di doveri. E’ nell’incertezza della storia che si evince il coraggio popolare di essere motore fermo e illuminato di un sistema che non guarda in faccia l’aspetto formale, bensì piuttosto a come il popolo e chi lo governa sappiano vivere e orientare quell’eredità di valori che hanno appreso con impegno e con fatica nel corso di una storia non priva di incertezze e di precarietà. Oggi si pensa in grande, con il termine globale, universalizzando i bisogni e le necessità, quasi cancellando i perimetri umani e territoriali in cui i regni sono sorti e hanno proliferato dettando spesso le regole della storia. La dicotomia odierna, arrivata in Europa con le migrazioni di massa, sollecita risposte alle quali la storia non sa offrire risposte convincenti e tutto naviga attorno a una complessità di forme e organizzazioni in cui perde di stabilità ciò che veniva dato per scontato. Nell’idea odierna di regno si cementa l’ipotesi che la salvezza sia un problema umano e quindi di tutti, nessuno escluso. Da più parti si bussa per una revisione universale dei diritti e dei doveri, di come sia possibile sviluppare una convivenza umana che vada oltre gli interessi e le logiche dello sfruttamento e della prevaricazione, si cercano soluzioni attraverso le quali rimettere in equilibrio un sistema che non sia soltanto appendice di nuove colonizzazioni selvagge. L’idea di regno è più legata alla costituzione di un fronte comune per mettere al centro l’uomo con le sue necessità e i suoi bisogni, attivando politiche innovative rispetto a quelle che in molti casi hanno ingessato un passato privo di futuro. Superare il regno dell’incertezza è prassi acquisita. Si è aperta la via di un riconoscimento identitario più vasto e profondo, meno legato all’utilitarismo e all’egoismo e più orientato alla realizzazione di nuove frontiere della vita comunitaria. Ci troviamo di fronte a uno dei momenti più difficili, ma anche più interessanti, dove gli esseri umani misurano le loro forze, ricercano anche con affanno l’ipotesi di una convivenza meno vincolata e più aperta, più capace di dare un volto credibile a quella necessità di aspirazioni di cui sono quotidiani conduttori. Dunque ciascuno coltiva l’idea di un regno che, forse, di fatto già esiste, ma che ha bisogno di essere organizzato meglio, di essere fatto conoscere per quello che realmente è, un immenso popolo di uomini, donne e bambini che cerca di vivere e consolidare la propria fede nella condizione umana e nella straordinaria bellezza della vita.