Il progetto di ricerca e riqualificazione attualmente in atto all’Isolino Virginia prevede una serie di attività di indagine e di studio che serviranno a fornire un quadro organico e unitario dello stato della ricerca del sito palafitticolo e potrà costituire la base per la progettazione di studi e di interventi di indagini future. Il progetto è commissionato dal comune di Varese, nel cui territorio si trova il piccolo lembo di terra, con la supervisione di Barbara Cermesoni, conservatore archeologo presso i Musei Civici di Varese, con la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio nella persona di Daniela Locatelli ed è realizzato dallo Studio Ar.Te. Archeologia e Territorio, il cui responsabile Paolo Sbrana si occupa della pianificazione e dell’organizzazione di tutte le attività e della esecuzione delle ricerche bibliografiche e di riqualificazione archeologica. Il progetto prevede la raccolta di tutta la documentazione di scavo, la ricerca sulla storia del patrimonio arboreo ad opera di Mauro Rottoli, ARCO Cooperativa di Ricerche Archeologiche, partner dello Studio Ar.Te. per le attività di progetto. Verrà inoltre riqualificato e valorizzato lo scavo al centro dell’isola, oggetto di indagine da parte di Mario Bertolone a partire dal 1959 e successivamente ripreso da Daria Banchieri, conservatore archeologico, nelle campagne dal 2008 al 2012. Infine l’indagine archeologica subacquea nella zona compresa tra il pontile moderno e quello ottocentesco a tutela del paleosuolo, mediante la costituzione di un’area di interdizione alla navigazione. Tale attività è effettuata dalla società ASPS Servizi Archeologici di Sanna e Tiboni.
Federica Lucchini
La piana del lago di Varese in questi giorni invernali evoca bellezza e rigore. Mai, guardandola, si penserebbe che qualcuno sta lavorando sul suo fondo a 4 gradi sottozero per riportare alla luce la vita dei nostri antenati di 7mila anni fa. Eppure è così. Francesco Tiboni, Laura Sanna e Alberto Saras Romero: questo il nome dei tre archeosub che si immergono per tre/quattro ore al giorno nella zona posta tra i due pontili dell’isolino Virginia allo scopo di capire l’estensione di una grande palafitta del Neolitico Antico (4800 a.C.) i cui resti di pali sono sommersi e necessitano di essere messi in sicurezza tramite la posa di un campo di boe per impedire la navigazione soprastante. “Entriamo in acqua indossando una muta stagna che lascia libere soltanto le mani, che copriamo con guanti di neoprene, e la testa con un cappuccio del medesimo materiale -spiega Tiboni- ma capita spesso che lavoriamo a mani libere quando, ad esempio, dobbiamo stringere un nodo per fissare gli strumenti nel fondo del lago oppure quando disegniamo. Sì, certo, disegniamo utilizzando fogli particolari che non si rovinano in acqua, e matite normali. Serve la riproduzione grafica di pezzi di ceramica o di legni che rinveniamo, necessita segnare il diametro dei pali. Dobbiamo documentare i reperti e il loro stato di conservazione”. Tiboni evidenzia il fascino della sua attività: “Ogni sito genera un’emozione. Nell’isolino Virginia questa scaturisce dal fatto che io sono il primo a toccare questi pali dopo 7mila anni, coperti quindi da millenni di sedimenti, di rami, di terra. E noi andiamo a cercarli con trepidazione. Quelle tracce di vita le accarezziamo per sentire i segni della lavorazione, ma anche perché sappiamo trattate da mani che progettavano una vita. Erano ottimi carpentieri gli abitanti dell’isolino: avevano a disposizione una tecnologia neanche lontanamente paragonabile alla nostra, eppure hanno costruito cose grandiose”. Come è la palafitta attorno a cui lavorano, sede di una comunità prolifica, operosa e intelligente: palafitta che comprendeva l’isola e andava oltre. Centinaia di pali sott’acqua che noi non vediamo, ma ci dicono che lì c’è stata vita, si è amato, si è lavorato, si è provato dolore, si è lottato. “L’emozione grande per noi -termina- è confrontarsi con il quotidiano di allora, toccare i resti della quotidianità. Rivivere per un attimo i loro piccoli gesti”.
Federica Lucchini