E’ risaputo che il parco degli ulivi di via Monte Bernasco, con le sue 128 piante (quest’anno cariche di frutti), e con la posizione invidiabile che domina Varese e il suo lago, è un luogo che tutti i visitatori apprezzano, grazie al lavoro intelligente e continuo dei volontari dell’Associazione olivicoltori varesini dell’olio di sant’Imerio. Olio – è bene sottolinearlo – della solidarietà, considerato che il ricavato della sua vendita è destinato ad opere benefiche. Da poche settimane c’è un motivo in più per visitare il parco: l’attenzione di chi termina la piccola salita d’ingresso è attirata da una maestosa macina che mostra i segni di un intenso lavoro. Assieme agli ulivi, crea un angolo suggestivo in tema con l’ambiente. Grazie all’intervento di Santo Cassani, presidente dell’Associazione culturale il “Sarisc” di Oltrona e Groppello, che l’ha cercata e trovata, gli olivicoltori, con il loro presidente, Enrico Marocchi, hanno creato un basamento ed un sostegno che la tiene eretta. Colpisce la scritta: “Adelio Ossola dona questa macina perché non vada dimenticata la laboriosità dei suoi avi che, per più di trecento anni, azionarono un frantoio e un mulino con le acque del torrente Tinella, in località “Vultrona Benedicto”, continuando una tradizione di “terra olei”, risalente al X secolo”. Dunque, dietro quella macina possente che potrebbe essere ricavata da un masso erratico, tanto è la bellezza della pietra, c’è una storia che merita di essere svelata. Ci fa da guida Rosangela, moglie di Adelio, storica maestra, apprezzata da un nugolo di allievi: “La località dove mio suocero Giovanni, fino al 1964, ha tenuto il mulino a Oltrona di Gavirate si chiama Benedetto perché si dice che qui avesse avuto sede un convento di Benedettini. Lui e suo fratello Giuseppe erano soprannominati “gli uliatt dul Benedett”. Nel mulino Giovanni, grazie all’acqua della roggia Molinara, che deriva dal Tinella, ricavava l’olio di lino, che serviva per friggere, ed era usato per i cataplasmi e le bronchiti, quello di ravizzone (“oli de cursac” in dialetto) molto apprezzato da un farmacista di Milano, che, durante la guerra, lo utilizzava come medicamento contro le tumefazioni, quello di gherigli di noci per illuminare le chiese e, infine, quello di mandorle. Con lo scarto dei semi, assemblato a mo’ di ruota, faceva il “panel”, cibo per le bestie”. Nel giardino di Rosangela è rimasta l’altra macina, che risulta meno apprezzabile, essendo un conglomerato.
Da trecento anni la famiglia Ossola è proprietaria dei mulini del Benedetto, luogo citato in tre pergamene della chiesa di santa Maria del Monte, risalenti alla fine del primo millennio. Vi trovava allora spazio un uliveto formato da 37 piante che dava trenta libbre d’olio del migliore. La ricerca di Cassani e Francesco Costanzo, effettuata su “Le carte di Santa Maria del Monte di Velate”, apre un’ipotesi: e se la macina ora a Monte Bernasco fosse molto più antica di tre secoli, considerata la produzione dell’olio già più di mille anni fa?
Federica Lucchini