Disegni di Antonio Pizzolante – Foto di Barbara Palazzi
Caldana
Quella sera il freddo si era arricchito di un insolito profumo che veniva da una pianta di calicanto e accresceva il piacere della mia consueta passeggiata per le vie di Caldana. Un’abitudine che, da quando mi ritrovo in pensione, è diventata pratica quotidiana. In quel mio vagare, quasi sempre notturno, è quasi inevitabile che il pensiero corra al mio paese.
Mi piace ascoltarlo – il mio paese. Non ho scritto osservarlo; ho scritto “ascoltarlo”, perché un paese lo si ascolta, lo si fa con la mente e soprattutto con il cuore. Per altro non potrei ascoltarlo diversamente perché ovunque regna il silenzio, spezzato di tanto in tanto dall’abbaiare di qualche cane o dai lamenti
di una gatta, sempre quella, i cui miagolii si perdono desolati in lontananza.
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Cocquio e S. Andrea
La facciata della chiesa di Cocquio è antica, di sasso morto, scura. Tuttavia ogni tanto imbiondisce come la chioma di una donna in amore. Il piazzale è piccolo, intimo, arioso e fra le pieghe del suo selciato spuntano fiorellini di un celeste remoto. E’ rimasta abbastanza integra, sia all’esterno che nel suo interno dove si può ammirare, tra le altre cose, un bel dipinto del pittore Giraldi. Mi avvio lungo la strada per Armino e mi sovvengono le parole del Cronicon Parrocchiale in cui si dice che, all’imbrunire, lungo questa strada il parroco veniva a leggere il breviario.E’ dolce questo tratto di strada, manzoniano, fino ad arrivare ad una cappelletta davanti alla quale chissà quante volte si sarà fermato con il breviario in mano, e poi avrà mosso il cappello, e avrà abbozzato un segno di croce.
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Cerro
Passeggiando nei vicoli, in questo pomeriggio di mezza settimana, non incontro persona, non colgo una voce di saluto, non odo un bimbo vociare. Le porte sono serrate, le lobbie deserte, i camini non fumano. Dimenticata alquanto dal flusso del progresso, Cerro ha però in parte salvato quell’integrità che, quasi ovunque, è andata invece distrutta. Tutto è ancora abbastanza schietto, ingenuo, romantico, solitario.
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La montagna
Favoloso e misterioso, donatore di sogni, di poesia e di felicità, il bosco rappresenta per i nostri luoghi un riferimento vitale.
In un paese come il nostro, che non è in grado di offrire architetture di prestigio, i boschi diventano le nostre cattedrali e camminare in silenzio lungo i loro sentieri è come recitare una preghiera.
Oggi sono salito in macchina fino a Cerro ed ora mi addentro nel Parco del Campo dei Fiori.
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Sant’Andrea, Intelo, San Bartolomeo, Torre
Questa mia ultima tappa parte da Caldana, dal piazzale della Chiesa Parrocchiale di Carnisio.
Il panorama è mozzafiato ed evoca la descrizione che ci ha lasciato Fausta Cialente dalla sua terrazza “del Grillo”: “… a sinistra vedo tutto il lago di Varese (che noi chiamavamo lago di Gavirate) limpido e quieto tra le verdi colline che sembravano esaltarne l’azzurro favoloso; a destra il Monte Rosa che al mattino, quando sorge il sole è veramente e stupendamente rosa, e davanti, a perdita d’occhio , i dorsi delle colline con sparsi i bianchi paeselli di cui già conoscevo i nomi: Besozzo, Ispra, Angera…”. Tutt’attorno sono boschi, precipitanti in erti pendii verso la frazione Intelo il cui fondo si scorge, lontano, con i tetti delle prime case sparse qua e là nella nebbiolina, il tutto pervaso da un senso di vita quieta e serena.
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Il paese visto da fuori
Sono nato in città. In principio ero uno dei milanesi che venivano a respirare un po’ d’aria fresca sui declivi delle Prealpi, poi il paese mi ha inghiottito senza che me ne accorgessi. Per quanto sembri paradossale, il paese di adesso è sempre più simile alla periferia in cui ho trascorso la mia adolescenza e, senza volerlo, mi sono trovato nel mezzo di un incrocio, dove le abitudini e gli stili di vita si intersecano in continuazione.
Continua Il paese visto da fuori di Adriano Biasoli