“De scià o de là, un quai lauraa el se truava!” – afferma il Togn.
“Bastava vegh vöia e un quaicoss de danee vegneva dent … ” – gli fa eco il Gino.
Strana economia quella del paese; non era particolarmente redditizia, ma alcuni suoi fondamenti risultavano interessanti. Rivisitata a distanza di anni non era un’economia poi così tanto peregrina, anche se viene ancora oggi giudicata con sociologica commiserazione.
Funzionava così: io vengo a fare la spesa nel tuo negozio, a tua volta chiamerai me a riparare il rubinetto che perde, il sarto comprerà il latte della mia mucca, io farò confezionare i pantaloni da lui che, come muratore, assumerà proprio quello tra i clienti che …
Una strana economia, non “di mercato”, impostata cioè sulla concorrenza, ma economia “di relazione”, dove il rapporto fra consumatore e venditore era primario, una forma di solidarietà concreta tra chi produceva e chi consumava. Il denaro circolava all’interno del paese senza uscirne se non per le eccezioni; generava – appunto – anche posti di lavoro in loco, poiché tutta l’attività si svolgeva lì. Un’importanza significativa di questa economia consisteva nel fatto che non c’era, come accade oggi, una lotta insana, una competizione di tutti contro tutti, dove per poter gareggiare bisogna sempre stare un passo avanti all’altro. Era una forma di economia basata di più sulla collaborazione, sulla cooperazione e sulla condivisione, e meno sul competere. Forniva anche stili di vita più sobri, meno consumistici, era un’economia, anche culturalmente, non inquinata dalla religione del P.I.L., cioè dalla competizione e dalla crescita a ogni costo.
“Mò ghe ciapen tucc par ul … Pil!”- afferma divertito il solito Togn.
Vi rendete conto che oggi ci fanno comperare anche quello che non serve?
Non produciamo più quello che serve per il nostro consumo – come sarebbe normale – ma consumiamo, anche senza averne necessità, al solo scopo di poter produrre (!!).
“La po’ mia funzionaa ‘ne roba inscì!” – sentenzia il Togn.
Cresciuti con una cultura tutta improntata al risparmio, credo che i nostri nonni, nel vedere i nostri comportamenti, si rivoltino continuamente nella tomba.
Un’economia – quella del paese della tradizione – che presentava anche altri vantaggi cui un tempo magari non si dava granché importanza, come per esempio il fatto che era un sistema economico “sostenibile”, cioè compatibile con la salvaguardia dell’ambiente; un’economia che portava avanti senza saperlo delle prerogative estremamente attuali quali la riduzione dei trasporti (quindi dell’inquinamento) e l’assenza di pubblicità. Se pensiamo che in media gli elementi di un pasto viaggiano oggi 2.400 chilometri prima di arrivare sulla nostra tavola ne capiamo l’importanza. Si è addirittura calcolato che un vasetto di yogurt alla fragola di 125 grammi venduto a Stoccarda aveva percorso 9.115 chilometri tenuto conto del percorso del latte, delle fragole coltivate in Polonia, dell’alluminio per l’etichetta e della distanza con la distribuzione.
Anche per questi aspetti il modello economico dei nostri nonni possedeva una sua preziosità. Comunque non è certo tornando indietro al paese di un tempo che potremmo affrontare e risolvere i problemi che ammorbano la società attuale; desidero solo sottolineare che se l’economia “rurale” ha resistito così a lungo, è perché a monte era disciplinata da criteri che poggiavano su solide fondamenta.
Quello che accadeva una volta “l’eva mia tut de sbat via!” – chiosa il Togn.