Il paese che cambia (parte IIa)
Il Togn ha dalla sua una rude e arguta concretezza che lo fa andare diritto alle cose. L’ho incontrato al Circolo e insieme abbiamo avuto occasione di sederci a un tavolino e fare quattro chiacchere. Parla volentieri, il Togn, e, senza tanti preamboli mi spiega che lui (e tutti noi) siamo passati in poco tempo dalla miseria al benessere, ma: “vaca!” se l’abbiamo pagato caro questo “benessere”!
Tento timidamente di chiedere spiegazione e allora mi fa notare che nel volgere di pochi decenni il progresso ci ha fatto stare meglio, ma ha fatto almeno tre disastri: ha cancellato la “sua” cultura (contadina), ha distrutto il “suo” paese e ha rovinato l’ambiente.
Ribadisce che la cultura contadina è stata una grossa perdita, “l’è stai ur maa pussee gross” perchè i suoi valori rappresentavano una ragione di vita per lui e una garanzia per la società.
Sorseggiando il primo bicchiere mi spiega che si ritrova a vivere in un mondo che non condivide e non gli appartiene più. Molte cose sono cambiate e lui non si capacita: ha sempre fatto una vita di risparmi, “par tuta la me vita u cercà de faa cunumìa..”, e ora perfino questo valore è messo in discussione, anzi, tutto è studiato per farci spendere, addirittura per farci spendere i soldi che “gham nanca!”.
Ha come la sensazione di vivere fuori dalla realtà. C’è una faccia del mondo, l’altra, quella dello spreco, della vuota abbondanza, della rutilante e colorata fatuità che proprio non gli appartiene e mai gli apparterrà. Eppure questa “faccia” è quella che oggi prevale.
Nella sua testa c’è ancora una certa idea di lavoro, un’idea di famiglia, di risparmio, di gerarchia, di obbedienza, cose che poco hanno da spartire con quello che in questi anni gli tocca sentire e vedere.
Al secondo bicchiere si sfoga dicendo che la grande distribuzione uccide uno dopo l’altro anche i luoghi di ritrovo “cume chest chi” mentre i supermarket fanno sparire i negozi e con essi la vita del paese. Anzi: il paese l’ha proprio spazzato via! Non solo commerci, osterie… ma anche scuole, parrocchie …. Via!
Al terzo bicchiere mi dice che per far fronte a questo stato di cose ha realizzato nella sua testa una specie di secessione, “chela che nanca ul Bossi l’è mai stai bun de faa”, un distacco mentale da tutto quello che è globale, e poi dalla politica, dallo stato… perfino da quel supremo bene che si chiama comunità.
Tende infatti a chiudersi sempre più in sé e a coltivare pochi interessi ma che per lui sono ancora importanti: un tuchet de tèra, duu laurit par dagh via, una partidèla ai cart…
Non legge neppure più il giornale.
Poi, facendosi improvvisamente giulivo: “Ma mò problemi ghe n’è pu: è nai su ul Pil e alöra sam a post!”, dice con l’aria beffarda di chi vuole canzonare, come a dire che vogliono farci credere che il Pil sia il termometro del benessere.
Si diverte, il nostro Togn, sorseggia e prorompe in una bella risata. Una battutina sui giovani non può mancare: “Se vurii mai? Un quaivun g’ha forsi insegnà cume se fa a piegaa ul firun de schena? Loor in abituà in su l’Interdet (e ride divertito) o cume diaul el se ciama!”
Poi, mentre gli portano il quarto bicchiere, torna a farsi serio e rimpiange di nuovo il suo passato contadino: afferma che l’abbandono dei campi e dei boschi è stato un grave errore e, “se van avanti a dischiviaa la tèra…, pöra gent!”
Secondo lui, già si scorgono i primi segni: “vegn avanti i rovedee… e oramai riven fino ai cà…”.
Ma in questo modo non si andrà avanti tanto – insiste il Togn – che a quel punto, alzandosi e cercando di far sentire a tutti, lancia una specie di sentenza:
“e rigurdivess”, alle zappe che avete buttate sul fuoco… “un dì ghe rifarii ul manich!”
Nonostante tutto, gli resta la consolazione di sentirsi la coscienza a posto perché lui non è responsabile, ma nanca un zich, di quello che è accaduto in questi anni.
Questo “progresso” “el m’è passà sora al cò senza che mi pudessi dii né sì né no!”
1° parte