Il lavoro è essenziale per la crescita umana, culturale ed etica della persona. E’ uno straordinario strumento di scoperta introspettiva ed è un toccasana per la salute fisica e mentale. Grazie al lavoro stabiliamo un complesso e articolato sistema di relazioni con la vita che ci circonda, manifestando quei sentimenti che altrimenti rimarrebbero imprigionati. Il lavoro è vita, ci fa star bene con noi stessi e con il prossimo, ci regala gioie e anche sofferenze utili per mettere a nudo la nostra coscienza, per esprimere al massimo livello emozioni e sentimenti, per conoscere meglio noi stessi e gli altri. Per tutte queste ragioni deve poter diventare strumento di crescita e non di frustrazione. La maggior parte dei lavoratori soffre il lavoro, lo vede e lo sente come una forzatura, un peso, come qualcosa che si deve fare, ma che stravolge la spontaneità, l’inventiva, la natura umana e i suoi slanci. C’è dunque un aspetto del lavoro che deve essere valutato molto seriamente, se si vuole che sia sempre un grande momento di libertà e di valorizzazione personale e collettiva. Il lavoratore non vuole sentirsi suddito o soggetto passivo,vuole essere protagonista della propria storia personale e della storia della società di cui è figlio. La politica e i sindacati devono operare sulla via della condizione sociale, mentale e culturale del lavoratore, aprendogli nuove strade e nuove speranze, evitandone la robotizzazione o peggio ancora la mummificazione morale e salariale. Si tratta di accompagnare le persone a fare una scelta consapevole, che sia soprattutto scelta di libertà, dove la personalità genera e produce quel meraviglioso patrimonio di vocazioni che si annidano nella volontà individuale. Nel mondo del lavoro spesso manca una programmazione che sappia individuare e accompagnare i talenti e le risorse che albergano nella mente e nel cuore delle persone. Capita di incontrare giovani di grande talento che non vengono presi in considerazione da un mercato che insegue il proprio profitto. Il mondo del lavoro deve essere aperto, deve poter accogliere e promuovere la disponibilità umana e culturale di persone che pagano di tasca propria la fede nell’evoluzione. Non ansia e infelicità, ma coraggio e intraprendenza, non chiusura e discriminazione, ma attenzione e promozione. Lavorare deve essere un piacere, la possibilità di dimostrare la forza di una identità, di una scoperta, la gioia di una realizzazione, l’importanza di mettere i propri talenti al servizio degli altri. Il lavoro è, infatti, uno straordinario servizio alla persona, ma è lo spirito che deve cambiare. Per troppo tempo è stato associato alla povertà, alle lotte, alle discriminazioni, ai giochi di una demagogica lobbistica, alle prevaricazioni di gente senza scrupoli, alla arbitrarietà di gruppi e persone che ne hanno fatto una fonte sicura di dominio personale. E’ ricreando lo spirito del lavoro che si ricrea la vocazione di una società che cambia radicalmente i suoi contenuti e le sue potenzialità. E’ valorizzando gli esseri umani che si ottengono risultati soddisfacenti. E’ favorendo la realizzazione personale che si raggiungono ottimi risultati umanitari e comunitari. Bisogna avere il coraggio di spogliare il mondo del lavoro da quelle filosofie umane che lo hanno imprigionato nel corso del tempo, trasformandolo in una succursale del potere politico. Uscire da una visione privatistica e utilitaristica del mondo del lavoro è necessario per rilanciare le sue ricadute personali e sociali, la sua straordinaria forza risanatrice, la sua capacità di riannodare, riproporre e stimolare, il suo essere collante di nuove e più complesse realtà etniche. Il lavoro non deve essere quindi una condanna, ma una grandissima opportunità che va coltivata, sostenuta e accompagnata. Per questo è necessario che il mondo rivaluti la condizione umana e le riconosca quella identità che la rende unica e che le consente di aspirare a quell’ umanissimo spazio di felicità che resta l’obiettivo di tutti. E’ finito il tempo degli antagonismi preconcetti, delle varie forme di lotta consolidata, del lavoro subalterno alle consorterie politiche e ideologiche, di una società creata a propria immagine come strumento di conflitto perpetuo. Le condizioni sono tali che richiedono un’ampia e approfondita cultura della identità sociale, della capacità di saper entrare nell’evoluzione umana e nelle nuove intraprese culturali. Il dato ideologico che ha caratterizzato l’Italia post unitaria lascia gradualmente il posto ad una società che si caratterizza sempre di più per la sua indipendenza verso varie forme di costrizione, che ambisce a essere protagonista delle proprie fortune, anche a costo di pagare un prezzo, una società che è stanca di dover chinare la schiena sempre, anche di fronte alle iniquità conclamate. I giovani soprattutto non amano essere portati in giro con l’anello al naso, rifiutano la subalternità ideologica, guardano al mondo con occhi nuovi, capaci di restituire alla natura umana la sua storia, cercano la verità in una natura affettiva che accompagna verso la scoperta di se stessi e di una intelligenza capace di generare fiducia e generosità. E’ assolutamente necessario saper cogliere i fermenti di un mondo che si apre per dimostrare che lo spazio e il tempo sono categorie soggette a trasformazione e che la forza di un sistema sta anche nella capacità di ciascuno di sentirsi amato e valorizzato. Anche per questo i giovani amano meno la politica e più la voglia di dimostrare che nella vita ci sono valori più alti, capaci di dare all’uomo il senso compiuto della propria storia, invitandolo così ad abbandonare quel malinconico senso della rinuncia e della povertà che ne hanno immalinconito il carattere nel corso del tempo. Il lavoro sarà sempre più essenziale se saprà riconoscere lo spirito che lo anima e se verrà messo nella condizione di far sentire le persone parte viva e integrante della creazione.
Papa Francesco: “Il lavoro è una realtà essenziale per la società, per le famiglie e per i singoli”