Il deserto è un luogo splendido, lo è per la sua incantevole bellezza, per il silenzio, per quella voce che induce a riflessioni profonde, lasciando il passo a visioni più dirette e inclusive. E’ il luogo della meditazione, dove la terra perde quel suo potere di seduzione occulta, perché lì, al confine col cielo, rilancia solitudini studiate, amate, mirate a vocazioni profonde. In ogni uomo c’è una parte di deserto che avvolge, che traccia vie e confini, che richiama condizioni dove umano e divino s’incontrano, creando spazi di vera estasi. Ritirarsi nel deserto prelude a rinascite, nuove decisioni, energiche sollecitazioni, importanti riflessioni. Così nella metafora, come nella realtà, l’uomo cerca il suo spazio, nel silenzio esplora la possibilità di trovare risposte alle inadempienze del mondo. E’ un uomo, quello del deserto, che evade dai piaceri di convenienza, da conquiste presentate come soluzioni, da immagini pervase di tecnologico qualunquismo. Non è mai fuga o sconfitta, ma dialogo/confronto serrato con i propri limiti, è scoprire un volto che ci è sfuggito, che non riusciamo più a riconoscere, che fatichiamo a capire. Può diventare poesia del naturale e del soprannaturale, incipit prediletto per ritrovare un senso, un’idea che non sia illusoria banalità. Ci sono uomini che nel deserto si sono conosciuti e formati, lasciando che fossero la solitudine e il silenzio a dettare le condizioni, a imprimere visioni, a vivere emozioni, a trovare risposte adeguate a un mondo che tenta, distoglie, disamora, confonde, tende spasmodicamente a sovrapporre la propria sottile inumanità alla voglia di essere se stessi, di stabilire un nuovo patto di solidarietà con la vita e col mondo. La solitudine desertica non è per tutti, ma tutti, se lo vogliono, possono adottarla anche solo per pochissimo tempo, quanto basta per capire di nuovo chi siamo, cosa stiamo facendo, qual è il nostro destino, qual è lo scopo finale della vita, se quello che facciamo corrisponde alle attese di una società che reclamizza le proprie conquiste, dimenticandosi di far capire la sequenza logica dei processi. Nel deserto si fa strada l’altra faccia della verità, quella che apparentemente annulla la relazione umana con le cose e le persone, che avvicina all’idea del “nulla eterno”, alla presenza di un grande Spirito guida, dentro il quale l’umanità cammina. E’ l’idea di Dio che si largo, quella voce che sussurra nella profondità del silenzio, permettendo all’uomo di mettersi a nudo, di capire meglio la propria identità, ciò che rappresenta, le sue corrispondenze e le sue relazioni, tracciando la via per un onesto esame di coscienza, quello di cui un’antica catechesi si faceva solenne portavoce e promotrice. Nella pienezza del silenzio la vita interiore si rianima, riprende slancio, si rimette in moto, dimostra di saper amare la bellezza nella musica, nel racconto, nella poesia, nella scultura, nell’architettura, nella scienza, nell’amore, in quella voglia di conoscere sempre un pochino più a fondo il luogo in cui abbiamo la fortuna di vivere. Il deserto nella sua verità metaforica non brucia la vita, non la priva della sua vitale propensione al dinamismo e al movimento, la sollecita a un atto di moderazione, di ravvedimento, le fa conoscere meglio se stessa e ciò che è realmente necessario per vivere bene, nel pieno rispetto di sé e di chi ci cammina accanto.