In quel suo definirsi “custode” stanno tutta la preziosità della cura che rivolge ai documenti antichi e l’umiltà di chi accoglie la storia come un preciso disegno divino. Giuseppe Aletti Alemagna, 69 anni, per una vita impegnato nell’ufficio sindacale della Confartigianato, non vuole essere chiamato “archivista” (“Non ho svolto studi preparatori”, spiega), ma per due giorni settimanali, a partire dal 2019, (fatta eccezione la pausa del lockdown) lavora nell’archivio del Santuario di Santa Maria del Monte. Ed è un incarico che lo arricchisce umanamente e spiritualmente. Tutto iniziato per caso, quando il giorno in cui ha terminato definitivamente la sua professione, ha deciso con la moglie Monica, di percorrere la via sacra fino al santuario per quel desiderio di gratitudine nei confronti di una figura -la Madonna- che “avvolge” la sua vita. L’incontro, casuale, all’interno del santuario, con don Agostino Ferrario, che gli chiese la disponibilità a dedicare del tempo all’archivio, gli offrì un percorso in sintonia con le sue corde e accettò l’incarico con spirito di servizio. È curioso come la sua esperienza vissuta dentro questo spazio sia costellata di figure delle quali porta grande ammirazione e ne parla come di presenze vive. Sembra che lui voglia farsi indietro, tanta è la modestia, per “celebrarli”. Tra loro, Edgardo Tagliaferri, “un archivista bravo che operò negli anni Settanta -spiega- dedicando la propria vita al santuario e ad indagare dove fosse finita la gran parte di documenti che ne facevano parte prima dell’avvento di Napoleone”. Il 95% è stato disperso, ma comunque quello rimasto è la pari di un oceano di carte con notizie di ogni tipo. L’attenzione è attualmente rivolta alla canonizzazione di Domenichino Zamberletti. Si lavora in silenzio con l’arciprete, monsignor Eros Monti, ma in modo proficuo. Una foto conservata nell’archivio del suo cellulare mostra la tomba in questi giorni, a settant’anni dalla morte, su cui è stato lasciato un paio di scarpette di bimbo, oltre a tanti piccoli giocattoli, lettere con richieste di grazia e di ringraziamento, segno di un ricordo che non è mai venuto meno. Con gioia racconta delle tante tracce, indice di un movimento di popolo che desidera la sua canonizzazione. Ora si tratta di creare un comitato per avviare il processo canonico che dovrà documentare la fama di santità, dove lui da archivista, sarebbe chiamato a recepire tutto ciò che verrà raccolto per proporre poi idonea documentazione alle autorità preposte alle cause dei santi. “Noi facciamo la ricognizione di fatti oggettivi -afferma- che manifestano la volontà di Dio. Sono necessari tempi lunghi. Il nostro ruolo è quello di dimostrare la fama di santità. Mi rendo conto che il mio è un cammino di grazia, che mi dà il privilegio di vivere in prima persona questo percorso unico nel suo genere, non dimenticando quanto mi arricchisca confrontarmi e seguire figure speciali, come i sacerdoti del santuario con cui i rapporti sono profondi. I documenti parlano ed esprimono l’animo di chi li ha redatti”, spiega. E i documenti fanno parte della sua vicenda personale: la sua famiglia di origine nobile è innervata nella Storia con la maiuscola: il padre della trisavola Elisa, Paolo Bassi, patriota, podestà di Milano nel 1848, ebbe il triste destino di riconsegnare la città di Milano nelle mani di Radetzky. Il fratello del bisnonno, Emilio Alemagna, architetto morto nel 1910, progettò numerose ville e giardini tra i quali spicca il parco del Sempione a Milano, e a Barasso, oltre a dare l’aspetto attuale alla sua dimora, la sede dell’asilo, che conserva il suo nome, e il municipio.
Federica Lucchini