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Il calesse di Guido Morselli ereditato dal padre

 19 Dicembre 2021 |  Pippo | |

E’ conservato con cura in un ampio locale: quando ne divenne proprietario, il maniscalco Marcello Nassi, era ben consapevole del valore che aveva quel calesse, tenuto con grande passione da chi lo aveva acquistato e da chi lo aveva vissuto. Lui ha deciso di continuare questo percorso, da esperto quale è, in rispetto alla sua storia. Guardare quel cuscino originale dà una certa emozione, come tutti i particolari di questo cimelio. E si immagina lo scrittore Guido Morselli, che lo aveva ereditato dal padre, salire i “gironi”, come li definiva, verso la casetta rosa nel suo podere di santa Trìnita con la sua cavalla Zeffirino, un purosangue che ebbe in regalo dal genitore il 15 marzo 1950, acquistato alla fiera di Verona. C’è poi un particolare in metallo che attira l’attenzione e che attesta il pagamento del bollo di circolazione. La dicitura: “Validità 1951-1952. Comune di Gavirate, Provincia di Varese. Veicolo per trasporto di persone. Matricola n.65. Morselli dott, Giovanni”. E’ rimasta anche la documentazione del pagamento nel 1957 di £. 500. In tutti questi decenni è un veicolo che ha conosciuto il valore dell’attenzione. Solo nei primi anni Ottanta ha assolto a una funzione pubblica: quando a Gavirate venne portata, come Madonna pellegrina, l’effigie della Vergine di Fatima. Marcello preparò il calesse nelle migliori condizioni, sul cuscino adagiò la statua, che dalla porta quadra del rione di Fignano, fece il giro di tutto il paese. “Lo donerei volentieri -spiega- perché potesse essere conservato pubblicamente. E’ un cimelio che va apprezzato in un giusto contesto”. L’opera dello scrittore sta acquisendo sempre più consensi internazionali: il suo romanzo “Dissipatio H.G.” è stato accolto negli U.S.A. l’anno scorso come un capolavoro, mentre quest’anno è stato tradotto in tedesco. Sono sempre più preziose, quindi, le ultime testimonianze di chi l’ha conosciuto. Risale all’incontro tra Ernesto Melotti e Giovanni Morselli alle fine degli anni Quaranta nel vivaio Dragonzini di Spilamberto (Modena) la ricchezza di viti e di frutta che ha caratterizzato il podere dello scrittore e di cui lui ne era giustamente orgoglioso (“La vite cresce gagliarda e a suo tempo onusta di gonfi grappoli d’oro”, scrive) al punto di produrre il vino: il padre dello scrittore aveva notato la professionalità di quell’agricoltore e gli propose il trasferimento a Gavirate nella casa già fornita di acqua e luce (un privilegio per quei tempi) all’ingresso del parco. “Mia mamma Marcella, poi, da brava cuoca emiliana, preparava le tagliatelle, le lasagne, i cappelletti e il dottor Morselli padre era felice di aver trovato una famiglia che gli facesse assaporare i gusti della sua terra- ricorda Giuliana Melotti- I grappoli d’uva sulle viti erano grandi così! Maturavano i kaki, le ciliegie, un’abbondanza di frutta di grande qualità. E poi c’erano le arnie”. Tanto lavoro, ma ripagato dalla stima del padre di Morselli (“A me aveva aperto un libretto bancario con 500 lire, che furono vanificati alla fine della guerra”, ricorda Giuliana), e dall’amicizia con le famiglie Bosatelli e Pilotto. Lo scrittore (“il signorino”, veniva definito) aveva esigenze alimentari più parche: riso e burro e un uovo. Poi, come ricorda Edda Pilotto, una vicina di casa, si sedeva sull’erba con un asse sulle gambe per poter meglio scrivere.

Federica Lucchini   

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