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Il 25 febbraio scorso è ricorso il 75° anniversario dell’eccidio di Trarego all’Alpe Promé

 8 Marzo 2020 |  Pippo | |

“Volante “Cucciolo”, squadra dell’allegria. Tra noi partigiani non c’è malinconia”. Così erano soliti cantare i nove ragazzi, tutti tra i 19 e i 25 anni, appartenenti alla Brigata Alpina “C. Battisti”, che ha operato nel 1944/45, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, sulle montagne del Verbano. Non sapevano che di lì a poco avrebbero perso quasi tutti la vita. Il 25 febbraio scorso è ricorso il 75° anniversario dell’eccidio di Trarego all’Alpe Promé in cui sette di loro e due civili furono massacrati uno accanto all’altro dai fascisti della Confinaria che non contenti di averli uccisi, infersero loro 348 ferite, si accanirono sui loro corpi fino a sfigurarli. Uno dei due sopravvissuti era Carlo Castiglioni (nome di battaglia Carluccio 1923-2005) che abitava a Gavirate, riuscito a fuggire, insieme al comandante Nino Chiovini (Peppo): “In quel luogo, ora diventato bosco, ha lasciato un pezzo del suo cuore -ricorda la figlia Simonetta- In certi momenti diceva che avrebbe voluto fare la stessa fine dei compagni, tanto erano legati tra di loro. Avevano passato più di un anno gomito a gomito, condividendo fame e freddo. Quasi si sentiva in colpa di essere sopravvissuto”. La sua commozione era stata palpabile, quando venne scoperta in piazza a Premeno la stele su cui erano incisi i nomi dei suoi compagni uccisi. “Preferiva raccontarci degli scherzi che facevano tra loro -continua la figlia- dell’aiuto che davano gli abitanti, solidali con i loro ideali, e del fatto che quando nel gennaio 1944 si presentò a Chiovini questi gli disse che non aveva intenzione di costruire un asilo infantile, ritenendolo più giovane dei suoi vent’anni”. Si dovette subito ricredere perché il “ragazzino” aveva un’ottima manualità: sapeva riparare i fucili, aprire le baite. E soprattutto era perfetto per la sua agilità in quella squadra chiamata “Volante” perché, conoscendo le mulattiere e i sentieri, si muoveva velocemente, percorrendo anche 20 km. al giorno. Completava la sua denominazione, in onore del partigiano Cucciolo, caduto nel rastrellamento del 1944 in Valgrande. Carluccio, quel giorno, si era salvato grazie ad una coperta, piegata setto/otto volte nello zaino. “Chissà quante pallottole c’erano nello zaino che avevo dovuto abbandonare, essendosi impigliato in un ramo”, ricordava mentre fuggiva a rotta di collo nella vallata dai fascisti che l’inseguivano e che avevano già ucciso gli altri compagni. In una sua testimonianza rilasciata a Michael Jakob ne “La strage di Trarego” (edizioni Tararà) viene alla luce la sua agilità, la buona sorte e la freddezza nel calcolare la possibile via di fuga: Peppo era fuggito da un lato e quindi l’attesa dei militi era che Carluccio lo seguisse. Invece lui scelse un altro itinerario: “Sono corso come un pazzo e vedevo la terra che bolliva. Proprio in mezzo alle pallottole. Bim-bum-bum. Non ce n’era una intelligente che mi prendesse!”, aggiunge quasi con ironia. Prima aveva visto morire il Vola (così era chiamato Pierino Agrati): “E’arrivata una raffica e l’ha preso in pieno. A me: niente. Eppure ero proprio lì dove sparavano. La mia solita fortuna!”. Poi il ferimento contro una rete, tra due baite, la corsa rocambolesca giù da una scala e la salvezza grazie agli abitanti. In seguito, dopo le cure delle ferite, i due sopravvissuti tornarono a Premeno per ricominciare da capo la loro vita partigiana. Fino alla fine della guerra. Poi la vita ha ripreso a scorrere con la famiglia che Carluccio aveva formato a Gavirate, tenendo dentro di sé, come buona parte dei reduci, la memoria e la fratellanza con i compagni morti lassù. Alle sue esequie, il 17 agosto 2005, i partigiani di altre squadre erano tutti presenti con un “groppo” in gola.
Federica Lucchini

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