Forse ce ne accorgiamo quando non ci sono più, quando ne sentiamo la mancanza, quando ci manca la loro infinita generosità, il loro essere sempre pronti ad aiutare, a donare un sorriso, a dimostrarci la loro infinita bontà. I vecchi sono un tesoro straordinario, perché portano con sé le ricchezze e i dolori del mondo, sono i pionieri di territori inesplorati, di bellezze nascoste, i conservatori di virtù e di segreti che hanno popolato la terra nel corso dei secoli. Grazie a loro la vita ha trovato spazi aperti dove sorgere e risorgere, la saggezza ha continuato a sopravvivere, i giovani hanno incontrato il racconto e la poesia, gli adulti un mondo di risorse su cui appoggiare le loro inadeguatezze, le loro paure e le loro ansie. Nelle antiche tribù l’anziano aveva un ruolo fondamentale, era il signore e il capo, incarnava la sapienza, la tradizione, la capacità di leggere il grande libro dell’esistenza, individuandone ogni volta il senso del mistero e quello della bellezza. La famiglia stessa ha vissuto appoggiandosi alla vecchiaia, sicura di incontrarne sempre la disponibilità. I vecchi sono stati e continuano a essere il simbolo di come sia possibile superare indenni la fragilità della condizione umana, sono l’emblema di un mondo che ama la vita sempre, al punto di sostenerla, appoggiarla, condividerla e amarla, anche quando diventa persino difficile arrivare a sera. I peggiori nemici dei vecchi sono la solitudine, l’indifferenza, l’arroganza, l’incapacità di saper cogliere le opportunità che sono in grado di offrire. Per questo a volte sono tristi, si domandano perché non debbano stare a tavola con i giovani, perché non possano ascoltare e osservare e giocare e raccontare, perché il mondo si sia dimenticato di loro, perché li costringa a vivere in luoghi appartati, dove l’umanità diventa patologia del ricordo e dove spesso la vita diventa un non senso, privata della sua bellezza e della sua autenticità. Forse si domandano perché anche i virus, quelli più micidiali, se la prendano con loro in modo particolare, proprio con loro che sono fragili e indifesi, che non fanno male a nessuno e che durante il loro lungo cammino hanno sempre cercato di donare senza chiedere nulla in cambio, mettendo davvero in pratica uno dei più grandi valori cristiani, quella generosità che ha dato la possibilità al mondo di realizzarsi. Una società giovane che tratta male i vecchi e che crede di potersene disfare per avere campo libero è una società molto malata, destinata ad ammalarsi sempre di più, è una società che nega la sua origine, la sua tradizione, il principio stesso della vita, quella parte di passato che continua a insegnare con la sua naturalezza e la sua semplicità. Amare i vecchi non è solo un atto di cristiana pietà, ma è soprattutto un dovere, aiutarli è uno dei massimi comandamenti della vita civile, provvedere ai loro bisogni e alle loro necessità è espressione di vera umanità. Forse anche la scuola dovrebbe coinvolgerli di più, dovrebbe fare in modo che il confronto tra le stagioni della vita cresca in un generoso rapporto di reciproco rispetto e conoscenza, alimentando la bellezza del racconto e della poesia. Non ci sono stagioni della vita più importante di altre, c’è solo la vita con i suoi doni e le sue necessità, parti di un cammino che s’incontrano per conoscere, sapere, vivere, approfondire, per uno scambio d’impressioni sul tempo che corre e che molto spesso non lascia neppure lo stretto necessario per aprire il cuore e lo sguardo sulla bellezza di un dono che è davvero unico.