I vecchi di una volta, nella maggior parte dei casi, non avevano frequentato l’università, non erano diplomati, i più fortunati avevano frequentato la terza media, molti avevano iniziato le scuole elementari, poi avevano abbandonato e molti altri ancora era più o meno analfabeti, non sapevano né leggere né scrivere. Ricordo il maestro Manzi che teneva le sue bellissime lezioni alla televisione, per cercare di qualificare una nazione che voleva a tutti i costi uscire dalle paure della guerra e riprendersi in mano la vita parlando italiano. Altri tempi, altre storie, storie in cui non esistevano i guru della sapienza esistenziale, le medicine toccasana, un sistema digitale all’ultima moda, ma dove era la vita stessa che insegnava a stare al mondo, a suggerire che cosa era giusto fare e che cosa invece non si doveva fare. Quel mondo insegnava che dovevi aiutare il vecchio che doveva attraversare la strada, che non dovevi dire parolacce, che dovevi studiare con impegno per crearti un futuro, insegnava a ubbidire, ad aiutare chi aveva bisogno, era un mondo di vecchi privi di teoremi filosofici, ma con la testa sul collo, gente che lavorava dalla mattina alla sera e persino durante la notte per portarsi avanti, per affrontare per tempo la sfida con quella natura che in molti casi diventava nemica, soprattutto all’epoca della raccolta del frumento e della vendemmia. Erano vecchi che non si lamentavano mai, che mangiavano pochissimo, che riciclavano tutto, sempre presenti nelle fatiche della vita, pronti sempre a dare una mano. Nessuno si sarebbe mai permesso di mancare di rispetto a un vecchio, per educazione familiare, ma anche perché la società sarebbe intervenuta a sua difesa senza pensarci due volte. In famiglia il vecchio contava moltissimo, era il vocabolario aperto della vita, un immenso sussidiario di storie e racconti, era amato e riverito, perché con la sua tenacia e la sua volontà aveva costruito una vita migliore, degna di essere vissuta. Quando entrava un vecchio c’era sempre chi gli riservava un posto a sedere, chi lo riveriva, chi lo incoraggiava, era bello vedere e capire che una società si prendeva cura dei suoi soggetti più fragili, quelli che avevano dato tutto se stessi per rimettere in sesto una nazione dilaniata dalla guerra civile e da nefandezze di ogni genere. I vecchi erano una scuola per tutti, per i giovani e i meno giovani, il futuro dipendeva spesso dalle loro intuizioni, dal loro contatto diretto con la natura, con la storia, con i problemi della vita, erano un libro aperto a cui attingere quando i problemi si accumulavano e diventava difficile risolverli. I vecchi stavano con i giovani e i giovani stavano con i vecchi, tenerseli vicini era il più grande comandamento familiare, quello che metteva d’accordo tutti, anche quei figli che, forse, avrebbero preferito pensare ad altro. Per i bambini i vecchi sono stati il primo, vero grande libro della loro vita, quello che diventa comprensibile, perché parla con la voce del cuore e dei sentimenti, è quello che distingui subito dai gesti, quei gesti teneri e protettivi, che fanno capire quanto sia piacevole sentirsi amati e protetti. Dalla voce dei vecchi abbiamo imparato il significato terribile della guerra, quello della fame e della sete, quello della solitudine e della sofferenza, quello della malattia e quello della morte, l’importanza della famiglia, abbiamo appreso che non tutto fila via liscio ma che, forse, per rendere la strada un pochino più scorrevole bisogna mettercela tutta per fare bene, per tenere fede agl’impegni presi, alla parola data, ai doveri familiari e a quelli sociali. I vecchi amano le loro case, quei volti che hanno amato e cresciuto, il suono di quelle voci che accompagnano quel tempo che scorre con una rapidità inesorabile e che spesso non lascia neppure lo spazio per un ravvedimento o per un perdono o per un modo diverso di atteggiarsi e di comportarsi. I vecchi hanno un cuore grande, un cuore che raccoglie tutto il bene e il male del mondo, che sa vedere anche dove gli altri non vedono e spesso non chiedono nulla, neppure quando si sentono di troppo, quando capiscono che ci sono destini che possono diventare inesorabili. I vecchi sono il sale della vita e in molti casi lo capisci quando non ci sono più, quando hanno deciso di lasciare proprio tutto, anche l’ultima preghiera, per fare posto a chi bussa per sopravvivere, perché i vecchi sono fatti così, non importa se il mondo li spedisce lontano, loro sanno che ci saranno sempre, perché in gioventù hanno insegnato loro che l’anima è più importante del corpo e che uno dei comandamenti più belli è aver dato proprio tutto, senza mai chiedere nulla in cambio. C’era una volta in cui se volevi incontrare un vecchio lo andavi a trovare a casa sua, nel suo nido, nel luogo dove si sentiva sicuro e protetto, non c’era bisogno che sfidasse il mondo, mettendo a repentaglio la propria vita, si sapeva sempre dove incontrarlo. Forse questo mondo di virus qualcosa di più ha insegnato alla civiltà tecnologica e cioè che tutta la tecnologia di questo mondo non vale un atto di gentilezza e di generosità compiuto da un giovane nei confronti di un vecchio, perché i vecchi esistono anche quando non si vedono, magari sono lì che aspettano quel sorriso che nessuno ha mai dato loro.