Viene da domandarsi come mai i giovani amino così tanto il poeta di Recanati, lo sentano ancora così vicino, al punto di arrivare a morbose identificazioni. L’identificazione è possibile quando la natura umana, spoglia da incrostazioni, si concede a una visione scevra di intellettualismo e di manipolativa ricercatezza, per lasciare che gli stati d’animo si trasformino in emozioni. La consumata fragilità leopardiana è espressione e forza di un pensiero che si proietta nel mondo con la spietata coscienza di chi lo interroga per definire un confronto leale, condito di quel sano pragmatismo investigativo che consente di portare in luce aspetti meno apparenti e più profondamente costitutivi di una personalità complessa, ma estremamente attiva e costruttiva come quella di Giacomo. La fragilità leopardiana è il punto di partenza per una revisione acuta e profonda di una natura che sembra e poi diventa, che sorprende e reprime, che anima, distende, che non si accontenta, perché vorrebbe sempre un’opportunità in più per delineare meglio la sua vita di relazione. Leopardi è il letterato/filosofo che bacchetta coloro che non hanno l’umiltà di riconoscere che è dalla coscienza del finito che riprende il dialogo con l’infinito e che non bastano formule o strategie per configurare o riconfigurare una realtà umanamente articolata e complessa.
Il pensiero del recanatese è ricco di sfumature, perché abituato a indagare, a leggere, a studiare, a interagire, a dire senza veli e senza vergogna, soprattutto quando la libertà personale entra in collisione con schemi, pregiudizi, asfittiche visioni e fragilità di una natura non sempre disposta a mettersi in gioco e a riconoscere i propri limiti e le proprie inadeguatezze. Ritrovare il pensiero italiano significa riaprire la cassaforte di una cultura classica che ha insegnato le formule di una vita più pura, vera, profonda e reale, capace di far riflettere e meditare sul valore della maturità. C’è nell’anima leopardiana una ricchezza d’idee e di linguaggio che va oltre le previsioni e i dettami della critica e del confronto. Nell’apparente immobilismo strategico dello scrittore si accende una speranza che scuote, si tinge e prende il volo, proprio quando il sole tramonta e i colori si attenuano, consentendo allo sguardo di godere di un amabilissimo gioco di luci e di ombre, di colori che rianimano, regalando il gusto di una visione che si riempie di riconoscenza e di amore per la poesia della vita. Riconoscere la fragilità significa aprirsi, non opporre resistenza, lasciare allo spirito la libertà di posarsi là dove un tempo sembrava impossibile, senza scomporre o incrinare o impedire, ma con la consapevolezza di poter cogliere ogni minimo rumore di quel garbato silenzio in cui il naufragio leopardiano diventa soluzione terapeutica, consentendo allo sguardo un volo adeguato su quella parte di infinito contro cui si frantumano spesso i pensieri e le speranze del mondo