Articoli di: Luciano Oldazzi, Adriano Biasoli, Dino Azzalin
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Menta e Rosmarino intende aprire un confronto sul tema del lavoro nella nostra Provincia e a tal proposito il nostro Direttore fa da apripista con una riflessione sulle possibili ipotesi di ripresa nel nostro territorio. Sono graditi commenti all’articolo, articoli o interventi di vario genere al fine di sviluppare un’ampia discussione sul tema.
Il prossimo numero del giornale pubblicherà un sunto di detta discussione.
La festa è finita e anche da noi è crisi ovunque. Da quel piccolo eldorado economico che era, il Varesotto sta affondando sempre più nelle nebbie. La piccola e media industria e l’artigianato, che negli anni giusti hanno rappresentato il volano del rilancio economico vivono momenti grami, specie da quando il lavoro ha cambiato localizzazione produttiva.
La globalizzazione ci ha messo dei suo, tuttavia errori ne abbiamo commessi anche noi. Uno su tutti: per via della nostra mentalità familiare abbiamo investito troppo nel cemento e troppo poco nella tecnologia e nella progettualità. Sta di fatto che, per una ragione o per l’altra, sono cominciati anche da noi i problemi economici e ci sentiamo spiazzati.
Smarriti. Costretti a scegliere tra un vecchio mondo in cui non riusciamo più a stare e uno nuovo in cui nulla pare avere consistenza. In crisi senza sapere da che parte voltarci.
Bisogna tornare indietro parecchi anni per ritrovare una situazione simile a quella dell’oggi, ma allora c’era altro spirito, c’era la voglia (dettata dall’indigenza), c’era una forte inclinazione comunitaria e poi “ci si credeva”. Erano gli anni del dopoguerra; l’associazionismo era fortissimo, e soprattutto il fervore politico. Per fare fronte alle difficoltà nascevano I Circoli Cooperativi e le Società di Mutuo Soccorso. Quanto al lavoro, la via d’uscita era allora rappresentata dall’emigrazione e di conseguenza ci si dava da fare anche in tal senso, il tutto facendo sfoggio di grande inventiva. Gente contadina che si era “inventata” in attività anche estranee alla loro cultura avviando scuole e botteghe: di scalpellini, di intagliatori, stuccatori, decoratori … , attività che poi hanno saputo portare in giro per il mondo in modo onorevole.
Io credo che proprio da qui, da questo spirito di intraprendenza, si debba ripartire, facendo di tutto per mettere in atto un’innovazione di cultura, di motivazioni, di sfide.
Cose che il mondo moderno ci richiede. Risorse ne abbiamo: un patrimonio paesaggistico da urlo, un patrimonio culturale particolarmente interessante, una efficiente organizzazione sociale, e, non ultimo in ordine d’importanza, adeguati livelli di benessere individuale e collettivo che contribuiscono ad aumentare la capacità di effettuare investimenti.
La voglia di lavorare, quella – poi – l’abbiamo sempre avuta; una mentalità lavorativa preminentemente pratica, di mani che non sanno stare ferme e di pensieri che devono trovare sbocco nel fare. Comportamenti che derivano da una lunga storia contadina, dall’esperienza della natura e della terra. Non sono risorse da poco.
Dobbiamo pertanto guardare dentro alle nostre possibilità e non rimanere impalati ad attendere ciò che è accaduto negli anni ’60 cioè uno sviluppo indotto attraverso la grande industria. Il settore industriale non offre più alcuna speranza. Anzi: le concorrenze straniere, sempre più attrezzate, possono solo peggiorare la situazione.
Serve una nuova consapevolezza da parte della classe politica, un grande accordo collettivo pensato a partire dagli enti che sovrintendono le problematiche economiche del territorio, comuni compresi.
Ora che l’industria ha trovato localizzazione altrove, che con l’agricoltura abbiamo provato ma con esperienze insoddisfacenti, punterei molto sul turismo. Esso sta vivendo il più grande boom di tutti i tempi, ha un trend mondiale crescente e potrebbe fornirci una formidabile spinta. Se una piccola parte della marea di turisti che visita Milano fosse indirizzata verso i nostri luoghi ne avremmo già abbastanza (in quest’ordine di idee giudico importante un potenziamento delle ferrovie che ci collegano a Milano).
Non siamo attrezzati, ma le potenzialità che vengono dal turismo sono enormi.
Un turismo tradizionale, ma anche di tipo particolare, come illustrava il sindaco di Brenta dott. Ballardin sullo scorso numero di Menta e Rosmarino: “Un miglioramento ed un potenziamento delle aziende agricole, degli agriturismi e delle attività connesse al turismo (fattorie didattiche, percorsi benessere e sportivi, bed and breakfast, ostelli, alberghi e altre forme di ospitalità), potrebbero rappresentare fattori ed elementi economici potenziali, nel quadro di un significativo rilancio dell’imprenditoria locale nel settore del terziario legato al turismo … ”. Un’idea – questa – che fa connettere tra loro risorse esistenti, come la terra e le tradizioni agro alimentari, per poi sfociare in qualcosa di innovativo offrendo in un unico progetto anche l’offerta paesaggistica e gli spazi artistici, magari in un pacchetto turistico omnicomprensivo.
Per risollevarsi occorre un cambio di marcia, grande apertura mentale e predisposizione al cambiamento e all’innovazione.
Questo non esclude che altri settori possano industriarsi nell’inventare qualcosa di nuovo. L’artigianato – per esempio – che da noi ha sempre giocato un ruolo importante. Mi piace citare la ditta Pianezza che produceva cravatte e che, a fronte di una crisi del settore, si è reinventata come produttrice di sofisticati oggetti d’arredo. Artigianato locale declinato con le nuove tecnologie. Un traguardo raggiunto sfruttando il bagaglio di esperienza e l’attitudine all’innovazione.
Errore è fermarsi rassegnati ad aspettare qualche manna dal cielo; l’imperativo è quello di esplorare invece tutte le possibilità di lavoro, anche quelle estranee ala nostra tradizione
con lo spirito dei nostri avi che si erano inventati “decoratori” quando fino al giorno prima erano stati contadini.(A.P.)