Quando nel 1926 l’imprenditore altoatesino Hermann Amos (nato nel 1876) fondò la ditta USAG (Utensileria Società Anonima Gemonio), mio padre aveva quattro anni. Al seguito dei genitori (i miei nonni) il piccolo nucleo famigliare oriundo di Lonte Pozzolo si era trasferito a Cocquio Trevisago in cerca di migliori opportunità e precisamente in via Vigana, giusto ad un paio di chilometri dalla Usag. Mio padre frequentò le scuole fino alla quarta elementare quando con suo rammarico fu messo di fronte ad un aut-aut: lavorare o … lavorare…! Con sua grande fortuna fu assunto, nel 1934, all’ età di dodici anni proprio all’utensileria USAG. Faceva parte di un gruppo di ragazzi che venivano assunti come mano d’opera a basso costo, per lavori anche pesanti, di manovalanza: muovere cassoni di pezzi, approntare i pezzi da lavorare, eseguire semplici lavorazioni meccaniche. In quegli anni bisognava evitare le angherie e i soprusi degli operai più anziani perchè questi erano convinti che solo con le maniere forti i giovani apprendisti avrebbero imparato a lavorare. Nel frattempo la USAG aveva cominciato ad ampliarsi con l’arrivo dei primi magli per lo stampaggio a caldo e le prime macchine utensili per le lavorazioni meccaniche.
Un punto dolente che rimase anche negli anni seguenti fu l’alta percentuale di infortuni sul lavoro; a cavallo della seconda guerra mondiale, nel reparto forgia, più di un operaio rimase ferito in modo grave, colpito dalle schegge degli stampi che partivano come proiettili (senza poi contare le dita e le mani perse durante il cambio stampi o i trucioli che finivano negli occhi).
Dopo l’otto settembre 1943 la USAG divenne poi punto di riferimento delle autorità tedesche che presero il controllo amministrativo e produttivo della ditta fino al 1945 quando poi la famiglia Amos riprese la proprietà dell’azienda. Negli anni del dopoguerra furono assunte circa 250 le persone. La USAG si stava preparando a produzioni stratosferiche e grazie anche alla capacità di Giulio Amos, subentrato nella gestione nel 1945 (dopo tre anni di prigionia inglese) e dei suoi principali collaboratori come H.Dehn che assunse la direzione tecnica e H.Isler cui fu affidata la direzione commerciale. Egli fece diversi investimenti che garantirono alla USAG, negli anni del boom economico, una produzione di 2.000.000 pezzi stampati a caldo ogni anno, di cui 700.000 chiavi a bussola. Ebbene, il tam-tam di una trancia o di una pressa che proviene da una ditta metalmeccanica situata in linea d’aria a 500 metri da casa mia, mi ha fatto venire in mente un’altra pressa di dimensioni ben maggiori, posizionata alla USAG alla fine degli anni ’70. Era una pressa tedesca , una pressa costruita dalla ditta LASCO rigorosamente “made in Germany”. Una macchina che mise in secondo piano i magli dell’italiana Pensotti. Non certo un lavoro leggero quello del forgiatore, specialmente d’estate quando le billette di acciaio escono dal forno a circa 1200-1300. gradi (gli stampi hanno una temperatura di circa 350 °C).Pam.. pam… pam .. . tre colpi secchi … ecco la sequenza di battitura, la macchina plasma il metallo rovente, il futuro utensile e’ già sbozzato, verrà sbavato, subirà un trattamento di distensione, burattatura e due operazioni di meccanica, una grossolana, la tranciatura del bottello e una di precisione, la brocciatura che imprime la forma del poligono sulla chiave.
C’e’ da dire che il reparto attrezzeria ero dotato di poco personale, ma estremamente valido: il duo Corà-Bevilacqua migliorò sensibilmente la costruzione delle brocce che grazie ai loro accorgimenti diventarono un utensile indispensabile per la produzione in grande serie.
Io ho lavorato alla USAG dal 1974 al 1980, giusto in tempo per imparare i rudimenti della meccanica di precisione. Vale la pena di spendere due parole sul reparto forgia; dopo il mitico capo Tavecchio, assunse la direzione del reparto stampi il signor Miglierina.
Un reparto dove fino alla metà degli anni ’60 si viveva costantemente a contatto con i gas di scarico tipo quelli della nafta, il combustibile usato per il preriscaldamento dei pezzi e dei relativi stampi; la situazione migliorò con l’ arrivo del gas metano e in seguito dei riscaldatori ad induzione elettrica; un reparto dove l’ abilità dei forgiatori diventò un’arma a doppio taglio in quanto erano molto abili su un certo tipo di maglio, ma si trovavano in difficoltà se dovevano cambiare il tipo di macchina usata… Così poteva capitare che un attimo di disattenzione poteva rivelarsi fatale. (Le commesse di lavorazioni erano costituite da 30.000 – 40.000 pezzi il che significava anche un mese consecutivo a fare lo stesso lavoro).
Tutto ciò prima del passaggio della proprietà dalla famiglia Amos ad una multinazionale francese, la FACOM. Era il 1992. Le scuole di lavoro erano però troppo diverse (due potestà, due canizie si fronteggiavano – per dirla come il Manzoni) e qualcuno dei dipendenti cresciuti con la gestione “Amos” preferì, se in età di pensione, abbandonare il lavoro.
Tuttavia, finché il maglio batte c’è speranza – dicono a Gemonio – nel senso che lo stampaggio a caldo implica la presenza di un reparto forgia, con una serie di presse dedicate, di un reparto stampi con macchine utensili all’avanguardia, una macchina per la costruzione stampi made in Switzerland e la presenza di operai specializzati. Ebbene, di magli oggi ne sono rimasti due, uno come monumento nel parcheggio e uno in officina, giusto per fare dei prototipi.
La USAG è rimasta l’ultimo baluardo in una zona che era l’epicentro della costruzione degli utensili professionali e che presentava oltre alla USAG, l’utensileria FUMASI, sempre a Gemonio, la MAGGI a Cuveglio, la PASTORINO a Cocquio Trevisago, fondata nel 1945 da Pietro Pastorino, ex direttore tecnico della USAG. Una ditta, la Pastorino, che fu poi acquisita dall’USAG stessa agli inizi degli anni ’80. Per non parlare poi dell’indotto, un esercito di pulitori, di assemblatori disseminati fra la Valcuvia e il lago Maggiore, ditte e attività oggi non del tutto scomparse, ma a ranghi ben ridotti rispetto a quel periodo. Quante persone hanno lavorato alla USAG!!
Ricordo il portinaio che quando vedeva arrivare il signor Amos Rovelli, un esperto assemblatore al banco, lo omaggiava con un “Buon giorno signor Amos!”; al che il signor Amos rispondeva “Buon giorno, buon giorno!” o il sindacalista, fresatore in attrezzeria (l’aristocrazia operaia…) che per concludere le nostre discussioni mi liquidava con la frase: “Dove sono andati a finire quelli che gridavano tanto nel ’68? Loro sono spariti mentre io sono ancora sulla breccia!”
E come dimenticare il “Conte” cioè C. Claudio, stampista alla USAG per vent’anni, motocrossista di valore negli anni ’70 e che mi ritrovai alla Cagiva Motor, come collega e fresatore agli inizi degli anni ‘ 90 al reparto prototipi. E poi Vittorio C., un “runner” che dopo aver passato otto ore in fabbrica (dalle 14 alle 22 ) trovava la voglia e la forza di correre magari a mezzanotte e in mezzo ai boschi. Questi, si capisce, sono tutti episodi più o meno divertenti, degli aneddoti, di cui sono stato testimone. C’è una foto scattata la vigilia del Natale 1954 che riprende le maestranze e la direzione, in tutto circa 250 persone… e non eravamo ancora in pieno boom economico..
Negli anni seguenti il numero dei dipendenti sfiorò le 400-500 unità. Nel 1999 la USAG aveva ancora 400 dipendenti di cui una parte nel nuovo sito di Monvalle e il resto a Gemonio.
Ogni cosa alla USAG sembrava fatta per durare nel tempo e la proprietà stessa era il garante di quella stabilità.
Ricordo l’acciaio DB 6 che fece nascere il famoso slogan pubblicitario “Non bestemmiare, usa utensili USAG”. Ogni pezzo veniva controllato singolarmente dal reparto controllo qualità, formato quasi esclusivamente da personale femminile.
La parabola discendente stava però iniziando. Nei primi anni 2000 il gruppo FACOM-USAG viene acquisito dal colosso STANLEY, oggi divenuto Stanley Black&Deker dopo la fusione con la multinazionale famosa per la produzione dei trapani. Un guppo monster americano di 57.000 dipendenti, che ha lasciato alla USAG il privilegio di mantenere il proprio marchio, ma che non è certo andato per il sottile nel ridurre per l’ennesima volta il numero degli addetti. Oggi infatti i dipendenti sono 110, di cui 79 operai e 31 impiegati, che attualmente lavorano a Gemonio e costruiscono le chiavi a T esagonali a maschio, i cricchetti reversibili e parte delle chiavi dinamometriche.
E l ‘USAG del 2020? Lasciati da parte per il momento i ricordi sembra che la parola magica sia diventata Industria 4.0 (o Fabbrica 4.0 ?), sistemi modulari, sistemi di produzione integrati orizzontali e verticali, tecnologie HM, il tutto per diminuire i costi, aumentare i ricavi, aumentare la produzione, simulare il rapporto utente finale – costruttore.
Se c’e’ la voglia di produrre naturalmente… Sembra comunque che nemmeno il 10% delle aziende abbia cominciato a formare il personale necessario a questa fase, sarà quindi un processo non breve. Speriamo che i 110 superstiti di Gemonio (insieme ad altre figure da trovare sul mercato del lavoro) siano il nuovo futuro della USAG , in caso contrario vedo tante difficoltà, anche perchè non e’ ancora perfettamente chiaro quali saranno i posti che si creeranno nei prossimi anni mentre e’ abbastanza chiaro i posti che spariranno, molto probabilmente sarà una fase step- by- step, day – by – day, dove la creatività avrà un ruolo molto importante nelle fasi di progettazione (così dicono gli esperti…)
P.S. Non sono sicuro che tutte le date elencate siano corrette; e’ anche sempre più difficile trovare chi ha lavorato alla USAG in quegli anni… Chiedo venia per eventuali errori.
Ringrazio Darico Sesso per le preziose informazioni che ha voluto fornirmi.
Sella Giorgio